“LE SPOSE DELLA LUNA” IL LIBRO DI EMMA FENU, UN VIAGGIO NEL CUORE PIU’ PROFONDO DELLA SARDEGNA

di PIER BRUNO COSSO

E poi la narrativa si libera dei vincoli della scaletta e si sfrangia come mare sugli scogli. Romba, urta, urla, si scompone in mille goccioline, schiuma… Via dalle consuetudini ingessate, il racconto incontra il caos delle emozioni e s’innalza come onda impetuosa: solo potenza, niente regole.

Parliamo di una narrativa con la tempesta, di una narrativa costiera in una costa irrequieta dove insiste il maestrale. Vento che ad Alghero profuma di mare. Non ho dubbi che nelle vene dell’autrice algherese, che tra un attimo vi svelo, scorra la forza del mare. Quel sommergere, scoprire, nascondere e riportare, o far partire verso l’infinito, quel… quel che è mare!

Questo è proprio ciò che fa Emma Fenu. Infatti parlavo di lei, e del suo ultimo libro: Le spose della luna (Officina Milena 2020). Qui lei fa uscire il racconto dai soliti vincoli dei binari narrativi per trasformarlo in rotta imprevista in mare aperto, dove vai controvento, contro tutto, a tagliare l’onda sulla cresta, a farti portare un po’ dalla corrente, un po’ dalla tempesta, un po’ dove vuoi tu. Comunque è un viaggio in un mare senza mare, perché il mare ce lo devi mettere tu.

Il lettore non è accompagnato per mano, su una rotta prestabilita, a scoprire un quadro dopo l’altro la consequenzialità logica del racconto. No, non aprite il libro aspettandovi qualcosa di banale, perché in queste pagine di banale non c’è niente. Si viene strappate (e poi dirò perché al femminile) dalla poltrona ideale di lettura e buttate nel mare alto della vita, quando la vita era veramente tempestosa, ai primi del Novecento, nel cuore più aspro della Sardegna. Dove in effetti il mare non c’è. Quello liquido, almeno, perché il supramonte è insidioso come il mare, le valli sconfinate sono desolate come solo il mare sa esserlo, e lo stesso paese al centro della storia è arroccato su se stesso, come un’isola nell’isola. Un’isola letteraria, o culturale, o reale. Non è importante stabilirlo, e forse è le tre cose insieme.

E tu stai lì, dentro le righe a orientarti con la bussola verso quei valori arcaici, ma terribilmente connessi con quelli attuali, a combattere e a soffrire, perdendo anche pezzi, senza quella linearità tutta liscia e regolare che nella vita vera, in realtà, non si trova mai. E allora è giusto che anche nel libro venga spezzettata.

Emma Fenu arriva a uno stile così intenso che le frasi diventano emozioni da abitare. E il racconto resta molti passi più indietro. Anzi, rimane lì, senza che sia racconto, in mezzo alle storie che succedono, che fanno male, che fanno il pane, che celebrano il miele, che si disperano per un lutto inconsolabile, o che si nascondono nelle grotte. Così anche le grotte potrebbero essere le grotte della nostra vita, in una simbologia di interiorità antica e incontaminata, eppure nuova, esposta al freddo, alla fame, e scaldata dal fuoco. Perché il fuoco è sacro, come il miele, come il pane fatto con le mani, come il freddo. E il circolo si chiude, tra sacralità e amore, perché vivere tra le intemperie della vita, ci suggerisce l’autrice, è lo stato dell’arte.

Ecco, tutto è simbolico e tutto è vero. Le spose della luna alla fine è un’area della nostra storia di ieri. E per questo è un’area di quello che siamo oggi. È un’area che per certi versi vorremmo misconoscere, perché c’è sofferenza, c’è cecità alla Saramago, ma c’è il Dna di quello che ci ha fatto diventare grandi, forse adulti. Emma Fenu non racconta, appunto, disegna le emozioni: fa arrabbiare, fa piangere, somministra il miele, fa sgocciolare la speranza, la delude, la rianima, incontra il dolore e lo supera. Perché forse la via della salvezza è quella che incontra il dolore e lo supera.

L’autrice sapientemente ci porta dentro le atmosfere dell’epoca facendoci sentire i profumi, i colori e i sapori. Nei libri della scrittrice algherese tutto questo si trova sempre intensamente, ma qui sembra che si sia spinta oltre, dove “oltre” è un paesaggio interiore, da scoprire, antico ma terribilmente vivo, dove si entra in punta di piedi, e si rimane contaminati.

La storia è ambientata in Sardegna, nel cuore più profondo di “questa nostra Isola” che “ci è patria e madre, anche se ci allatta di veleno e ci svezza troppo in fretta, costringendoci a mordere con i calli delle gengive, come orfani in attesa di denti aguzzi”.

Certe volte le descrizioni sono dure, perché la realtà è dura, e l’autrice non fa sconti.

Il romanzo è ispirato a una storia vera, quella di Paska Devaddis, una ragazza di Orgosolo costretta alla latitanza ai primi del Novecento. Era stata una vicenda che aveva destato tantissimo clamore, interessando la cronaca nazionale. Anche perché erano gli anni di una terribile faida che aveva insanguinato il paese per ben dodici anni.

La bandita, famosa per andare a cavallo e sparare col fucile come i maschi (quasi una blasfemia all’epoca), morì giovane di tubercolosi, forse anche per gli stenti della vita alla macchia. Bandita e innamorata, intensamente donna rivoluzionaria, e vittima, forse assassina, sicuramente ribelle rispetto ai vecchi archetipi, ma viva, per come lo intendiamo noi, e per il suo amore: «Ci amiamo fino a morirne, ci amiamo con l’intensità di chi conosce anche il vero odio. Allora “lui”, il fucile, ce lo ricorda: siamo banditi».

Da questa donna meravigliosamente forte Emma Fenu trae ispirazione per disegnare Franzisca, la protagonista principale, vera struttura portante del romanzo.

Così fantasia e storia vera si fondono, ma senza romanzare la realtà. Si fondono trasformando un romanzo in storia vera, più che storia vera in romanzo. Perché quella che palpita davanti agli occhi di chi legge è vita, è dolore, è passione, è speranza, è dura realtà, attenuata solo dal viraggio color seppia.

Senza accorgertene prendi un po’ le distanze, perché il salto temporale è lungo, ma solo un poco, perché fatalmente il libro resta lì, nel tempo di oggi, tutto intorno a te.

Un libro al femminile dicevo; ma non perché ci sia una visione parziale, escludente, orientata solo verso l’altra metà del cielo, tutt’altro. Al femminile perché fa intendere che la storia, la storia per antonomasia, è al femminile. O almeno al femminile e al maschile di pari grado.

Se ci pensiamo bene, tra i banchi, abbiamo imparato una storia al maschile, con rare eroine, seppure monumentali e importanti. Ma la storia, si dice, la scrivono i vincitori, forse indicando soprattutto la limitazione di genere. Qui protagoniste sono soprattutto le donne, e non per “rubare” la scena agli uomini, ma perché nella vita loro ci sono, ci sono naturalmente, pesantemente, nel senso che sono fondamentali, determinanti. Ci sono. Ci sono. Ci sono. Va ripetuto una volta per ogni epoca che non l’abbiamo detto, visto e capito. Ci sono, e, possono, userò una parolaccia, “intimorire” certi uomini.

Sicuramente un secolo fa c’era ancora un secolo di distanza, ma Emma Fenu dà, alle donne, alle nonne, alle madri, alle bandite, una voce molto potente, pur con le sofferenze e le diatribe che si subivano allora.

Molto significativo un pensiero di Franzisca che, sognando un matrimonio che non avverrà mai, si immaginava: “Sposa, a casa mia, padrona di ubbidire a mio marito facendogli credere di comandare”.

Emma Fenu per comporre questa frase usa parole pesantissime, assolutamente rivoluzionarie cent’anni fa, e forse anche oggi. Intanto spara a bruciapelo il verbo “ubbidire”, che ora stonerebbe anche per ammaestrare le pulci, e poi lo incastona acrobaticamente prima del termine “padrona”, che ne inverte il senso. “Padrona”: una sola parola di un forte peso che l’autrice usa sapientemente in modo sovversivo, per la frase e per l’epoca. E comunque la chiusa strizza l’occhio alla superiorità delle donne, anche quando i maschi non lo sanno…

Per poi rifilarci, a noi uomini, una graziosa, piccola, stoccata che pure non riequilibra millenni di vento contrario: “gli uomini non riconoscono il bianco dal nero… le eredi dell’antico sapere siamo noi donne, janas con nelle mani fili annodati per far nascere o recisi a far morire”. Come ribadire che il vero potere, quello della vita, quello che dà meravigliosamente la vita, è loro, da sempre, e prima lo capiamo prima andremo avanti. E prima la storia sarà vera.

Credo che Emma Fenu non voglia fare la morale col suo Le spose della luna, ma raccontarci la vita in quadri, una vita disordinata, dove non va mai tutto liscio, dove per sopravvivere ci vuole una madre, una fata, una nonna, una bandita, una janas, una ribelle, una che sa comandare e se le va fingere di ubbidire, ci vuole tantissimo, insomma, ci vuole una donna. Perché solo allora è vita, è storia, è pane, è romanzo vero.

Emma Fenu, nata e cresciuta respirando il profumo del mare di Alghero, ora vive felicemente a Copenhagen, dopo aver trascorso un periodo in Medio Oriente. Ogni cinque anni, per esigenze lavorative, cambia nazione o continente. Laureata in Lettere e Filosofia, ha conseguito un Dottorato in Storia delle Arti. Scrive per lavoro e per passione. Si occupa da anni di storia delle donne, di letteratura e di iconografia; recensisce libri e intervista scrittori per vari siti web; gestisce il blog “Cultura al femminile”; tiene corsi di scrittura creativa e insegna lingua italiana agli stranieri. Oltre alle pubblicazioni con Officina Milena, ha già pubblicato con Milena Edizioni il saggio “Nero rosso di donna” e le filastrocche per bambini “È da una fiaba che tutti arriviamo”.

https://www.facebook.com/emmafenuautrice

https://www.officinamilena.com/emma-fenu

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4 commenti

  1. Ringrazio con commozione Pier Bruno Cosso, amico e collega, per avermi accolta, compresa e raccontata perfino a me stessa e tottusinpari per la meravigliosa ospitalità.

  2. Bellissima presentazione Pier Bruno. Viene il desiderio di scoprire il nuovo racconto di Emma bravissima e coinvolgente scrittrice isolana.

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