TACITA MUTA: A ROMA, CON IL GREMIO DEI SARDI, IL PREMIO DEDICATO ALLE LINGUE MINORITARIE

di LUISA SABA

Il conferimento del premio internazionale Tacita Muta a Silvia Piacentini, poetessa in lingua friulana, e a sua figlia Caterina Fiorentini,musicista e cantautrice,avvenuta il 22febbraio 2020 presso la Casa delle Regioni a Roma ,UNAR di via Aldrovandi a Roma, ha segnato l’impegno congiunto dell’Associazione dei Critici Letterari, dell’Associazione del Gremio dei Sardi di Roma del Fondo VP  Sardinia, del Fogolar Furlan ,nel  riconoscere il lavoro di chi contribuisce alla valorizzazione e diffusione delle lingue madri .

Il Premio Tacita Muta è dedicato alle lingue minoritarie e si celebra in occasione della giornata mondiale ad esse dedicata per decisione dell’Unesco. L’evento catalizza una molteplicità di interessi che coinvolgono popoli e nazioni all’interno delle quali vivono diverse culture linguistiche, considerate maggiori o minori a seconda dell’importanza e del peso che a loro attribuiscono gli ordinamenti giuridici dei rispettivi governi. Oggi l’Unesco alla tutela delle lingue minoritarie collega un altro importante obiettivo, quello di inserire nell’ambito dei diritti umani la tutela della lingua nativa, la lingua materna, considerata elemento costitutivo e identitario della umanità stessa.

Il dibattito che si e sviluppato durante l’incontro del 22 febbraio, condotto con rigore da Diego Corraine, studioso di lingua sarda, presidente della “Sotziedade pro sa Limba Sarda“ e da  Federico Vicario, presidente della Filologica Friulana, ha ripreso il travagliato percorso giuridico che nell’ Italia repubblicana hanno seguito le lingue minoritarie . Benché protette dall’Articolo 6 della Carta Costituzionale, esse sono state oggetto di un dibattito lacerante tra chi teme che la difesa delle lingue minoritarie metta in discussione la unità linguistica del Paese, e chi invece vuole difendere le lingue minoritarie senza sentirsi diverso ed essere discriminato in base alla lingua parlata. Pregiudizi teorici e contrasti ideologici hanno caratterizzato e continuano a dominare il dibattito sulle lingue minoritarie e contrassegnano nella pratica modelli di intervento diversi che vanno dal bilinguismo assoluto, es\Regione val d’Aosta, al separatismo linguistico del Trentino Alto Adige, alla opzione de Sa limba comune nella Sardegna. Ha tentato di portare ordine in questo dibattito la Legge n 482\ 1999, pensata per stabilire criteri condivisi nella identificazione delle minoranze linguistiche, limitandosi peraltro a quelle definite di minoranza storica, trova il suo merito maggiore nel richiamo e rispetto delle diversità culturali religiose, etniche e linguistiche come fatto costitutivo della Unione Europea. Giusto nel rispetto delle diversità linguistiche si possono tracciare le basi di un approccio realmente interculturale che valorizzi i contesti nativi, che porti le Comunità a stringere patti di reciproco rispetto, accordi fruttuosi di scambi tra le persone, apertura di una prospettiva plurilinguistica.

Il plurilinguismo è sia una dimensione collettiva, sia una competenza personale che comprende tutta la gamma di lingue e di varianti che ciascuno di noi possiede. La lingua materna, la conoscenza di almeno due lingue comunitarie, necessarie per prendere parte alle interazioni interculturali, e poi la lingua nativa come può essere l’albanese, il catalano, il croato, il provenzale, il ladino, l’occitano, il friulano, il sardo.

 Come può essere tutelato lo spazio di questi molteplici idiomi? La legge del 99 riconosce la esistenza sul territorio nazionale di Comunità con lingue diverse dalla lingua nazionale, ammette che la loro forza sia legata al radicamento ed al legame di appartenenza al territorio e si propone di individuarne criteri di riconoscimento, strumenti di tutela e di normazione   Rimangono tuttavia aperti i temi di base, che non sono giuridici ma culturali ovvero che una lingua per vivere deve avere chi la parla, non solo nella vita privata ma anche nelle varie occasioni della vita sociale, e per essere viva e vitale deve avere qualcosa da dire e da voler dire. Temi che insisto non possono essere ridotti all’ambito giuridico e/o socio -linguistico, ma abbracciano il cuore della stessa identità umana, la lingua come elemento costitutivo dei diritti umani, compreso il diritto alla sua libera espressione e alla sua auto determinazione.

Ecco come il tema delle lingue minoritarie si allarga dalla visione dell’Unesco a quella dell’ONU, che con un salto concettuale passa dalla richiesta di pari dignità per le lingue di minoranza alla affermazione del valore della differenza delle lingue umane tout court. Valore essenziale nella costruzione della pace, nella conservazione della biodiversità e nella costruzione di uno sviluppo sostenibile. Sono 6700 le lingue parlate oggi nel mondo dai popoli indigeni, patrimonio inestimabile, che rischiano di ammutolirsi entro il 2100 a scapito del predominio delle lingue dominanti, come l’inglese, il cinese, lo spagnolo. Proteggere le lingue native significa mantenere in vita chi le parla, 570 milioni di persone fragili e povere che continuano a subire colonizzazioni e genocidi da parte di popoli più ricchi e forti. Nella lettera enciclica “Laudato sì“ sulla tutela del Creato ( paragrafo 145) e poi nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia nel 2018 in Perù, Papa Francesco parla del grave pericolo culturale rappresentato dalla scomparsa delle lingue e della importanza della lingua madre. Essa, sottolinea, è un baluardo contro le colonizzazioni ideologiche e culturali, contro il pensiero unico che vuole distruggere le diversità.” Cancellare la lingua è come cancellare la storia, come dire che la storia comincia con il racconto che ne fa oggi il soggetto più forte che nega, adesso, la memoria che ci hanno trasmesso. Conservare la lingua materna significa resistere a questa imposizione culturale! (Santa Marta, 23 novembre 2017) ”Ogni lingua è una visione del mondo, una riserva di conoscenze ed una espressione di integrazione dell’uomo con la natura, con l’ambiente e con il territorio in cui vive. L’unico modo perché non si perda la lingua e con essa la cultura di chi la parla è che non se ne cancelli la storia, che si tuteli la diversità di cui è portatrice ma allo stesso tempo che si dia vita a un dinamico e costante movimento di incontro, di dialogo e di meticciato con altre lingue e culture.

 La storia di Tacita Muta l’avevo conosciuta qualche anno fa grazie al racconto che la sensibilità di Neria De Giovanni ha riportato alla nostra attenzione con un piccolo denso testo dedicato al mito di una ninfa (Tacita Muta, la dea del silenzio, Nemapress Alghero 2018) a cui è dedicato il premio valorizza le lingue minoritarie. La lettura del mito mi aveva già ad una prima lettura colpito per tutto ciò che di simbolico evocava la vicenda, ricordata nelle metamorfosi da Ovidio, della naiade Lala, che avendo saputo delle mire insane di Giove, re degli dei, su sua sorella Giuturna, la informò del pericolo; nel tentativo di difenderla informò anche Giunone, la sposa gelosissima di Giove perche intervenisse a frenarlo. Saputa l’indiscrezione Giove, infuriato punì ferocemente Lala, le strappò la lingua e poi la affidò a Mercurio, perché la umiliasse e la riducesse al silenzio eterno dell’oltretomba. Ma dall’abuso di Mercurio e nel profondo silenzio dell’Ade Lala, tacita e muta, concepì due gemelli, i Lari, destinati a rappresentare nella tradizione latina gli dei del focolare, i custodi della casa, in onore dei quali e di Tacita Muta a Roma si celebravano, dal 18 al 21 febbraio di ogni anno, le feste dette Parentalia.

Ovidio attinge nelle sue opere ai miti della cultura greca che aveva proposto un mondo dominato dalla polis, al centro della quale c’erano gli dei e gli eroi per i quali le donne erano considerate possesso e strumenti del gioco erotico, esseri decisamente inferiori, e persino in alcuni miti appartenenti ad una specie diversa da quella degli uomini, come è il caso della naiade Lala. Dopo aver celebrato e rievocato nell’Ars Amatoria i molteplici affascinanti miti greci ricchi di carica erotica e libertaria Ovidio, in un clima culturale più austero inaugurato da Augusto Imperatore, si dedica, nelle Metamorfosi, alla rievocazione di miti collegati a riti fondanti, tesi a promuovere valori identitari e a celebrare numi tutelari della civiltà romana. In questa prospettiva va visto il mito di Lala : più che della prevaricazione del maschio padrone sulla donna, più che nella paura della liberta di giudizio  femminile, più che della condanna dello stupro e della violenza sulle donne, suggestioni potenti, universali, presenti nella storia degli uomini oggi come in quella di tanti secoli fa, il mito di Lala  ci porta in maniera figurata alla nascita del linguaggio e della parola come eventi fondanti della civiltà umana . Parola che nasce nel silenzio e dal Silenzio, parola che senza il corpo non potrebbe esistere. Parola costitutiva dell’Essere. Essere e parola sono in relazione, non esiste l’uno senza l’altra, non si possono separare. La inscindibilità tra corpo e parola è il nesso fondante e l’essenza stessa della identità umana. Giove strappa a Lala la lingua e Mercurio le toglie la possibilità di comunicare, ma la violenza dell’uno e dell‘altro non annientano in Lala la possibilità di generare e di creare vita. La parola si trova al livello dell’Essere, è costitutiva di tutte le cose, è il frutto, essa stessa, del sacrificio del silenzio dal quale è nata. Lala nel Nulla dell’Ade trova la condizione di Silenzio che le permette di risorgere, di svelare la sua essenza, di creare la relazione costitutiva dell’Essere, i Lari. Essi sono concretamente i custodi del focolare e della città, custodi della cultura della casa e degli interlocutori che in essa si relazionano. Chi toglie o minaccia la lingua di un focolare colpisce la persona nella sua essenza, in un diritto costitutivo della sua umanità. Il mito dice che il potere può colonizzare una lingua, offendere e non rispettare una cultura, ma questa rinascerà se ci sono esseri che la parlano e spazi in cui si possano esprimere. Tacita muta, dea di un Silenzio da cui nasce la vita, simbolo della parola che custodisce il focolare, che trasmette alle nuove generazioni la bellezza e la sacralità della lingua e della forza materna.

Non poteva avere destinatarie più degne di Silvia Piacentini e Caterina Fiorentini sua figlia, il premio Tacita Muta 2020. Silvia Piacentini medico friulano, ripercorre la sua vita in un piccolo denso volume, “SCRITTI “che ripercorrono i tempi di vita della autrice; bambina, donna e mamma, che arriva al terzo millennio raccogliendo pensieri, poesie, corsivi che scrive sia in italiano che in friulano. Protagonista assoluta degli scritti la casa dove la Piacentini è nata, il Priorato, una antica struttura dove già dal 1200 aveva sede un piccolo nucleo cistercense; immerso nelle terre del Varmo, ricche di pioppi, di acacie e ciliegi. Il Priorato fa evocare le voci di una larga famiglia tradizionale, con zii, nonne, parenti che condividono piccole gioie e grandi dolori, partenze e ritorni dalla guerra, sofferenze di madri tenere spesso ammalate; profili, tutti, che si sfumano nei colori della natura e nell’alternarsi delle stagioni. Il vento e il sole di marzo, i pioppi pallidi, le nebbie di autunno, la luce “timida come un daino “che avvolge i paesaggi domestici, sono immagini poetiche espresse con parole che acquistano nella parlata friulana il ritmo musicale e la dolcezza di una ballata malinconica. Anche l’incontro di Silvia con il suo grande amore ha come sfondo la natura, avviene presso il greto di un fiume amico, ricco di acque fresche e di sassi lucenti dove il tempo si ferma in attesa dello sbocciare di un fiore e del prossimo incontro amoroso. Il filo rosso della sua vita e della sua scrittura, dice Silvia Piacentini, è l’amore per la sua terra e per la casa in cui è nata.

Passione che sua figlia Caterina eredita, riconoscendo alla madre di averle dato, insieme alla vita, parole per vestire i pensieri, le emozioni, le idee dentro le quali è cresciuto il suo amore per l’arte. Caterina dedica a Silvia le sue poesie tradotte in musica e continua a tessere il filo rosso di una tradizione poetica e canora che ora è passata alla nipote Beatrice. Regalano al premio e al Gremio insieme alle loro poesie e ballate anche una commovente interpretazione di “Non Poto reposare”. Chi mai ha detto che il problema delle lingue minoritarie è quello della resistenza delle Istituzioni a riconoscerle e delle nuove generazioni a parlarle? Il premio Tacita Muta alle Piacentini ci dice che la lingua non muore quando c’è un ”fogher“, unu “foghile” acceso e chi ne alimenta la fiamma con amore.

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