IL CALCIO IN SARDEGNA E IL PROFESSIONISMO: UN RAPPORTO DIFFICILE

di NICOLA ADAMU

La notizia della mancata iscrizione dell’Arzachena Calcio al prossimo campionato di Serie C porta in scena un copione già visto: quando il calcio sardo è in grado di proporre qualcosa di interessante a livello nazionale oltre al Cagliari, finiscono sempre con il mancare i mezzi per portarlo avanti con continuità.

Gli smeraldini, sotto la sapiente guida di mister Giorico, sono infatti stati capaci di guadagnare sul campo la seconda salvezza di fila, ma nonostante la cittadina del nord-est sardo sia situata in una delle zone più abbienti dell’Isola, non è stato possibile trovare nessun imprenditore disposto a farsi carico delle spese per sostenere un campionato professionistico.

La storia dell’Arzachena è simile a quella di tante altre società di C di tutta Italia – spesso gloriose al punto di aver conosciuto il palcoscenico della serie A per più annate – ma soprattutto ricalca quello che è il destino storico di tante squadre isolane, che dopo aver conosciuto il mondo professionistico sono mestamente tornate tra i dilettanti dopo poco tempo, spesse volte senza riuscire a riemergere e guadagnandosi così lo status di nobili decadute del calcio sardo.

A resistere è l’Olbia, che vanta 37 partecipazioni complessive nei campionati professionistici italiani e si è trovata per ben 14 volte nel terzo livello del calcio nazionale. I galluresi godono attualmente di un rapporto di sinergia con i cugini del Cagliari, per il quale negli ultimi anni hanno rappresentato una sorta di laboratorio per far crescere in prestito i giovani più promettenti o un buen retiro per calciatori esperti come Pisano che hanno vestito il rossoblu per una lunga parte della loro carriera. La formula, al momento, funziona quanto basta per conservare la categoria e di questi tempi non è poco.

Negli ultimi anni in particolare – ma non esclusivamente – le vittime mietute dal calcio professionistico in Sardegna sono state tante e spesso illustri. Su tutte la Torres, trent’anni nell’equivalente dell’attuale serie C più sedici nella vecchia C2/Seconda Divisione; dopo un primo fallimento nel 1991, i sassaresi risalirono la china sino a sfiorare la serie B nel 2005/2006, ma al termine di quella stagione arrivò un nuovo tracollo finanziario, seguito da quelli del 2008 e del 2017. Ora i turritani navigano a vista nel campionato di serie D, contrastando tristemente con il trasporto collettivo che è in grado di dare la Sassari del basket.

Un’altra realtà capace di trovarsi nel calcio professionistico per tredici anni filati tra il 1987 e il 2000 è il Tempio, che nel 1992 raggiunse un onorevolissimo sesto posto in Serie C2. A seguito della retrocessione arrivata all’alba del nuovo millennio, la squadra tempiese ha condiviso con la Torres gli anni di due fallimenti consecutivi, appunto 2008 e 2017. Ora cerca di risalire la china partendo dalla Prima Categoria, dopo aver rilevato il titolo sportivo della Star Sport Olbia.

In totale controtendenza con quanto avveniva al Cagliari che stava conoscendo uno dei peggiori periodi della propria storia, gli anni Ottanta furono quelli più positivi per il calcio sardo, grazie anche al fatto che al tempo le categorie professionistiche erano quattro e non tre come oggi. La stagione 1984/85 vide addirittura quattro sarde impegnate nel girone A della serie C2, anche se nessuna di loro riuscì a ottenere un piazzamento di particolare rilievo. L’Olbia e la Nuorese furono particolarmente sfortunate, chiudendo il loro campionato con una retrocessione maturata solamente a causa della classifica avulsa, che – tra le altre – favorì invece il Carbonia; con maggior tranquillità si salvò la Torres, che avrebbe chiuso al nono posto.

La Nuorese, che in quell’anno conobbe il proprio esordio tra i grandi, avrebbe ritrovato certi palcoscenici a oltre vent’anni di distanza, sotto la presidenza dell’ex patron del Torino Goveani. Dopo due promozioni consecutive, i verdazzurri giocarono tre campionati di fila in C2 tra il 2006 e il 2008 (con la possibilità, poi sfumata, di venire promossi al termine della stagione 2006/07), salvo poi essere esclusi per irregolarità di bilancio. Ora i mufloni cercano di tornare su determinati palcoscenici partendo dall’Eccellenza, dove hanno chiuso l’ultimo campionato con il terzo posto e la prestigiosa conquista della Coppa Italia Dilettanti.

Differente, ma comunque prestigioso, il percorso del Carbonia. La cittadina mineraria, sospinta dal fertile periodo vissuto dal settore dell’industria dell’immediato dopoguerra, conobbe un periodo di fulgore calcistico tra il 1947 e il 1960, dove per ben dodici volte ebbe modo di prender parte al campionato di serie C sfiorando addirittura la promozione in B nel 1955/56. Le sei stagioni disputate in C2 tra il 1982 e il 1988 rappresentano l’ultimo salto nel calcio che conta da parte della compagine sulcitana.

La prima metà degli anni Ottanta vide mettersi in luce anche un’altra società, il Quartu Sant’Elena, capace di collezionare tre salvezze di fila dal 1980 al 1983 per poi dichiarare fallimento mentre la stagione 1983/84 era ancora in corso. Da allora, i biancoverdi bazzicano per le categorie dilettantistiche regionali senza essere ancora riusciti a tornare a certi livelli, ma il loro vecchio campo sportivo ha conosciuto rinnovata gloria durante gli ultimi anni della presidenza Cellino nel Cagliari, quando la diatriba sull’allora Sant’Elia portò i rossoblu a giocare nell’impianto di Is Arenas, riadattato a una capienza superiore per gestire opportunamente l’afflusso di pubblico.

Terminato il piccolo miracolo del Quartu, nel 1985/86 ne ebbe inizio un secondo, all’altro capo dell’Isola: a conoscere i giorni di gloria dell’allora Serie C2 fu il Sorso, abile a conservare la categoria dal 1985 al 1989. Il dissesto finanziario seguito alla retrocessione maturato nell’ultima annata da professionisti ha costretto la società a ripartire dalle categorie inferiori, da cui tuttora cerca faticosamente di riemergere.

Il 1989 in particolare fu un anno piuttosto movimentato per il calcio sardo: mentre il Cagliari di Ranieri conosceva la promozione in B e l’ultima Torres di Zola conduceva in porto un altro dignitosissimo campionato di C1, al retrocesso Sorso si unì anche una squadra che conobbe il professionismo per una sola stagione, una toccata e fuga che non avrebbe avuto repliche: si tratta dell’Ilvamarisardegna, attualmente nota come Ilvamaddalena; quell’anno la compagine maddalenina ottenne un modesto sedicesimo posto, ma vanta un primato comunque degno di nota: nata nel 1903, è tuttora la più antica società calcistica sarda e da allora continua regolarmente la propria attività senza aver mai dovuto dichiarare fallimento.

Sempre in quel fatidico anno, si verificò un piccolo miracolo ‘alla cagliaritana’: il La Palma, squadra dell’omonimo quartiere del capoluogo, trovò in Bernardo Mereu un condottiero in grado di portarli a un’incredibile scalata sino a conoscere la gioia di salvarsi in serie C2, ma la concomitante cavalcata del Cagliari verso la A tolse visibilità al fenomeno, che dovette così dichiarare bancarotta al termine di quell’annata e tornare a vivacchiare nelle categorie inferiori.

Ultima esordiente prima dell’Arzachena a conoscere la gioia di disputare dei campionati professionistici è stata l’Alghero: due buoni campionati tra il 2008 e il 2010 (degno di nota in particolare il secondo, con il portiere Aresti e il centravanti Cocco grandi protagonisti) e successivamente la solita scure delle irregolarità finanziarie a interrompere in maniera brusca un cammino potenzialmente promettente.

Nella stagione che sta per iniziare, solo Cagliari e Olbia rappresenteranno la Sardegna nelle prime tre serie della piramide calcistica nazionale. Toccherà a Budoni, Lanusei, Latte Dolce, Muravera e Torres tentare di strappare un posto al sole nelle categorie di maggior importanza.

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