IL DIALOGO INTERCULTURALE SARDEGNA-FRANCIA NEL RICORDO DI DOMENICO ALBERTO AZUNI: RECENSIONE DEL VOLUME CURATO DA PAOLO PULINA

di DIEGO CARRU

Questo articolo è stato pubblicato ne “Il Miracolo – giornale di Bitti”  (diretto da Marilena Orunesu), n. 1/2020, approfondimenti, pp. 26-27.

Si è sviluppata a Pavia la terza parte del progetto “Francia-Sardegna: rassegna di autori sardi e francesi. Nel ricordo del giurista Domenico Alberto Azuni (Sassari, 1749 – Cagliari, 1827) a 270 anni dalla nascita, rassegna di autori sardi che hanno scritto sulla Francia e di autori francesi che hanno scritto sulla Sardegna”, sotto la guida di Paolo Pulina, Vicepresidente e responsabile Cultura e Informazione della F.A.S.I. (Federazione Associazioni Sarde in Italia).

L’infaticabile ploaghese Paolo Pulina continua a mettere in campo con impegno, passione e competenza, iniziative di pregio che tengono vivo il legame degli emigrati sardi con l’Isola, di cui si approfondiscono i fatti storici salienti e le espressioni culturali più significative. I precedenti incontri si erano svolti a La Ciotat, vicino a Marsiglia, e a Rivoli/Torino presso il Circolo sardo “4 Mori”.

Sono giunti alle stampe, per la curatela di Pulina, gli Atti delle tre giornate internazionali di studi, puntualmente quanto inusualmente presentati al Convegno svoltosi a Pavia presso il Circolo “Logudoro” sabato 26 ottobre 2019.

Innanzitutto è doveroso un richiamo al giurista, magistrato e filosofo Domenico Alberto Azuni nel 270° anniversario della nascita, alla cui conoscenza ci conduce Antonio Delogu.  Azuni, infatti, poco conosciuto in Sardegna e in Italia, è l’unico intellettuale sardo a inserirsi, nei primi due decenni dell’Ottocento, con originalità e autorevolezza, nel dibattito giuridico-filosofico europeo. La sua lunga e travagliata carriera, in estrema sintesi, ne fece uno dei massimi luminari nel campo del diritto marittimo, con la pubblicazione nel 1786/88 a Nizza del Dizionario universale ragionato di giurisprudenza mercantile in quattro tomi e nel 1795/96 a Firenze del  Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa in due tomi, tradotti e rieditati in Europa e nell’America del Nord. Lo stesso Napoleone gli diede incarico di partecipare alla stesura della parte marittima del Code de commerce, adottato nel 1807. Nel 1818 Vittorio Emanuele I lo nominò giudice del Consolato del commercio di Cagliari, e, successivamente – conservando il titolo di senatore –, preside della biblioteca della reale università cagliaritana, carica che ricoprì sino alla morte avvenuta a Cagliari il 23 gennaio 1827.

Ma di lui ci piace ricordare anche gli scritti sui temi che maggiormente gli stavano a cuore e ispiravano le sue opere giuridiche: il legame indissolubile dell’uomo con la natura e l’esigenza di disinnescare i conflitti e favorire in tutti i modi la convivenza pacifica tra i popoli, le istituzioni e le persone, in un clima per allora forse utopistico, dato che prevedeva anche la libertà di stampa. A titolo di esempio, citiamo solo i saggi Dissertazione sullo stato naturale dell’uomo; La guerra è contraria ai dettami della Natura, e Discorso sulla possibilità di stabilire una pace marittima universale e perpetua.

Dato che Azuni era ed è molto conosciuto, stimato e ricordato in Francia, la F.A.S.I. ha preso spunto per inquadrare nel suo 270° anniversario la rassegna sui rapporti culturali Sardegna-Francia, che abbiamo scorso alla ricerca di spunti interessanti per il nostro paese di Bitti e per il territorio.

Il nome di Jean-Yves Frétigné (di cui recentemente Pulina ha tradotto e divulgato le poesie raccolte in Écho de Sardaigne, “Impressioni di Sardegna”) ci porta col ricordo al suo intervento di Bitti, durante il convegno del 2008, sulla permanenza di Giorgio Asproni a Parigi dal 13 maggio al 1° luglio 1855, in occasione della grande Esposizione Universale e durante la Guerra di Crimea, periodo del quale il Diario asproniano dà conto nel primo volume 1855-57, nelle pagine 204-239. Frétigné torna dunque sull’argomento, con il contributo dal titolo “Una raffigurazione della Parigi imperiale nel Diario Politico di Giorgio Asproni: un giudizio politico e morale sulla Francia”, forte di un’attenta lettura del Diario e della approfondita conoscenza del periodo storico, contornando meglio le circostanze e soprattutto le sensazioni del bittese.

Stavolta è chiaro in Frétigné l’inquadramento del viaggio e della permanenza di Asproni a Parigi in due chiavi di lettura: l’ammirazione per la modernità industriale e il severo e sconfortato giudizio sulla decadenza politica e soprattutto morale della città. I due aspetti, apparentemente contradditori, sono invece unificati nel complesso della scrittura diaristica. Asproni coglie i riflessi negativi del progresso industriale che si evolve nella modernità decadente del Secondo Impero: cesarismo da una parte; povertà e sfruttamento, disarticolazione urbanistica e sociale, smarrimento dall’altra. Nel contempo, in chiave illuministica, sottolinea i lati positivi del progresso tecnologico e auspica l’avvento di una grande civiltà industriale anche in una Italia unita, che segni il progresso sognato e sperato, nel contesto del movimento risorgimentale, facendo tesoro degli errori altrui per non ripeterli. Il bittese, che sentiva di appartenere ad un movimento in crescita, che avrebbe potuto solo avanzare e migliorare, implicitamente confronta la Francia decadente e l’Italia risorgimentale. Chiaramente emerge la cultura asproniana che si ispira e si rifà alla interpretazione della storia di Giuseppe Mazzini, basata sul contrasto fra la politica italiana e quella francese. In questo senso vanno letti alcuni curiosi parallelismi, come quello sul tempo atmosferico, uggioso e piovoso anche in piena estate, che condiziona l’umore e addirittura prostra Asproni: in una delle poche giornate definite “belle”, scrive: «Ma questo sole di Parigi, quando più risplende, pare la luna della nostra Italia…». E la considerazione politica segue poco dopo: «Quello che io vedo è che l’industria umana ha potuto fare di Parigi un centro di delizie, ma la natura gli è ingrata. Oh la nostra Italia con quanta più larga mano non è benedetta dal Creatore! Oh se fosse unita in Nazione grande, e illuminata da sole della vera libertà! Sarebbe il paradiso del mondo…».  

Per altro, Asproni osserva attentamente la città quasi dal buco della serratura. Osserva il suo ospite, il Barone di St. Léger (col quale intrattenne una lunga corrispondenza e rapporti di affari, in alcuni casi per iniziative interessanti per la Sardegna), la sua mole imponente (130 kg.!), gli atteggiamenti con la servitù e con le altre persone, abituato com’è a contrattare e a comprare tutto; osserva le “laurette” (le mondane) e la loro grande ascendenza presso tutti gli strati della società, soprattutto presso l’aristocrazia corrotta e la politica di corte; osserva il controllo poliziesco della società, le spie, gli infiltrati, i militari: «La Francia è eminentemente militare. I Francesi sono avidi di gloria, di danari, di piaceri e di pericoli. Ed alimentano il talento di ventura e lo spirito guerriero…». Ovviamente, l’obiettivo è Luigi Bonaparte e il suo regime tirannico, che impronta di sé la società parigina: «Quanti dolori non nasconde il pudore e la vanità; e quanti non ne crea l’ambizione dei re, dei nobili, dei ricchi? La società odierna è costituita tutta quanta sopra una rivoltante ingiustizia, e non è da meravigliare se le rivoluzioni si succedano grandi, sanguinose, frequenti per ricostituirla sopra l’equità».

Quello di Asproni è un affresco completo della Parigi di metà Ottocento, lo stile e la visione sono quelli del patriota mazziniano e dell’uomo integro. Una bella sintesi da parte di Jean-Yves Frétigné!

Gli atti curati da Pulina continuano con pregevoli relazioni su personaggi, autori e opere. Sandro Ruju ci dà una dettagliata cronaca del viaggio e soggiorno di Honoré de Balzac in Sardegna, nella primavera del 1838, alla ricerca di minerali e di… fortuna. Gilles Bertrand offre un ritratto del politico e studioso Auguste Boullier, che portò la Sardegna all’attenzione dell’Europa, a metà Ottocento, con due volumi su L’Ile de Sardaigne. Sébastien Madau intervista il giovane ma affermato scrittore francese Michael Uras, di padre sardo (un suo romanzo, non tradotto in italiano, che richiama nel titolo “la casa a destra di quella di mia nonna”, rievoca luoghi e persone della nostra isola). Il figlio Dimitri ricorda il padre poeta di origini sarde, Marc Porcu, del quale il nostro Giovanni Dettori scrisse «C’è un’isola e un antenato mitico all’origine della poesia di Marc Porcu, o meglio: in principio era un’isola e un antenato che si fece mito. Che si farà poesia…».

Claude Schmitt parla in prima persona del suo famoso volume Sardegna, nel cuore (Sardaigne au coeur), Premio Sardegna 1976, uscito in Francia nello stesso 1976 e tradotto per Della Torre nel 1977 da Aldo Brigaglia. In esso, Schmitt, reduce da letture deleddiane ma anche dai più famosi libri di viaggio (La Marmora, Lawrence, Vittorini…) e da saggi e film sulla Sardegna e sulle sue personalità storiche e letterarie (Giuseppe Fiori, Giovanni Lilliu, Franco Cagnetta, Maria Giacobbe, Maria Antonietta Macciocchi per il suo Pour Gramsci …) ha voluto ripercorrere le ragioni che lo indussero a venire in Sardegna, per due mesi, tra la primavera e l’estate del 1975, esattamente dal 3 giugno al 30 luglio. Voleva fare un diario di viaggio e scattare foto significative (che pure furono pubblicate dal suo amico Editore Eibel nel 1977 in Photographies de Sardaigne), ma non riuscì a rimanere anonimo turista o l’autore di un reportage giornalistico, anche se il suo editore scrisse sulla fascetta del 1976 «un approccio inedito e stimolante alla Sardegna».  E non tutto si spiega con la sintesi apportata da Manlio Brigaglia («Schmitt attraversa la Sardegna cogliendone veramente … il cuore più segreto e più nuovo»).

In realtà Schmitt, che ha tradotto in francese, dopo quel viaggio,  Quelli delle labbra bianche, Il parroco di Arasolè e Il riso sardonico di Francesco Masala, con questo libro vuole vedere, e spesso ci riesce, al di là delle apparenze, come quando stigmatizza il paradigma del turismo interno di allora, «…l’unico vegliardo in costume tradizionale seduto all’ingresso del paese è stato fotografato o dipinto da tutti i viaggiatori che sono passati per Oliena: per questo non figura in questo libro».

A noi bittesi, lettori attenti del libro di Schmitt, non è sfuggito un suo appunto tranchant dopo l’osservazione delle case incompiute, con i cantoni a vista e l’intonaco a metà: «In Sardegna l’importante è l’interno, non la facciata; è la vita della gente che conta, non il vestito. Nel Nuorese, a Bitti, qualcuno completerà la spiegazione parlando delle cose che contano, della serietà. Poi, maliziosamente: del resto, gli architetti sono piuttosto mediocri, da noi»

Né è sfuggita la puntata a Bitti dello Schmitt. Dopo un preciso inquadramento geografico delle Barbagie, dopo aver visto le pecore a miriacru sotto le grandi sughere dell’altopiano di Orune, plana su Bitti «…in un paesaggio che si umanizza sempre di più quando si raggiunge il paese nascosto nel fondo d’un cratere. La Bitti alta è tutta una via sinuosa pavimentata di larghi rettangoli di pietra. Banderuole di tela sventolanti pendono alle finestre dove finiscono d’asciugare. Sono sulla difensiva più che in qualunque altro paese, anzi qui devo perfino giustificare la mia presenza a un carabiniere» … «Ho appena il tempo di sorprendere gli sguardi ironici e divertiti di ragazzi che sembrano dire: non prenderlo sul serio, è un carabba che fa lo zelante. … Moltissimi caffè, pieni d’operai e di disoccupati appena arriva la sera, fiancheggiano la strada, tanto qui che nella Bitti bassa dove scorre la strada asfaltata che continua verso Buddusò, a nord. Apparenza più ricca, forse meno tipica. Sguardi più curiosi, ragazzi meno spontanei che altrove. All’ultimo balcone d’una casa popolare una donna batte i suoi tappeti, … In alto su una costa, all’uscita dal paese, si erge una impressionante chiesa in cemento armato ancora incompiuta. […] Risalendo nel corso Vittorio Veneto mi fermo un momento davanti alla vetrina del libraio. Negozio modesto, con pochi libri, soprattutto tascabili sotto cellophan – e si vede ogni tanto un acquirente che appena uscito lo apre con voluttà continuando a camminare con aria felice –, manuali scolastici, Lenin, Gramsci. Vedo tutto questo col naso incollato alla vetrina. Il libraio sembra giovane, ha la barba, io entro».

A questo punto, Schmitt cambia scenario e cita “La Nuova Sardegna” del 22 luglio. «Un violento incendio ha distrutto la pineta di Bitti che sovrasta le case del paese. Quasi 40 ettari di bosco in fiamme. È un danno irreparabile per Bitti, che perde così il suo unico polmone verde».

Più avanti, nel contesto del capitolo Il paese dove è nato Gramsci, vi è il profilo di alcune personalità e movimenti, Giovanni Lilliu, Antonio Sanna, Manlio Brigaglia, “Su Populu Sardu” e… Il libraio di Bitti. Individuati facilmente il nostro Giampiero Manca e la sua famiglia, leggiamo di una cena con Giampiero e i suoi amici nel corso della quale si parla dei movimenti indipendentisti e “rivoluzionari” sardi. «Giampiero, per parte sua, è contrario al principio della conquista violenta del potere. E non è più separatista, seguendo in questo la linea politica del Pci, di cui è un militante. Sostiene, anzi, che il partito può arrivare al potere attraverso la via parlamentare e l’avanzata comunista nelle elezioni del 15 giugno lo conforta in questa convinzione. In questa situazione, ci si può ancora riferire a Gramsci?».

Altro contributo di interesse è la relazione di Patrizia De Capitani sul romanzo Il giglio di mare, di André Pieyre de Mandiargues, del 1956, edito in italiano da Poliedro di Nuoro nel 2000. Il breve romanzo d’amore descrive la vicenda di Vanina, giovane ma intraprendente, che durante una vacanza con un’amica, nella cornice affascinante della lunga spiaggia fra i due borghi di Santa Lucia e de La Caletta di Siniscola, sotto la guida di una misteriosa quanto ambigua presenza divina, predispone il proprio apprendistato erotico con un giovane intravisto sulla spiaggia.

Interessanti le descrizioni della spiaggia che fronteggia il mare cristallino e lo separa dallo stagno che viene descritto pescoso e fonte di sussistenza per molti abitanti. È lo spunto per sottolineare un dualismo, un contrasto: il mare cristallino, luminoso, puro, e lo stagno con le acque scure e limacciose, immobile nella sua nascosta opulenza. Anche i tipi umani, i pescatori e le loro famiglie, i villeggianti, la varia umanità che frequenta Santa Lucia negli anni ’50 alla ricerca di salute e di svago, rappresentano uno spaccato veramente interessante su quel periodo nella località marina allora a noi più vicina e frequentata.

Rimandiamo a future osservazioni la figura di cui si occupa Salvatore Tola: Edouard Vincent, uno studioso di Grenoble grande conoscitore delle Barbagie e del quale, appunto, abbiamo letto in particolare Terre interne, del 1995, un altro attento e profondo “sguardo da fuori” sul nostro ambiente. “Tziu Vissente” (così era conosciuto nel Nuorese) percorse a lungo il mondo alla ricerca di un popolo e di una società-modello per la sua visione del mondo e della storia. Approdato in Sardegna, in seguito alla suggestione suscitatagli dal film Banditi a Orgosolo, si trattenne nell’Isola in soggiorni sempre più lunghi ad Orgosolo e poi a Belvì e si dedicò a raccontare il mondo dei sardi e insieme le idee che andava maturando su di loro, in una nutrita serie di opere, a cavallo tra narrativa e saggistica, che si è interrotta soltanto con la sua morte nel 2003.

Infine, un sostanzioso dossier è dedicato da Pulina alla “Origine e destinazione dei Nuraghi nelle testimonianze di autori francesi o che hanno scritto in francese”. È un contributo importante alla battaglia per cui sta combattendo anche lo stesso Pulina, sul riconoscimento dell’importanza della civiltà nuragica nell’ambito della storia del Mediterraneo, e rafforza la proposta di adottarla come materia di studio nelle scuole pubbliche.

Con tutti i sardi, siamo debitori a Paolo Pulina per questa grande iniziativa culturale. Il suo sogno, ben supportato dai compianti Manlio Brigaglia e Tito Orrù, piano piano si avvera: i Circoli degli emigrati stanno diventando sempre più centri di cultura e di conoscenza della Sardegna e della sua storia.

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