LEONARDO SINI, IL MAESTRO

Leonardo Sini nell’immagine di Laila Pozzo

di DANIELE DETTORI

La bacchetta vibra sullo spartito. Pochi istanti di silenzio e nella sala cominciano a diffondersi le note dei vari strumenti. È con questa immagine che vogliamo iniziare la nostra intervista al Maestro Leonardo Sini, nato a Sassari nel 1990, cresciuto a Ploaghe e da qui partito alla volta di una brillante carriera internazionale come direttore d’orchestra. Con lui scopriremo anche la trasversalità della musica, la possibilità di tracciare un parallelo tra orchestra e società con un aneddoto finale che ne illustra gli effetti pratici.

«Dirigere le orchestre è un lavoro che dà grandi soddisfazioni ma che richiede altrettanti sacrifici», spiega per telefono, dove lo raggiungiamo mentre è nel nord Italia impegnato con La Sonnambula di Vincenzo Bellini. «Si viaggia molto spesso, si fa una vita da nomade e si convive, quindi, con un senso di instabilità. Per questo, quando ho un momento libero, mi piace tornare a Ploaghe, riprendere le energie e ritrovare quella tranquillità che può darti il paese in cui sei cresciuto, dove incontri i familiari e gli amici di lunga data.»

È proprio a Ploaghe che il giovanissimo Leonardo si avvicina al mondo della musica. «Suonavo la tromba nella banda musicale del paese che, soprattutto in estate, anima le feste. Per circa quattro anni ho suonato anche il pianoforte, poi ho deciso di continuare gli studi istituzionali con la tromba e ho conseguito il diploma al Conservatorio Luigi Canepa di Sassari. Dopodiché mi sono traferito a Londra per seguire un master di perfezionamento alla Royal Academy dove ho iniziato anche a studiare direzione d’orchestra. Londra è stata un grande trampolino, mi ha permesso di fare tantissime esperienze. Successivamente ho condotto studi specifici in Olanda – ad Amsterdam e a L’Aia – con un master in direzione d’orchestra molto selettivo ma che offre la possibilità di collaborare con tante realtà professionali, sia in Olanda che in diversi Paesi europei. Per uno studente apprendere sul campo il mestiere di direttore d’orchestra, quindi anche come assistente del direttore principale, è qualcosa di molto prezioso.»

Leonardo parte per Londra nel 2013 proprio alla ricerca di queste possibilità. «Volevo mettermi in gioco fino in fondo e per farlo era necessario uscire dall’abituale comfort zone. D’altra parte volevo anche confrontarmi con i miei coetanei al di fuori del panorama musicale più familiare. Ecco perché, al termine degli studi, ho scelto con attenzione alcuni concorsi ai quali partecipare: tra questi la Maestro Solti International Conducting Competition, che prevedeva una prova preselettiva con oltre 160 candidati e tre prove effettive con tre diverse orchestre. Ho vinto il primo premio, grazie al quale ho avuto visibilità internazionale e ho potuto suonare in Ungheria – all’Opera di Budapest – e in diversi altri Stati.»

Già, ma cosa fa esattamente il direttore di un’orchestra? «Quei movimenti che il direttore compie durante l’esecuzione sono una maniera molto basilare per tenere il tempo e una coesione sempre costante tra i musicisti coinvolti. Oltre a questo, il direttore è quella figura che dà un senso e un’interpretazione, ovvero trae dalla partitura un messaggio, chiaramente filtrato dalla propria sensibilità musicale, e lo trasmette al pubblico che lo ascolta. È una sorta di guida che, dalla partitura, riesce a raccontare una storia agli spettatori. Per farlo occorre uno studio che inizia molto tempo prima del concerto e delle prove con l’orchestra: uno studio a tu per tu con la partitura e un lavoro di ricerca. Si tratta, inoltre, di un lavoro in continuo divenire. Per questo, anche quando tutte le prove sono concluse e il concerto è stato fatto, il secondo non sarà mai identico al primo e così via.»

«Una difficoltà che può presentarsi al direttore», continua, «è quella di trovare la giusta sintonia con l’orchestra, tanto più quando se ne incontrano diverse nel corso dei mesi. Ciascuna ha infatti sue dinamiche preesistenti e funziona un po’ come una società nella quale si cerca di inserirsi dal punto di vista umano e, in questo caso, musicale.»

Tra i compositori che predilige ci sono il russo Tchaikovsky (qui traslitterato all’anglosassone, ndr) e l’austriaco Mozart, le cui opere considera affascinanti perché semplici ma allo stesso tempo ricche di sfaccettature. Un’opera che invece non ha mai diretto e di cui sogna, un giorno, di poter fare esperienza è l’Aida di Giuseppe Verdi.

Quando chiediamo se ci sia un aneddoto particolare nel suo vissuto da direttore, Leonardo ci pensa un po’ su, poi risponde: «Nel dirigere le orchestre ungheresi rimango sempre molto sorpreso e colpito dalla reazione del pubblico: dalla maniera, cioè, che ha di applaudire. Noi siamo abituati a sentire applausi tradizionali, più o meno fragorosi, dopo un concerto. Anche in Ungheria, al termine del concerto, iniziano a battere le mani ma a un certo punto il suono si sincronizza in maniera perfetta. Applaudono, quindi, tutti allo stesso tempo e, nel giro di qualche secondo, il battito di mani accelera sempre di più e a ritmo. Un’intera sala tiene il tempo battendo le mani sempre più velocemente fino ad arrivare a un momento in cui questo tempo è talmente veloce che si dimezza e, a quel punto, tutto si rimischia. È sorprendente la capacità che ha il pubblico ungherese di coordinarsi. Non so come facciano.» Poi sorride: «Quanto meno si intendono».

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