GLI ANGELI CUSTODI DEI PIU’ DEBOLI: IL GRANDE LAVORO DEI VOLONTARI NELL’ERA DEL CORONAVIRUS

di SILVIA SANNA

Proviamo a pensare a che cosa sarebbe successo senza di loro. Immaginiamo cosa avrebbero fatto i nostri anziani se in queste settimane durissime qualcuno non li avesse aiutati. Tutto sarebbe stato più complicato e molto più pericoloso. Perché senza l’esercito di volontari che porta la spesa a casa, va in farmacia ad acquistare i medicinali e accompagna a fare le visite mediche, tanti anziani sarebbero stati costretti a farlo da soli correndo gravissimi rischi. Ma non è solo questo: il volontario che bussa alla porta e sorride è un balsamo per il cuore ammaccato di chi ha figli e nipoti lontani. Lo sguardo gentile di chi si impegna per gli altri senza chiedere nulla in cambio è l’unico dolce ricordo che ci lascerà questo periodo terribile.

Insieme alla speranza che certi sentimenti non vadano perduti. I volontari sono un patrimonio da coccolare. Sono facce, quasi sempre giovani, visi puliti e tanta voglia di fare. I volontari, 6mila in Sardegna, sono stati tra i primi a capire che bisognava rimboccarsi le maniche. Sono abituati a lavorare in situazioni difficili, ad alto rischio. Il coronavirus ha amplificato a dismisura il livello di pericolo ma per loro non è cambiato niente. Al contrario, più è forte il bisogno di loro, più loro ci sono e sono pronti a fare di più. Anche a costo di rimetterci. Perché nelle prime settimane dell’emergenza quando mancavano i dispositivi di protezione, come i guanti e le mascherine, i volontari li hanno pagati di tasca propria: l’alternativa era fermare le ambulanze e tutti i servizi di soccorso. In gioco c’era la salute, la loro stessa vita. Nessuno li avrebbe giudicati e condannati se avessero deciso di incrociare le braccia. Ma non l’hanno fatto. Si sono organizzati e sono andati avanti, perché fermarsi avrebbe significato tradire la loro missione. E se la voglia di fare del bene ce l’hai nel dna, allora reprimerla è come farsi violenza. Allora via, sempre in campo, a distribuire servizi e spargere sorrisi.

Chi si è ammalato ed è guarito e chi ha affrontato la paura da solo, ha un desiderio: stringere la mano e dire grazie ai medici, agli infermieri e ai volontari che nel momento più brutto erano lì, come una seconda famiglia. Si fa fatica, sotto le mascherine, gli occhiali e le divise, a distinguere i volti. Ma le voci restano impresse nella memoria in maniera indelebile. Mai dimenticheranno quei suoni gli anziani che dalla rete dei volontari sono stati sostenuti materialmente e psicologicamente. La loro quarantena, spesso vissuta in totale solitudine perché i compagni di una vita non ci sono più e figli e nipoti sono lontani, è stata resa meno amara da quel citofono che squilla per dire “signora ho la sua spesa, la lascio nel pianerottolo”.

L’ansia per il domani è meno forte se sul comodino ci sono le pastiglie salvavita recapitate a domicilio da quell’altro ragazzo che è andato a ritirarle in farmacia. Ed è di grande conforto sapere che la visita medica fissata da tempo non dovrà saltare, perché giù per strada ci sarà un’ambulanza pronta ad accogliere il signore anziano e portarlo in ospedale. Poi la stessa ambulanza lo riaccompagnerà a casa e i volontari a bordo completeranno la loro missione quotidiana consegnando i pacchi carichi di cibo a chi ha bisogno e non è in grado di provvedere da solo a fare la spesa: per fortuna, ci hanno pensato tante persone generose che hanno acquistato qualcosa in più solo per loro, dal pacco di pasta al cartone di latte, sino ai pannolini per i più piccoli, e chi ha figli sa che quelli non bastano mai. Alla fine di tutto ci saranno tanti grazie da dire e tante carezze da dare, gesti d’affetto trattenuti ma solo rimandati.

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