VILLA MULAS MAMELI , A TUVIXEDDU, E’ ABBANDONATA SULLA COLLINA DEI MORTI

di ROBERTA CARBONI

Si erge silenziosa sul colle di Tuvixeddu l’antica Villa Mulas Mameli, custode della necropoli punica più grande del Mediterraneo. Oggi è poco più che un rudere pericolante, chiuso tra le recinzioni in muratura dovute agli ultimi interventi di recupero dell’area per la riapertura del Parco Archeologico nel 2017.

Era la fine del XIX secolo quando, sui ruderi di una fattoria ubicata sulla sommità del colle, la famiglia Massa si apprestava a costruire il suo bel villino. All’epoca il Colle di Tuvixeddu – così chiamato dai cagliaritani per la presenza di centinaia di cavità profonde scavate nella nuda roccia calcarea – non era ancora del tutto conosciuto nella sua estensione ed importanza storica.

Tra i primi ad occuparsi di indagare l’area fu il canonico Giovanni Spano che, nella seconda metà dell’Ottocento, in pieno spirito romantico, si accingeva a studiare le antichità archeologiche, ed in particolare la civiltà punica, sconosciuta fino al momento e portata alla luce dal fortuito ritrovamento delle vestigia archeologiche dell’antica Tharros. 

Negli scritti dello Spano, in buona parte confluiti nella “Guida della città e dintorni di Cagliari”, si parla delle tracce dell’antica Karalis, tra cui la necropoli, i resti del tophet nell’area di via San Paolo e le emergenze in viale Sant’Avendrace.  Tuttavia, nella maggior parte dei casi, lo Spano e tutti gli studiosi che dopo di lui indagarono il colle di Tuvixeddu si trovarono di fronte a tombe già violate dai tombaroli; a questo si aggiungeva il fatto che l’archeologia di fine Ottocento puntava più che altro sul recupero di oggetti preziosi, tralasciando quasi totalmente la stratigrafia e lo studio di tombe e corredi.  

Il primo a riconoscere scientificamente la straordinaria importanza del sito fu Francesco Elena, il quale nel 1886 affermava che per monumentalità, estensione e continuità d’uso la necropoli cagliaritana non aveva confronti. Con grande lungimiranza auspicava inoltre un’accurata indagine che studiasse e definisse i limiti dell’area per evitare la dispersione dei resti archeologici. 

In questo scenario di scoperta e indagini archeologiche si inserisce la storia della villa, venduta ai nuovi proprietari – i Mulas – che all’inizio del Novecento ottennero la concessione statale per gestire le attività estrattive nel colle.

Costruita secondo i canoni del nascente stile Liberty, la villa riprendeva in parte la struttura della precedente villa Mossa.

Marcello Polastri ne descrive così gli interni: La dimora della famiglia Mulas, ma ancor prima dei Massa, i preesistenti proprietari, era articolata su due livelli. Nel piano terra la cucina, la sala da pranzo, la dispensa, una camera per la servitù. E poi due porte che consentivano di uscire sul retro della casa, occupato da un grande giardino. Al primo piano, invece, la zona notte, con le camere da letto, un ampio bagno, un salotto ed una seconda stanza da letto.

Furono i Mulas – una famiglia altoborghese locale – quindi, ad inaugurare la storia della villa; una storia fatta di glorie, fasti e ricchezza, ma anche di misteri ed intrighi.

Nella sontuosa villa, si gestivano affari, si ricevevano ospiti e si organizzavano feste da ballo e banchetti. E date le assidue frequentazioni, per rendere più agevole il tragitto, i nuovi proprietari realizzarono una strada carrabile, accessibile dall’attuale via Is Maglias, che chiamarono via dei Punici per via delle numerose sepolture di epoca punica che furono distrutte per far posto alla strada, nella quale impiantarono pini e piante esotiche secondo un gusto tipicamente ottocentesco. La stessa ricerca di coniugare architettura e giardino è presente in molte altre ville dell’Ottocento, come la vicina Villa Laura, anch’essa in rovina, che si staglia sul viale Sant’Avendrace.

Ancora oggi il villino Mulas conserva l’impianto originario, con il fronte principale che accoglie motivi stilistici d’ispirazione Art Nouveau, inaugurando, con le sue forme eleganti ed eclettiche, una nuova porzione della città nell’antico e periferico borgo di Sant’Avendrace.

Era la fine di un’epoca inaugurata proprio dall’avvento della borghesia imprenditoriale che sembrava voler voltare le spalle al Castello, per secoli sede privilegiata della vita pubblica e privata, dell’amministrazione della giustizia, della nobiltà e della politica cittadina. Così il nuovo secolo, il Novecento, conquistava le aree abbandonate e campestri, inaugurando la nascita di ville, casali, parchi, giardini, viali alberati, le cui tracce sono ancora oggi ben visibili nelle vie Trento, Merello, Falzarego, Sant’Avendrace e il Corso.

Così villa Mulas, immersa in uno scenario esotico quasi fuori dal tempo, si trasformò in un luogo di fasti, glorie e ricchezza dovuti a quell’irrinunciabile fiducia nel progresso tipica della Belle Époque e placata solo dallo scoppio della Prima Guerra e dall’avanzata dei regimi totalitari.

Eppure, in breve tempo, si sparse la voce che il delizioso villino fosse utilizzato anche come luogo di ritrovo per attività illecite e sedute spiritiche in una Cagliari che, tra fine Ottocento e primi del Novecento, vedeva, proprio grazie all’alta borghesia, la comparsa delle arti occulte, dello spiritismo e della Massoneria. Interessante, a questo proposito, quanto descritto da Pierluigi Serra nei suoi romanzi sulla Cagliari magica ed esoterica, la cui scena pubblica era dominata da personaggi influenti, spesso proprietari di cave, ferrovie, fabbriche ed istituti di credito accomunati da interessi esoterici e spesso protagonisti di storie dai risvolti misteriosi.

Ancora oggi in prossimità della villa sono ben visibili cavità sotterranee e sottopassaggi che consentivano di muoversi indisturbati e che, nella fantasia popolare, sono diventati luoghi infestati da oscure presenze. In mezzo alla vegetazione collinare, che col tempo ha riconquistato i suoi spazi, si notano i segni dell’estrazione della roccia calcarea e nell’area della villa sono presenti diverse cisterne risalenti ai secoli precedenti e che presentano tracce di continuità d’uso.

La presenza dell’acqua ha avvalorato anche l’ipotesi che vi fosse un’officina di lavorazione della pietra, ipotesi che sembra confermata dal ritrovamento di diversi elementi in pietra squadrata e da molteplici testimonianze letterarie che collocano un’area di lavoro proprio qui. 

Negli anni Quaranta, i fasti della mondanità del villino cedettero il posto all’avanzare del progresso e l’Italcementi, società bergamasca specializzata nella produzione di cemento e calce, ottenne il monopolio per l’estrazione del calcare a Tuvixeddu. Negli anni Cinquanta fu realizzato il grande canyon tra via Is Maglias e via Falzarego per facilitare il trasporto su camion della roccia estratta. Tale percorso ha decretato la fine dell’unità fisiografica della collina venendo a creare due aree: Tuvixeddu che si affaccia su viale San’Avendrace e Tuvumannu che riporta a via Is Maglias.

Ma l’enigmatica villa è legata a storie inquietanti e misteriose che si sono venute a creare con il trascorrere del tempo. Si racconta che le stanze della siano custodi di particolari vicende spettrali, apparizioni e strani rumori che si farebbero sentire nonostante l’abbandono. Non si sa se queste fantasie siano state nutrite dalla superstizione popolare che vedeva nella profanazione delle tombe la causa di sventure ed eventi nefasti, ma rimane il fatto che ancora oggi, l’aura di mistero che circonda Tuvixeddu è palpabile al primo sguardo, soprattutto al calar della sera, quando le luci del tramonto si riflettono sulle pareti grigio-giallastre della villa e da lontano si avverte il lugubre canto delle cornacchie.

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5 commenti

  1. La #necropoli #punica più grande del #Mediterraneo a #Cagliari completamente ignorata dalle varie giunte regionali, qualificandole per quello che dimostrano di essere😏

  2. Non posso esprimermi se non in modo negativo di chi avrebbe dovuto mantenere il manufatto!

  3. Integriamola nel parco archeologico, magari come centro visite

  4. Ornella Gaviano

    Un luogo fantastico affascinante suggestivo pieno di storia arte culturale non sufficientemente valorizzato. Attualmente almeno è curato da una cooperativa alla quale va tutto il mio ringraziamento, ma bisogna fare ancora molto perché è veramente un luogo prezioso da non perdere e da curare con estremo interesse.

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