ISTANZA DI FALLIMENTO PER MOBY – TIRRENIA: LA PROCEDURA VERRA’ DISCUSSA IN TRIBUNALE A MILANO IL 3 OTTOBRE

di MAURO PILI

Fallimento! Default! Lo invocano senza troppi fronzoli i proprietari del bond da 300 milioni che il gruppo Moby-Tirrenia aveva chiesto e ottenuto alla Borsa internazionale di Lussemburgo nel 2016. Un bond che ora vale un misero 30% del valore iniziale. Il 70% si è volatilizzato come niente con l’incedere della crisi finanziaria del gruppo Onorato. Non si sa se quel debito verrà mai saldato, la scadenza è al 2023, ma un dato è certo la situazione meteo-finanziaria segna tempesta.  E non è una previsione da chiromanti.

A far scattare l’operazione fallimento promossa dai fondi internazionali è la mossa che ho anticipato il 4 settembre scorso quando da Copenaghen giungevano i primi segnali eloquenti: Onorato sta vendendo le sue due navi ammiraglia. La mia fonte è autorevole e racconta dettagli di un’operazione che cederebbe una parte cospicua del patrimonio di Moby-Tirrenia.

Metto tutto nero su bianco, soprattutto perchè ci sono ancora da pagare allo Stato 180 milioni di euro per l’acquisto non pagato di Tirrenia, le decine di milioni della multa inflitta dall’autorità garante e debiti ovunque con le banche, oltre al bond da 300 milioni!

La mia denuncia fa il giro del mondo e in un attimo arriva nei piani alti della finanza internazionale.

A quel punto Onorato è costretto a venire allo scoperto, non può continuare a nascondere l’operazione che stava congegnando per mettersi in tasca 70 milioni di euro e scambiare due navi quasi nuove con due vecchi catorci di oltre 30 anni bistrattati nei mari ghiacciati del nord Europa con qualche comparsata persino in Australia!

La comunicazione è direttamente alla Borsa di Lussemburgo dove è quotato il bond da 300 milioni fisso da mesi con un meno 70% del valore.

Sobria e ufficiale viene pubblicata a Borsa chiusa: stiamo vendendo Moby Aki e Moby Wonder in cambio di due navi a noleggio.

E’ in quel momento che la mia denuncia si fa certezza assoluta tanto che i fondi internazionali che aveva rastrellato quel che restava del bond hanno deciso la difesa finale del proprio capitale investito.

Il ragionamento della finanza mondiale è stato chiaro: abbiamo la certezza di salvaguardare il valore del 30% del bond rimasto in piedi solo se non viene intaccato il patrimonio delle navi se, invece, si vendono quelle allora si sta mettendo a rischio il rimborso anche del minimo consentito.

Non c’è tempo da perdere. I fondi internazionali si muovono con una rapidità inaudita.

La prima mossa la mette a segno la Prudential, uno dei gruppi finanziari più esposti che cede di botto la sua quota ad alcuni hedge fund, fondi speculativi: a farsi avanti ci sono quelli più scafati a livello mondiale, Cheyenne Capital, York Capital, Soundpoint Capital.

Intravvedono il tracollo finanziario e si buttano a capofitto.

Un’occasione ghiotta per i fondi internazionali che rastrellano la maggioranza del titolo e attivano immediatamente l’azione di insolvenza prima che sia troppo tardi.

A far scattare l’operazione congiunta sono le più grandi società specializzate in fondi in difficoltà a livello mondiale.

La prima a farsi avanti dovrebbe essere stata la Cheyenne Capital, società leader sul sistema finanziario con sede a Cheyenne, la capitale e più popolosa città dello Stato del Wyoming, e capoluogo della contea di Laramie.

Segue la York Capital, con sede nella centralissima Fifth Avenue di New York, nel cuore di Manhattan.

E, infine, delle società note e scese in campo c’è la Soundpoint Capital. Un altro colosso americano che gestisce attività finanziarie per oltre 21,1 miliardi di dollari.

Sono loro che resesi conto di quanto stava accadendo con la vendita di navi e incassi di notevoli quantità di denaro liquido hanno deciso di bussare alla porta del tribunale di Milano per avviare le procedure concorsuali che in Italia vogliono dire insolvenza e fallimento.

Per portare i documenti nel palazzaccio milanese non si sono rivolti all’avvocato sotto casa. A firmare l’operazione legale è uno dei più grandi studi legali finanziari al mondo, Dla Piper.

Sedi in mezzo mondo, da quella di via dei Due Macelli 66 a Roma a quella in Luxembourg, in Avenue John F. Kennedy a poche centinaia di metri dalla Borsa internazionale dove Onorato ha chiesto e ottenuto nel 2016 un’obbligazione finanziaria da 300 milioni.

DLA Piper, studio legale presente in oltre 30 Paesi, in America, Asia-Pacifico, Europa, Africa e Medio Oriente conosce bene il mondo finanziario mondiale e sa bene che quello che sta avvenendo mette a rischio il risarcimento di quegli investitori.

E non è un caso che tra i loro clienti ci siano le principali multinazionali e società incluse nelle classifiche Global 1000 e Fortune 500. Oltre la metà sono società incluse nell’indice Fortune 250, mentre quasi la metà sono incluse nell’indice FTSE 350 o sono da queste controllate.

Tutto questo sino a ieri, poi, l’accelerazione del Tribunale di Milano che ha probabilmente intravvisto l’esigenza di anticipare altre mosse sullo scacchiere del patrimonio e valutare nel concreto come stanno le cose.

Giovedì 3 ottobre, le porte del tribunale di Milano si aprono per una procedura di insolvenza e fallimento che non ha precedenti nella storia marittima italiana e forse europea.

Un passaggio nevralgico di una vicenda che anticipa altre scadenze e che si inquadra nella legge fallimentare italiana che consente ai giudici di valutare la situazione finanziaria ancor prima che si sia verificato un mancato pagamento.

E’ l’art.5, infatti, che ha consentito ai fondi internazionali di entrare dritti dritti nella procedura fallimentare.

Si sta intaccando gravemente il patrimonio della compagnia e il rischio è che al momento di risarcire gli investitori internazionali non ci sia più niente.

Uno scenario che dovranno valutare i giudici a partire dal Presidente del Tribunale fallimentare di Milano Alida Paluchowski, che ha preso in mano la richiesta dei fondi internazionali.

Probabilmente un’accelerazione delle procedure che potrebbe consentire al Tribunale di bloccare le vendite sia delle due navi già promesse alla danese DFDS che di eventuali altri traghetti.

Non è escluso, infatti, che Onorato stia trattando la vendita di altre due navi, si fanno i nomi della Raffaele Rubantino e dell’Athara, la prima in servizio sulla Palermo- Napoli e l’altra sulla Olbia – Civitavecchia.

Da qui l’esigenza dei giudici di fare chiarezza subito e semmai fissare i paletti di un’amministrazione della compagnia che non prefiguri scenari devastanti tra qualche mese.

Certo, Onorato ha preannunciato denunce anche contro i fondi internazionali, ma la mossa rientra nella comprensibile strategia-commedia del negare tutto e riaffermare la propria presunta solidità finanziaria.

Non la pensano allo stesso modo i mercati se il bond da 300 milioni ha perso in tre anni il 70% del suo valore. E si sa ai mercati interessano i bilanci non le commedie!

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2 commenti

  1. Se dovesse avere quello che si merita? sparire e la Grimaldi non è da meno…..

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