CORRU TUNDU, IL MAGNIFICO: TOCCANDO IL CIELO CON IL MENHIR

di MAURO PILI

Mi sono perso. Un’altra volta. Nel cuore di una terra infinita che non si smette mai di scoprire. Dove in ogni pertugio nascosto tra anfratti e rovi, secolari lentischi e selciati millenari, ti imbatti tra i segreti più fecondi dell’antica storia di un popolo tanto sconosciuto quanto affascinante.

Mi capita spesso di lasciar perdere quel marchingegno che ti vorrebbe guidare come un robot nelle incatenate strade di Sardegna, una volta con la voce suadente di una signorina anglosassone e l’altra con il tono di brambilliana memoria.

Amo scollinare i crinali del Grighine impegnandomi a perdere l’orientamento. Una volta da Samugheo, una volta da Ruinas, da Usellus o da Fordongianus. Basta affidarsi al caso o al tracciato dell’elisse solare.

Ti puoi trovare ovunque, dalla Barbagia di Seulo alla Giara di Assolo. Sino ad incrociare un modesto e sperduto cartello che ti sospinge verso le colline prodigiosamente accarezzate dal vento della Marmilla, fecondo granaio della Sardegna.

Villa S.Antonio. Trecentocinquanta anime, uno di quei tanti paesi dell’entroterra nascosto ai più, fuori dai collegamenti a quattro corsie, attraversato da una strada provinciale a mezzadria tra il Sindaco e il Parroco. Un pò civile e un pò religioso.

Se non siete ancora convinti che la Sardegna sia il centro del mondo andateci. Poco prima di entrare nel paese, se arrivate da Ruinas, troverete un modesto tracciato stradale. Asfalto povero ma sufficiente per arrivare alla sommità del cielo.

Percorrete duemilacinquecento passi in macchina. E fermatevi. Tanto oltre non potete andare. Il geometra che ha tracciato la strada ha preferito mantenere separate le vie terrene da quelle celesti. O meglio le ha mantenute su due livelli ben distinti. Una a pian terreno e l’altra in cielo.

Non ho mai visto niente di simile e probabilmente chi c’è passato per una vita con greggi e mandrie non ci ha mai fatto caso.

Quella che ti si staglia all’orizzonte è la strada più antica che io abbia mai visto, e non credo che altri ne abbiano potuto ammirare di più antiche.

Una lingua di cristalli vulcanici, di pietra forgiata da una colata lavica che trenta milioni di anni fa ha tracciato un reticolato stradale da far impallidire anas e non solo.

Perfetta come solo il buon Dio avrebbe potuto tracciare, 5 metri metri di larghezza, liscia con qualche leggerissimo avvallamento, circoscritta da more e lentischi.

Opera ingegneristica del Creato. La percorro, sotto il sole, la osservo e rifletto sulla perfezione di quel percorso che certamente ti porta in un luogo magico. Non può certo finire quella strada in un vicolo cieco.

Cinquecento, forse seicento passi, senza intravvedere nulla all’orizzonte. In salita. Il fiatone respira e l’idea di tornare indietro si affaccia sulla mente battuta dai raggi del cielo.

Non può essere, continuo a ripetermi, che una strada in cristalli, con un’apparente tessitura ipocristallina possa aver tracciato un lembo così esclusivo della nostra terra senza giungere a niente.

E infatti l’orizzonte si apre. Un ciclopico Menhir si staglia come una guglia infinita protesa sul cielo. In un pianoro circolare, maldestramente recintato per contenere un gregge, si erge il Menhir di Corru Tundu, il magnifico. Non meno di 5000 anni di vita.

Solo, quasi sei metri di estensione, accompagnato da un piccolo esemplare di Menhir più modesto, che sfugge alla vista ma che ne esalta ancor di più le vestigia imponenti.

Lo guardo da lontano. Lo staglio sul proscenio turbato da nuvole cupe che si affacciano sulla vallata. Ne percepisco la superiorità e mi interrogo sulla grandiosità di quel capolavoro essenziale e magnifico. Abbozzo il significato di quell’ergersi così prossimo al cielo, ma non ne trovo una giustificazione all’altezza.

Di certo a chi ha l’ambizione di toccare il cielo con una pietra non può sfuggire questo luogo magico.

Simbolo di una grande civiltà e di una terra generosa, che meriterebbe più attenzione e meno trascuratezza.

Lo dico a me, per suggerirlo a voi. Perdetevi in questa terra.

Scopritela, fatela propria, amatela.

Se è vero, come è vero, che i Menhir della Sardegna risalgono a mille anni prima della Stonehenge inglese è necessario innanzitutto saperlo.

E forse quella strada di 30 milioni di anni che ti accompagna a toccare il cielo con l’immensa statua Menhir di Corru Tundu avrebbe miglior considerazione.

Per essere rispettati bisogna rispettarsi, per farsi conoscere bisogna conoscersi.

Non mi stancherò di ripeterlo. Perdetevi in questa terra baciata dal Creato.

Amate la sua infinita storia e il suo fascino segreto.

Andate in religioso rispetto ad ammirare Corru Tundu, attraversando la strada più antica del mondo.

Benvenuti nel fascino segreto del Creato di Sardegna.

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Un commento

  1. Sabrina Crepazzi

    Fascino, mistero e storia di un popolo antico.
    Sembra quasi di camminare tre metri sopra il cielo.
    Grazie Mauro

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