L’ULTIMO APPUNTAMENTO PRIMA DEL ‘BLOCCO’ AL C.S.C.S. DI MILANO, “TESSITURE DI DONNE” LA RICERCA DEL SENSO DELLA VITA ATTRAVERSO IL RACCONTO DI ANTONIETTA LANGIU

nella foto da sinistra: Giovanni Cervo, Pierangela Abis, Antonietta Langiu

di SERGIO PORTAS

Diciamo la verità: non è da tutti avere il privilegio e la ventura di presentare un libro della “mia maestra delle elementari” (ottantatré anni a maggio, ndr.) e Pierangela Abis, già presidentessa per anni del circolo culturale sardo di Milano, non cela la sua emozione quando rammenta che allora, tutte e due erano ancora in quel di Berchidda parecchi anni fa (cinquanta?): “ Pensate che si stava sposando e noi scolare facemmo una colletta per farle un regalo di nozze! Era molto giovane, o così ci pareva, e poi andava sposa a un marito marchigiano, alto e magro, un continentale, nientemeno!”. Ride di gusto Antonietta Langiu, nessun cenno a questo suo marito che sarebbe diventato celebre artista ( Ottorino Pierleoni), del resto oggi è lei la “star” che viene qui a presentare questa sua ultima fatica di scrittura: “Tessitura di donne”, per Manni editore, lui in verità pare che ci provi a ricordarle che dovrebbe riguardarsi di più e viaggiare di meno, ma lo fa giusto così, che bene conosce questa sua moglie dalla tenacia di acciaio temprato. Del resto osa scrivere di sé nel suo profilo “Facebook”: “…So’ vecchiu, stancu e malandatu; / sento la tremarella jo le gambe, / me pare de casca’ continuamente, / me pare de morì ad ogni istante. / Me ncazzo tanto da sembra’ violentu, / come dannatu urlo e creo spaventu. / Chi me conosce, guardenneme a le spalle, / se mette a ride quasci a crepapelle: / è come se vedesse, in un lampu travestitu, / n’ agnellu a lupu nferocitu. / …”. Che coppia ragazzi! Pensate che il primo libro di racconti che Antonietta ha scritto: “Sa Contra”  (la parte posteriore nascosta della casa) del 1992 ha la prefazione della sua amica  Joyce Lussu. Anzi è stata lei Joyce a spingerla a pubblicarlo: “ Sa Contra, è una massa di rocce subito dietro il paese, da quella più alta si potevano scorgere la strada ferrata e le macchine che correvano, già allora, da bambina, scrivevo dappertutto e sognavo di andare via. La vita mi ha portato a vivere nel paese di mio marito, nelle Marche, e per vicina di casa avevamo questa Lussu che si era incuriosita delle cose che andavo scrivendo e che pensavo fossero solo mie. “Non esistono cose tue, quando si scrive”, mi disse un giorno. Scrissi a macchina qualche racconto e glieli portai, col cuore che mi batteva a mille, conoscevo la sua intransigenza e attesi che si pronunciasse quasi la sua fosse una sentenza: “E’ bello che tu le pubblichi”. Grande Sibilla, la chiama Antonietta in questo suo ultimo libro e di meno davvero non potrebbe. Nè noi potremmo fermarci solo al nome, senza per lo meno ricordare di lei quanto fu grande nella poesia, nella scrittura, nella traduzione, nel suo essere stata partigiana, femminista e antifascista. Di nobile famiglia fiorentina ricca di cultura e di storia patria ( nonno e zio con Garibaldi a difesa della repubblica romana) padre e fratello che il fascismo voleva morti da subito, e che costrinse la famiglia a riparare in Svizzera (lì, lei già bilingue, oltre all’inglese imparò anche a parlare in  tedesco e francese). Poi l’incontro con un mito dell’antifascismo militante: “Mi innamorai perdutamente di un uomo del terzo mondo. Un uomo che veniva da un villaggio di pastori sperduto tra le montagne della Sardegna: Emilio Lussu”. Il leggendario tenente della “Sassari”, Mister Mill di Giustizia e Libertà, lo scrittore di “Un anno sull’altipiano”, tra i fondatori del “Partito sardo d’azione”, che sarà nel dopoguerra più volte ministro. Con lui visse le peripezie della clandestinità: “ Cambiavamo abitazione come cambiavamo il cappotto. L’Ovra (la polizia segreta di Mussolini, ndr.) gli dava la caccia”. A guerra finita, un figlio piccolo, quando si rese conto che stava diventando solo “la moglie di sua eccellenza” decise di scappare: “Presi su il bambino e me ne andai in Sardegna”. Qui si trovò ad organizzare il movimento delle donne sarde e contemporaneamente passò ad un mestiere insolito: la traduzione dei poeti rivoluzionari del terzo mondo, da Nazim Hikmet ad Agostino Neto a Ho Chi Min. “ I guerriglieri dello Zimbawe o i comunisti iracheni non avevano mai sentito parlare di Emilio Lussu e io non ero la moglie di nessuno: ero solo io come Simbad il marinaio che cercavo le avventure per poterle raccontare”. Tra i suoi “racconti”, tra i suoi versi, ci piace ricordarne uno per tutti, che finisce dicendo  di quelle “scarpette rosse numero ventiquattro, ammassate tra le tante a Buchenwald, scarpette quasi nuove perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole…”. “Il libro è molto bello, dice Pierangela Abis, la scrittura semplice, è un libro di intrecci, di fili, di trame che tessono le vite dei personaggi. C’è una donna che irrompe nella vita della scrittrice, da qui una alternanza di voci che si riflette anche nella grafica della scrittura, temi attuali, storie di viaggi, di persone. Ricerca di senso della vita attraverso il racconto. E tutto riporta alla Sardegna”. Legge Pierangela: “Quando la vita decide di farti un regalo, è allora che incontri una persona che non dimenticherai più, e le vicende della sua esistenza diventeranno parte della tua. L’ho incontrata: ho incontrato la Grande Sibilla, una eccezionale donna del Novecento, e non l’ho più perduta di vista, neanche ora che se ne è andata in un luogo e in un tempo lontani da noi e da cui, credo, non si possa ritornare. Ho incontrato altre donne nel mio cammino, e ho ascoltato tante storie…” (pag.4). Una delle tante è questa: la protagonista nasce in un paesino della Sardegna da due genitori che da lì erano fuggiti a Roma per salvarsi dalla miseria delle loro famiglie, ritornano in paese per far vedere di avercela fatta, lei nasce lì durante un carnevale ricco di maschere inquietanti, settimina e dislessica, prenderà a parlare solo a nove anni ma, aiutata da una madre che non si rassegna al suo disagio, riuscirà a laurearsi in architettura. “Io, dice Antonietta, ho scritto di lei. Sono molto severa con me stessa e l’ho ascoltata con una disponibilità pazzesca. Aiutandola psicologicamente. Ci ho messo tre anni a scrivere il libro, poi ho fatto l’errore di mandarglielo prima della pubblicazione. C’erano le cose che mi aveva raccontato, il padre che era finito in prigione causa una di quelle classiche faide sarde di chi pensa di farsi giustizia da sé dopo aver subito anche un grave torto. Il fratello che si drogava. Non si è fatta più vedere. La storia è vera ma naturalmente è riscritta da me. “Su dolore spinghe’ boghe. Il dolore spinge la voce (a parlare). Eppure è la storia di un riscatto, anche sociale, di una lei che viene da una famiglia quasi analfabeta e riesce a conseguire un dottorato in India, la tesi su Chandigarh, la città ideale che Nehru fece immaginare a Le Corbusier. In cui moschee e chiese cristiane convivono ancora oggi con i templi buddisti e indù. Nel libro si parla di donne, di persone, di coraggio, per lei una accoglienza che non è mai mancata, a tutte le ore, sempre una tavola imbandita”. Scrive Antonietta a pag.118 parlando della sua infanzia a Berchidda: “…Ci faceva lezione un prete appena nominato sacerdote, legnoso e poco simpatico, ma ogni tanto arrivava il vecchio parroco, un uomo severo, coltissimo, grande predicatore e scrittore; Babai Casu lo chiamavano, Don Pietro Casu. Delle sue lezioni bellissime, una frase di Sant’Agostino è rimasta stampata nella mia memoria: “Il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina…”. E a pag.120 fa dire a Lisa, la sua protagonista: “ …è bella questa nostra amicizia, da madre a figlia; mi ha dato tanto. Tu sei la mia origine, e Maria Lai, tu non ci crederai, è la “nostra origine”,mia e tua. E’ la donna che ha riscoperto l’uso di strumenti e di materiali del mondo arcaico sardo: è la donna che fila, la donna che tesse al telaio, che fa il pane alla sarda attraverso l’arte e la fantasia. Mi ha ricordato, con i suoi racconti, l’odore della cucina di cui mi ha parlato qualche volta mia madre; una cucina con il pavimento di terra battuta e il focolare al centro. E’ l’odore della mia famiglia, quella delle origini; la mia famiglia e forse anche la tua. L’odore della casa…”. “ Io so parlare in sardo ma non so scriverlo, dice Antonietta, il mio libro “Sas Paraulas” è stato riedito nel 2008 con la traduzione a fronte in sardo a cura di Nicola Tanda. Le dodici “parole magiche” che occorre sussurrare per contrastare gli incendi, il risvegliarsi delle cavallette, le ho sempre sentite da mia nonna, quando ero piccina a Berchidda. E le ultime volte che mia madre veniva nelle Marche (Adesso che ho visto i tuoi figli, voglio ritornare a casa mia), le ho detto: “Perchè non me le ridici tu” e ho acceso un registratore. Dopo che lei se ne andata da questa vita ho provato a risentire la cassetta, ma naturalmente è in sardo e ancora non ho avuto la forza di rivolgermi alle mie amiche per farmela tradurre. Nonna Nedda aveva visto partire il marito “all’America” ma quando lui, una volta sistematosi, l’aveva richiamata là, non aveva avuto il coraggio di seguirlo, di lasciare il paese”. “ S’ischintidda de su divinu este in onzunu de noisi”. Una scintilla divina è in ognuna di noi; per questo possiamo e dobbiamo volere molto da noi stessi, ci ripeteva spesso mia nonna, quando la sera ci sedevamo attorno a lei, in attesa dei suoi magici racconti (Pag.125). C’è molta poesia tra le parole di questo libro, Antonietta Langiu che la Sardegna ha lasciato, quando ci ritorna non riesce a scrivere un rigo, e quando ne è lontana non riesce a scrivere se non di Lei. Dice bene Paolo Fresu di questa sua compaesana: “La poesia del mondo è nei cuori e nelle menti che con coraggio si spingono verso territori nuovi, percorrendo vie mai tracciate per ritrovare se stessi e una ragione per la vita”. E quando Antonietta Langiu scrive di “Tutto il sale della vita” lo fa così: “ E’ un’isola la mia isola/ lontana nel tempo/ e per millenni lontana dal mondo.// Vicina per i conquistatori/ la mia isola/ gli invasori razziatori.// La mia isola ammantata di storia/ antica come le sue genti/ fiere rigorose superbe.// La mia isola granitica/ dalle bianche sabbie ardenti/ su un mare di smeraldo.// Fatta di silenzi profondi la mia isola/ di belati lontani/ di profumi che inebriano./ Luogo di sogni remoti/ la mia isola ventosa/ di lontane memorie…di eterna nostalgia.

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