GEOPARCO E RWM: L’INCAPACITA’ DEGLI AMMINISTRATORI IN UN CASO E LA DIGNITA’ DEL LAVORO E IL RISPETTO DELL’AMBIENTE NELL’ALTRO

la fabbrica della RWM
di ARNALDO SCARPA

La tristissima disfatta internazionale del Parco Geominerario della Sardegna, scaricato dall’Unesco come un inutile peso, e l’attuale gestione della vertenza Rwm, hanno, aldilà della superficie, molte cose in comune e possono entrambe aiutarci a riflettere su quanto e cosa dovremmo pretendere in più da chi fa politica, sindacato o, comunque, da chi ha dei ruoli di responsabilità a livello sociale. Né l’uno, né l’altra sarebbero mai dovuti arrivare alla situazione attuale.

Il Parco non avremmo mai voluto vederlo così vicino alla chiusura per la manifesta incapacità dei suoi amministratori, mentre, da sempre, abbiamo sperato che diventasse il fulcro di una rinascita complessiva della Sardegna, motore propulsivo e punto di riferimento delle tantissime iniziative di recupero e valorizzazione economica del nostro enorme patrimonio minerario ed ambientale, invidiato in tutto il mondo.

La fabbrica di bombe non si sarebbe mai dovuta insediare e sviluppare, con i suoi devastanti effetti, sul territorio del Sulcis-Iglesiente – in termini di dignità del lavoro e di rispetto dell’ambiente – e sui territori a cui sono destinati i suoi distruttivi prodotti.

Segnalo che non si tratta soltanto dell’orrido contributo dato all’inutile strage dello Yemen o di altri lidi lontani: residui di Mk80, le bombe “made in Sardinia”, sono stati trovati anche sulle nostre coste adibite a parco giochi per gli eserciti di mezzo mondo. Un’altra beffa ai danni dei sardi.

Solo una gestione politica miope, incapace e autointeressata ha potuto, nel tempo, consentire tali processi di sistematico abbandono del patrimonio ambientale, culturale ed archeoindustriale, nel primo caso,  e dei fondamentali principi di civiltà giuridica e di solidarietà umana, nel secondo.

Le soluzioni prospettate dalla giunta regionale e sostenute dai maggiori sindacati, riguardo al taglio dei posti di lavoro messo in atto da Rwm a seguito del blocco all’esportazioni verso l’Arabia, stabilito a luglio dal primo governo Conte, non fanno altro che confermare la tendenza a svendere sovranità, territorio e cittadinanza, in cambio di briciole.

Come se non fossimo mai divenuti un popolo libero e ci trovassimo ancora schiavi, condannati “ad Metalla”; prima, a scavare nelle viscere della terra per rimpinguare le casse dei padroni di turno, poi a forgiare e “farcire” “corpi bomba” da ventimila euro l’uno, per aumentare i dividendi del gruppo Rheinmetall e per compiacere la dinastia saudita in Yemen, un paese sovrano, messo a ferro e fuoco come una colonia da assoggettare.

Se si continua a ragionare in questo modo, a farne le spese saranno sempre le classi sociali più povere e con minori strumenti culturali che, nella nostra disastrata Sardegna, sono la gran parte della popolazione.

Basti pensare che i diplomati sono meno del 50% del totale dei cittadini e la percentuale dei laureati è sotto al 12%. Sei punti percentuali al di sotto della media nazionale, peraltro già in coda nelle statistiche europee.

Si potrà riuscire ad invertire la tendenza, solo essendo tutti più virtuosi ed attenti al bene comune, ad iniziare da chi ha maggiori responsabilità ma senza escludere i cittadini semplici, i quali hanno pur sempre l’arma del voto.

Solo iniziando a considerare i beni comuni come un patrimonio da difendere e valorizzare si potrà generare un benessere economico che possa durare nel tempo e costituisca il punto di partenza per i nostri figli e nipoti.

La nostra generazione – come ci ricorda in maniera molto forte Greta Thunberg – ha un debito verso i giovani; chi di noi può essere soddisfatto di consegnare nelle loro mani una regione in buona parte inquinata da attività industriali impostate sullo sfruttamento del territorio e dannose per la salute?

Un’agricoltura che non produce più nemmeno quanto sarebbe necessario per la sussistenza.

Città e paesi spopolati a causa dell’emigrazione e della crisi di fiducia nella vita che ha determinato il crollo delle nascite.

Per invertire la tendenza è necessario riprendere in mano le redini dell’esistenza, a partire dai valori. Cioè da ciò che conta veramente e che ci può, davvero, rendere più felici: l’ambiente, la civiltà, le relazioni, la solidarietà, la fiducia.

Tutto il resto, tutto ciò che va contro questi valori: l’inquinamento, l’illegalità, l’arricchimento egoistico, la violenza, l’ignoranza, l’idea che qualunque lavoro vada bene, purché si porti il pane a casa, va rifiutato subito. Senza tentennamenti, perché domani sarà troppo tardi.

Preparare un futuro migliore, non perpetuare l’esistente, è il compito delle classi dirigenti. Quelle che, finora, ci hanno deluso profondamente ma che, se solo volessero, avrebbero, ancora una volta, la possibilità di riscattarsi. Basterebbe che finalmente rinunciassero a gestire voti e territori e iniziassero a costruire un domani per la gente di Sardegna, gente forte e volenterosa ma confusa e disillusa come non mai.

Occorre realizzare un programma pluriennale di sviluppo sostenibile, che preveda di dismettere industrie energivore ed inquinanti come quelle di Portovesme e di incentivare le filiere agroalimentari, turistiche, culturali e le alte tecnologie, partendo dalla formazione, dalla semplificazione amministrativa e dal supporto alle imprese.

Occorre ridare forza e capacità al Parco Geominerario, liberandolo dalle pastoie partitiche e accogliendo il contributo di centinaia di appassionati e di giovani tecnici competenti che non aspettano altro. Occorre chiudere il capitolo dell’economia di guerra, quella che gode delle disgrazie altrui, mettendo in campo risorse per sostenere il reddito di chi è rimasto senza stipendio e  competenze per riqualificare e riconvertire le maestranze della Rwm, coinvolgendole e supportandole, anche, in percorsi di autoimprenditorialità.

Il governo, su impulso del parlamento, ha avviato un processo potenzialmente virtuoso, ripristinando la legalità e richiamando con ciò tutti gli attori istituzionali, a partire dai ministri interessati e dal Presidente della Regione, alle proprie responsabilità.

Spetta a loro, agire di conseguenza, scartando ogni velleitaria e rapace tentazione di trasformare il Sulcis-Iglesiente nella polveriera d’Italia o d’Europa, – magari aumentando ulteriormente la spesa militare – e investendo, invece, i soldi pubblici, in attività che siano realmente foriere di benessere e di pace.

Se il Sulcis-Iglesiente ha oltre venticinquemila disoccupati è perché queste cose non si sono fatte finora in maniera adeguata, non certo per colpa dei pacifisti o degli ambientalisti che, anzi, di fronte allo sfacelo di tante iniziative azzardate e pericolose per l’ambiente naturale e sociale, possono ben dire “Ve l’avevamo detto! Vi avevamo avvisati!”

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