ILIENSES – CIVITATES BARBARIE: UN BEL DISCO CHE TRASMETTE EMOZIONI DA ASCOLTARE RIGOROSAMENTE AD OCCHI CHIUSI

di DANIELA MADAU

Partiamo da questo messaggio: “Ciao Daniela, come stai? Spero proceda tutto al meglio. L’ultima volta che ci siamo sentite era per informarti dell’uscita del nostro disco Ilienses. Mi chiedevo se fosse possibile avere una recensione, o anche un’intervista (…). Ci farebbe molto piacere. (…) Un abbraccio”.

Devo ammettere che mi ha preso alla sprovvista ma mi sono sentita onorata. Stiamo parlando dell’album “Ilienses – Civitates Barbarie” che da gennaio è nella mia playlist su Spotify!

E’ stato un ascolto interessante da subito ma dopo questo messaggio… beh, sapete bene, ho nuovamente ascoltato il disco con l’udito e con la pancia.

Ho ascoltato in cuffie, con gli occhi chiusi e… già dai primi minuti mi sono sentita il petto gonfiarsi di orgoglio,

ho sentito il profumo dell’elicriso e del mirto, il suono dell’acqua che sotterranea attraversa la nostra terra,

il suono delle foglie che ci salutano al nostro passaggio, ho sentito scorrere nelle vene quell’istinto naturale che mi fa sentire orgogliosa di essere sarda,  figlia di una Sardegna ricca di contraddizioni, fiera e paurosa, testarda e nascosta, bellissima e sanguigna!

Natascia Talloru e Mauro Medde sono i fautori del progetto musicale Ilienses

Il disco, è un racconto che si perde nella notte dei tempi, quei tempi lontani da cui deriviamo e che ci solleticano la curiosità ogni volta che rimaniamo affascinati osservando la magnificenza dell’età nuragica.

Si, avete capito bene, l’opera (perchè è una un’opera d’arte) riesce a portarmi lì, nel popolo degli Iliensi.

Chi sono? Per i Romani erano gli abitanti della Barbaria, una terra difficile da conquistare.

Per noi, il popolo che ha vissuto l’età nuragica, ha popolato i nuraghi, le tombe dei giganti e i pozzi sacri, coloro che per motivi sconosciuti hanno abbandonato queste costruzioni e noi oggi ci arrovelliamo inventando ipotesi plausibili.

E’ quel popolo che ha tramandato il suo essere grazie alla fierezza e alla maestosità della loro cultura.

Con gli occhi chiusi (un consiglio spassionato per gustarvi appieno e nella sua bellezza il disco) è emozionante cogliere nitidi suoni e musiche.

Abbiamo un fantastico mix di strumenti della nostra tradizione con altri della musica contemporanea: il Canto a Tenore e “Su Pipiolu”, “Su Timbarinu” e i Campanacci ti danno il ritmo della musica e il ritmo della vita.

Un ritmo che sembra incidere il calendario agricolo segnando i cicli delle stagioni, le ricorrenze che da gennaio a dicembre ci accompagnano nella quotidianità.

Suoni che evocano l’immagine della terra e dell’acqua, del cielo e del sole, simboli che ci riportano a una storia passata, la storia di un popolo orgoglioso e indomito che decise di non sottoporsi alle dominazioni che attraversavano il Mediterraneo.

Ma se da un lato il disco si immerge nella storia accarezzando riti e tradizioni ancestrali che ciclicamente si ripetono sino ai nostri giorni, dall’altro l’opera è attuale e contemporanea.

Ci riporta verso luoghi incantati, tra arte, archeologia e architettura, ci racconta la nostra natura e il nostro territorio,

Ma questo è solo il punto di partenza perchè i testi delle canzoni raccontano molto altro: raccontano dell’amore per il proprio passato e per la storia, spiegano quest’anima affascinante della Sardegna, frutto di una storia arcaica, misteriosa e affascinante;

Raccontano lo spirito di una terra un tempo così ambita per i conquistatori e oggi meta indiscussa di un turismo interno che pian pianino, accanto alle coste, inizia a addentrarsi nei piccoli borghi.

I testi, infine, sono cantati con un idioma locale alternati all’italiano. Ok, ora mi aspetto l’affermazione “allora non possiamo capirli tutti”. Eh no!

Punto primo: basta un minimo di cultura generale.

Punto secondo (polemico): vi sfido nel conoscere ogni singola parola della musica che ascoltiamo!

Non so voi, ma io ho qualche curiosità per gli autori:

Perchè la scelta di un titolo così emotivamente impegnativo? Il titolo si rifà alle tribù Ilienses presenti in Barbagia nel periodo romano.Sono stati loro stessi ad attribuire questo nome latino ‘Civitates Barbariae’ che oggi conosciamo semplicemente col termine unico di Barbagia. Essendo il nostro un progetto indirizzato verso lo storico/fantasy ci piaceva utilizzare questo nome, benché non fosse così propriamente intuitivo.

Da dove nasce l’idea del bilinguismo e la scelta di usare l’idioma locale e non la limba comuna? Nel disco sono presenti l’italiano e il sardo. L’italiano è stato inserito perché ci piacevano quei testi, scritti rispettivamente da Antonello Satta, scrittore e giornalista di Gavoi, e Francesco Ciusa, lo scultore di Nùoro. Tradurli in sardo sarebbe stato difficile e avrebbe modificato il senso del loro contenuto. Entrambi fanno da cornice al resto del disco, posizionati come prefazione e come prologo, come fosse un libro che si apre e si chiude nello stesso modo, mentre all’interno si è in un altro mondo, quello degli Ilienses per l’appunto, i quali parlano la loro lingua locale.Sa limba degli Ilienses in questo lavoro immaginario è in realtà quella dei poeti della Sardegna, il logudorese, la lingua scritta.Naturalmente non potevamo permetterci di stravolgere e modificare le poesie di un grande poeta come Peppinu Mereu.Forse si percepiscono alcune varianti come in “A ferru frittu” dove inevitabilmente la nostra parlata locale ha prevalso, con l’utilizzo ad esempio del colpo di glottide.

Dopo un’analisi dell’opera, è evidente che la scelta di un mix di strumenti “Identitari” e “contemporanei” è frutto di uno studio puntuale della storia della Sardegna, da dove parte la vostra ricerca che approda al disco? Il disco nasce con l’intento di dare valore agli strumenti tradizionali, vestirli di suoni nuovi, facendo emergere il loro potenziale. Un modo di spiegare alle persone che questi strumenti non suonano solamente nel modo in cui siamo abituati a sentirli con la tradizione, ma possiedono una loro anima arcaica senza limiti, che può essere inserita nel mondo musicale contemporaneo.Gli strumenti raccontano questo mondo storico/fantasy che trae ovviamente spunto dalla storia remota della Sardegna, a partire dal nome e presente anche nei contenuti.Il desiderio di sperimentare questi strumenti in altro modo era già in noi da parecchio tempo, sin da quando eravamo bambini, poiché fanno parte del nostro vissuto e della nostra cultura.

Quindi, #appenapossibileinsardegna, vi aspettiamo per raccontarvi la nostra terra e la sua bellezza e una volta tornati alla nostra vita quotidiana, selezionate il disco Ilienses – Civitate Barbarie, chiudete gli occhi, e pensate all’esperienza dei vostri tour e, come me, riuscirete a sentire i suoni e i profumi di questa fantastica Isola chiamata Sardegna.

http://damadelguilcier.com/

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Un commento

  1. Mi fido. Lo cerco su Spotify. Lo ascolto. Sonorità moderne ed arcaiche si fondono. Bravi!!.

Rispondi a Antonio Macchia Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *