“RACHELLA”, STORIA DI EMIGRAZIONE E SRADICAMENTO: IL REALISMO MAGICO NEL ROMANZO DI CIRIACO OFFEDDU, MANAGER E SCRITTORE NUORESE

ph: Ciriaco Offeddu

di LUCIA BECCHERE

La magia e il mistero delle antiche storie popolate da personaggi avvincenti di cui erano intrisi i racconti delle nostre nonne che sapevano incantare e dei quali oggi non restano testimonianze, tutto questo nel romanzo Rechella (Gingko edizioni) di Ciriaco Offeddu, ingegnere elettronico, ex presidente di multinazionali all’Italia e all’estero, che ha lavorato in Asia per oltre vent’anni e autore tra l’altro di Zia Suelita, Thirty-four forms of madness, Francesca e L’altalena di Apollinarija.

L’opera, in cui accanto a nomi e descrizioni reali (Nuoro e Argentina) ruotano personaggi inventati come Rechella e Jaja, richiama uno dei più emblematici esponenti del cosiddetto realismo magico: Gabriel Garcìa Màrquez. I frequenti intrecci fra realtà e fantasia offrono molteplici piani di lettura, così nel romanzo, il confine fra sogno e realtà sfuma grazie alla capacità dell’autore nel far sì che non si possano delineare confini fra ciò che è reale e ciò che è magico, perché «noi quel realismo magico ce lo portiamo dentro». Da questo assioma nasce da parte di Offeddu il riferimento religioso al regno di Dio che è in mezzo a noi e non da un’altra parte, dunque i nostri morti sono sempre con noi pur essendo in un’altra dimensione.

Rechella, simbolo di donna libera e determinata, muove sentimenti universali: amore, sogni, famiglia, alienazione, nostalgia, guerre e vendette mentre va alla ricerca di risposte e soluzioni. Protagonista indiscussa, rappresenta Nuoro «crocevia del bene e del male». Nuoro, luogo del male, incarna anche il bene che riesce a vendicarsi del male ( sa surbile) fino a sconfiggerlo, quindi è lei che lo rappresenta nei due estremi. Un unico filo conduttore lega i personaggi fra loro, ciascuno con il proprio messaggio. Gavino che con Rechella tiene vivo il contatto con lettere e messaggi, rappresenta gli emarginati di Nuoro: una pletora di artisti genialoidi che vivendo in città non potevano mai essere accettati fino in fondo in quanto istranzos o perché, come Francesco Congiu Pes (Nuoro 1887/1961), per le sue umili origini era considerato un mezzo pittore morto di fame senza mestiere che sbarcava il lunario affidandosi alla generosità di improbabili benefattori, vittima da parte dei suoi concittadini della nominazione caricaturale di ConzuMandrone «Perché Nuoro non è portata alla gratitudine o ad ammettere una qualsiasi altra grandezza».

Nel testo temi forti quali su disterru, «essendo noi un popolo di emigranti ogni famiglia ha avuto un suo emigrante, col suo carico di sofferenza nel dover andare via, condizione che ha inciso sui nostri caratteri, sul nostro modo di essere, sulle nostre famiglie», si alternano a pagine di pura poesia nella quale nei silenzi penetrati dall’autore, persone e cose diventano per noi verità assolute, aforismi universali tanto che neve pioggia e vento si caricano di diversi significati scanditi da una sinfonia struggente e il paesaggio dell’anima si fonde con quello della natura. Allora tutto si anima dentro di noi e si impossessa di noi sublimando sentimenti e percezioni e nessuno è più lo stesso. «Il pastore nel suo territorio è Dio. Lo spirito dei luoghi deserti s’impregna nell’animo e nei geni, plasmandoli. Non si vede nessuno eppure non si è mai soli. Ma la sua forza è la sua solitudine. E il pastore è un tutt’uno con la natura, col suolo, l’acqua, la roccia e il cespuglio ». La magia che contempla il mistero si ripete ancora nell’intimo dialogo fra Rechella e il padre in quel luogo sacro che è il cimitero dove segni e sussurri si caricano di simboli e significati, per il lettore percorsi di riflessione.

Il romanzo, che nella sua prima pagina offre al lettore una confessione d’amore di una dodicenne – di un primo amore puro e infinito «Perché il primo amore taglia il respiro» – si chiude con la parola «Sola» quasi a voler sottolineare la solitudine interiore della protagonista costretta ad andare via spogliata da tutti gli affetti più cari: «Parto di nuovo verso Occidente… la mia valigia dimessa come la mia volontà, una bottiglietta d’acqua minerale in mano. Sola» perché «noi non siamo al centro del mondo ma solo viaggiatori».

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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2 commenti

  1. “La mia vita è un decorso di cerimonie incompiute
    non ho seppellito i miei genitori
    non ho avuto figli
    non ho davanti a me un abisso nel quale perdere la mia vita non sono passata dalla casa di un uomo a quella di un altro
    in silenzio quello vero
    che mi sostiene dietro a tanto rumore
    preparo un’eternità”.
    Juana Bignozzi, ‘Una foto del momento’, LietoColle

  2. Grande, Ciriaco Offeddu!

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