IL SAPERE CONDIVISO: IL RICORDO A NUORO DE “SU DUTTORE” LUIGI FARINA A 25 ANNI DALLA SUA MORTE

ph: Luigi Farina
di LUCIA BECCHERE

Nato nel quartiere di Santu Predu, rione “corte ‘e susu”, Luigi Farina (Nuoro 1910/1994) figlio di Antonio, stimato prinzipale nuorese che gli aveva trasmesso l’amore per gli animali, aveva intrapreso gli studi di veterinaria per passione. Su duttore, così lo chiamavano tutti con rispetto, raramente parlava del padre, ma di lui amava dire che produceva la ricotta e il formaggio più gustosi per le sue innate capacità tecniche e fosse un precursore dei tempi in quanto allevatore di pecore, cavalli, mucche, maiali e animali da cortile sapeva porre in atto una sorta di catena alimentare affinché niente venisse sprecato.

Studi ginnasiali in città e laurea a Sassari nel 1936, Luigi Farina è stato allievo di G. Pegreffi, famoso analista – l’istituto Zoo profilattico Sperimentale della Sardegna porta il suo nome – con il quale era rimasto sempre in contatto.

Conseguito il titolo di ufficiale di cavalleria nella selettiva scuola militare di Pinerolo, svolgerà la sua professione di veterinario in diversi paesi fra cui Sorgono e Escalaplano in attesa che venissero banditi i concorsi. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale verrà inviato a combattere in Jugoslavia. Otterrà il  permesso di rientrare in famiglia perché il padre gravemente ammalato e nel periodo ante e post bellico svolse la sua professione nel mercato civico occupandosi dei vari approvvigionamenti.

A Villagrande, aveva diagnosticato il primo focolaio della peste suina classica. Pegreffi, prontamente accorso in suo aiuto, confermerà la diagnosi fatta dal suo ex allievo, dando il via a dieci anni di profilassi per l’estinzione della malattia. Vincitore di condotta nel 1949 a Laconi e nel 1955 a Nuoro rientrerà finalmente nella sua città.

In un certo senso rimpiangeva Laconi dove aveva lasciato una pastorizia molto evoluta, essendo Nuoro una condotta molto impegnativa che per la notevole entità del patrimonio zootecnico, non gli consentiva una vita regolare: levatacce, pranzi veloci e nessun limite di orario. Inoltre i costanti interventi di chirurgia veterinaria, marchiatura, vaccinazioni richiedevano una buona resistenza fisica.

Era abbastanza giovane quando nel ’73 ha smesso di lavorare usufruendo di uno scivolo per gli ex combattenti. “Credo non ne abbia risentito più di tanto- ha detto il figlio Antonio- sia per le sue precarie condizioni di salute che da tempo ne condizionavano il suo lavoro, sia perché non aveva mai smesso di frequentare tutto il mondo agropastorale a lui molto familiare e anche perché finalmente poteva dedicarsi a tempo pieno allo studio della lingua sarda”.

Luisi Farina amava molto il suo lavoro, ma aveva anche altri interessi. E’ stato tra i primi componenti del Gruppo grotte nuorese e in tarda età amava viaggiare con gli amici perché voleva conoscere la Sardegna fino in fondo. Spiritoso e ironico, era un uomo di compagnia sempre a suo agio nei vari contesti compresi quelli linguistici perché conosceva tutte le varianti dialettali delle parole. Con i pastori parlava sempre in nuorese schietto.

E’ stato il Professor Valentino Martelli, suo insegnante di scienze al liceo, ad avergli trasmesso la passione per la botanica e la linguistica. Per via del suo lavoro era venuto a contatto con diverse parlate locali e fin dagli anni ’60 ne andava memorizzando i nomi delle piante nei vari dialetti annotandoli persino nelle scatolette dei fiammiferi, per riportarli poi in ordine alfabetico nei vari quaderni che custodiva gelosamente. Lavoro certosino il suo, dettato e sostenuto dalla passione a cui univa una innata curiosità e una memoria non comune. Martelli lo aveva segnalato a Leopold Wagner che si rivolgeva a lui in quanto persona istruita in grado di informarlo perfettamente sull’uso della lingua locale. Raccontava che per studiare il colpo di glottide,  Wagner gli mettesse in bocca delle lamine di ceralacca per  poter analizzare  le impronte che la lingua lasciava battendo nel palato. Dottor Farina costituiva un punto di riferimento per lo studio del nuorese, aveva frequenti contatti con eminenti professori universitari di tutto il mondo, aveva collaborato con Sabatini (Miami),   Sugeta (Tokyo) e Chabot (Nancy).

Aveva scritto il vocabolario Nuorese- Italiano 1973; il Bocabolariu Sardu Nugoresu-Italianu 1987; il Vocabolario Italiano-Sardo Nuorese 1988; l’opera postuma il Bocabolariu 2002, compendio aggiornato delle precedenti edizioni.

Suo anche un opuscolo sui cognomi e uno sulle regole ortografiche scritto nel 1980 con il maestro Pascale Mingioni con il quale aveva anche condotto la rubrica “Sas novas de domo nostra” nell’emittente locale di Radio Barbagia.

“Era un esempio a cui attingere. – ha detto il figlio – durante i frequenti viaggi insieme mi insegnava ogni cosa, compresi i toponimi dei luoghi dove transitavamo e li ripeteva così tante volte che era impossibile non tenerli a mente. Aveva una conoscenza enciclopedica della flora, della fauna e del territorio e quando parlava di queste cose non aveva mai fretta. Inoltre sapeva utilizzare alla perfezione le carte dell’IGM (carte militari) per programmare i suoi spostamenti sul territorio”.

Che nonno è stato?

“Era un nonno adorabile e paziente – ha ricordato con commozione Antonio – Alle mie figlie, a cui spesso si rivolgeva in sardo non raccontava le favole di Cappuccetto Rosso, ma le migrazioni degli uccelli, i punti cardinali, la rosa dei venti, le costellazioni, il nome di ogni filo d’erba, parlava di tartarughe e insegnava i versi degli animali. Sul tavolo, perennemente poggiato il vocabolario di italiano da consultare. Era il nonno che per amore delle nipoti andava in classe per trasmettere le sue conoscenze anche ai compagni di classe, inoltre seguiva studenti universitari nelle loro tesi di linguistica, botanica ed entomologia. Era un simpatico affabulatore e con i suoi racconti amava intrattenere gli anziani dell’ospizio cittadino e a loro provvedeva spesso con molta discrezione”.

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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