PIANTARE ALBERI, SU QUALUNQUE SUPERFICIE DEL PIANETA POSSA ACCOGLIERLI: È L’UNICA ARMA CONTRO IL DISASTRO CLIMATICO

ph: Stefano Mancuso
di PAOLA PINTUS

“La deforestazione è un crimine contro l’umanità e va fermata, perché se scompaiono le grandi foreste scompare anche l’uomo”. E’ il monito lanciato da Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale di fama internazionale e direttore del Linv, International Laboratory of Plant Neurobiology all’Università di Firenze. Mancuso è l’autore del libro “La Nazione delle piante” (Laterza), un manifesto per la vita in otto punti, che ci ricorda quanto l’uomo sia interconnesso e dipendente dalla natura, e ci indica l’unica via possibile per fermare l’autodistruzione del pianeta.  Nell’anno più disastroso di sempre, che ha visto andare in fumo milioni di ettari di foreste in Siberia e nell’area pluviale amazzonica, il livello di emergenza è più che mai tangibile ed è direttamente connesso con l’aumento del riscaldamento globale.

Basti pensare che ancora adesso in Amazzonia sono attivi 980 focolai di incendio, con un record assoluto che conta quasi 48 mila focolai, il doppio di quelli registrati nello stesso periodo del 2018 in Brasile, la temperatura media globale lo scorso mese di luglio è stata 0,56 gradi centigradi più calda della media del triennio 1981-2010. Un dato allarmante dietro il quale si nascondono i picchi di arsura in alcune regioni del pianeta che aumentano il processo di desertificazione ed il rischio del punto di non ritorno in tempi più brevi del previsto: meno di 40 anni, a fronte dei 100 stimati finora. Come fermare il processo di autodistruzione che sta compromettendo la sopravvivenza delle specie sulla Terra?  La soluzione per Mancuso può essere solo una: “Piantare alberi ovunque, su qualunque superficie del pianeta possa accoglierli: è l’unica arma contro il disastro climatico”.

Per fare questo è necessario un cambio di paradigma radicale, che dall’antropocentrismo dominante porti l’uomo a capire di non essere il dominus assoluto di questo pianeta. Al contrario: le specie più diffuse e che rappresentano il vero capolavoro dell’evoluzione, da cui l’uomo dipende, sono quelle vegetali. Se le piante muoiono, muore anche ogni altra forma di vita, noi compresi. Ma allora perché anziché prendere atto dell’evidenza e imparare dall’intelligenza delle piante, l’uomo si comporta come un virus che distrugge l’organismo che lo ospita, ovvero la Terra? Mancuso lo ha spiegato qualche giorno in occasione del Premio Capalbio. “Noi non siamo affatto l’esperienza più riuscita in natura: uomini mammiferi, rettili, animali insetti, tutti insieme pesiamo lo 0,3% della biomassa. Le piante rappresentano l’85%. Perché un gruppo di organismi riesce a raggiungere una tale diffusione ed altri meno? Non c’è discussione su quale sia il modello vincente: questo è il pianeta delle piante”. Eppure non ci rendiamo conto di rappresentare solo un anello, nella lunghissima catena della vita sulla Terra. Come è possibile? “Colpa di una particolare forma di disfunzione cognitiva, la cosiddetta “plant blindness” – cecità delle piante, correlata alla limitata capacità di elaborazione del nostro cervello a fronte degli stimoli dell’ambiente”, spiega il professore. “Il nostro cervello è come una macchina che ha una capacità di calcolo bassissima: appena 300 bit al secondo, a fronte di 5 miliardi di bit di informazioni per secondo in ingresso. Ecco che tutto quello che non viene ritenuto interessante viene filtrato via ed il focus si concentra su ciò che sembra rilevante per la nostra sopravvivenza. All’inizio della nostra evoluzione ci siamo dovuti districare in un ambiente che era completamente verde. L’esigenza di filtrare questo eccesso di informazioni “verdi” è alla base della Plant blindness. Oggi però non accorgerci che le piante rappresentano letteralmente il paradigma della vita nel nostro pianeta è un problema enorme perché ci sta impedendo di capire come funziona il nostro pianeta ed i rischi che corriamo”

La prima cosa da fare per il professor Mancuso è prendere coscienza dell’indispensabilità delle piante: “Non comprendere che la deforestazione è un crimine contro l’umanità ci pone davanti a tutti i limiti della nostra specie. Se continuiamo a deforestare l’umanità scompare. Noi respiriamo quello che è prodotto dalle piante e mangiamo quello che è prodotto dalle piante: gli animali sono cioè dipendenti dal mondo vegetale, letteralmente”.

A dimostrare quanto grave sia la febbre del pianeta, e quanto questo dipenda dall’uomo è l’evidenza scientifica, con numeri impressionanti: dalla rivoluzione industriale ad oggi l’uso di combustibili fossili e la deforestazione ha fatto crescere la concentrazione media annua della C02 dalle 280 parti per milione (ppm) agli attuali 411.7 ppm (lugio 2019).

Un livello insostenibile, il più alto degli ultimi 900 mila anni, se non con molta probabilità, degli ultimi 20 milioni di anni. “La Co2 che si accumula nell’atmosfera è la principale responsabile dell’effetto serra, e quindi dell’innalzamento della temperatura del pianeta”, spiega Mancuso. “Dall’innalzamento della temperatura dipendono direttamente la maggior parte dei problemi che affliggono oggi il pianeta. Qualsiasi altra questione, paragonata a questa, non riveste alcuna importanza. Cosa possiamo fare? Certamente ridurre le emissioni, ma non basta. Lo dimostra il trend di crescita che a dispetto di tutte le risoluzioni internazionali sul tema, attesta un aumento costante delle emissioni globali annue: dalla Risoluzione Onu sulla tutela del clima approvata all’unanimità dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1988, passando per il protocollo di Kioto nel 1997 e per l’accordo di Parigi nel 2015 le emissioni sono aumentate di oltre il 40%”

Che fare allora? Innanzitutto smettere di distruggere i polmoni verdi della Terra: “Le foreste devono essere preservate e rese intangibili, proprio come si è riconosciuto ai diritti umani fondamentali“, spiega Mancuso. Ma non basta. “La mia personale idea è che per combattere l’innalzamento dell’anidride carbonica non serva tentare di ridurre la C02. L’unico modo è riforestare. Qualunque luogo sulla terra possa contenere degli alberi deve essere riforestato, anche le nostre città, che rappresentando il 2% delle terre emerse producono il 70% della CO2 emessa in atmosfera”.

Come agire allora? A livello individuale e collettivo, con una nuova sensibilità accompagnata ad una diversa pianificazione urbana, basata sul concetto di rigenerazione green: “Bisognerebbe coprire tutto di verde, ogni spazio disponibile: sui tetti, sulle facciate dei palazzi, lungo le strade, negli stadi, sulle scuole. Ovunque, bisognerebbe stendere una grande coperta verde in grado di assorbire i livelli in eccesso di anidride carbonica.  E’ questa l’unica arma che abbiamo contro l’innalzamento delle temperature globali, lo sappiamo da 50 anni. Non deve arrivare Trump a dire che non è vero. E’ una realtà scientifica dimostrata, a prescindere dagli orientamenti politici del momento”.

Questo è il momento dell’azione, non è più possibile voltare lo sguardo dall’altra parte. Le piante sono le nostre alleate, le uniche che possano davvero aiutarci a vincere questa sfida per la sopravvivenza.

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