RANCORE, DELUSIONE E PAURE: CHI SALVERA’ L’ITALIA DAGLI ITALIANI? SIAMO MALATI DI CATTIVISMO E SOVRANISMO PSICHICO

di FRANCESCO PIRA

Ho sempre sentito la frase, fin da bambino, ripetuta a casa “Italiani brava gente”. In realtà era il titolo di un film di guerra del 1965, proprio l’anno in cui sono nato. Il Censis, nel rapporto annuale ci ha spiegato invece che gli italiani siamo “cattivi, rancorosi e in preda al sovranismo psichico”.

Non c’è da stare allegri. C’è chi giura che siamo a questo punto per colpa della crisi economica e della globalizzazione. Nel capitolo chiave sulla “società Italiana 2018” il Censis scrive:“I nostri concittadini sono in preda a una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico che talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria, dopo e oltre il rancore, diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.

Detto tra noi non c’è affatto da essere allegri. Numeri e percentuali a parte, vivere la quotidianità diventa davvero complesso se tutti siamo più cattivi e soprattutto pieni di paure. E basta vedere i fatti di cronaca, giorno dopo giorno, per comprendere dove stiamo andando e quanti valori abbiamo perso.

E basta guardare cosa accade nelle scuole: professori bullizzati, genitori contro docenti, studenti contro studenti. E poi la paura dell’altro, gli episodi di razzismo. La violenza sulle donne e sui minori. L’esplosione dei messaggi di odio sui social network. Persino i gruppi di Whatsapp delle mamme sono diventati canali per trasmettere violenza psicologica che gira in verità anche sui messaggi audio e video.

Sempre secondo il Rapporto Censis c’è “una ricerca programmatica del trauma, nel silenzio arrendevole delle elite. La base del prevalente sovranismo psichico tra gli italiani è sedimentata in una lunga serie di delusioni”.

Prevale dunque il rancore e la paura. Anche Annamaria Testa su Internazionalenei giorni scorsi ha provato ad evidenziare come: “Il rancore ha una dimensione sociale. E’ difficile da gestire. E’ debilitante. Diminuisce la fiducia in sé stessi e negli altri. E si autoalimenta, in una spirale discendente”.

Roberto Gervaso qualche tempo fa ci ha regalato un suo pensiero: “Quando due innamorati si lasciano e dicono senza rancore sono pronti ad uccidersi”.

Basta questa frase per comprendere quale trasformazione sta subendo un paese che fondamentalmente ha paura del domani e non riesce con serenità a vivere l’oggi.Più cattivi perché il miracolo italiano, il sogno che ci hanno promesso non si è mai realizzato. E siamo più poveri e più arrabbiati.

E’ cambiato anche nel nostro quotidiano il valore dell’amicizia e persino l’amore. Il sociologo Zygmunt Bauman ci aveva avvisato. Lo aveva ripetuto più volte. Qualche anno fa ho avuto l’onore di conoscerlo e di dialogare con lui. La sua profezia oggi trova conferma su quanto scritto dal Censis. Ammonisce Bauman:

“Basta pensare al cambiamento di valore della parola amico tra ieri e oggi in internet per capire come i rapporti siano diventati facili e superficiali. I nuovi rapporti vivono di monologo e non di dialogo, si creano e si cancellano con un clic del mouse, accolti come un momento di libertà rispetto a tutte le occasioni che offre la vita e il mondo. In realtà, tanta mancanza d’impegno e la selezione delle persone come merci in un negozio è solo la ricetta per l’infelicità reciproca. Una relazione, specie se d’amore, può andare di pari passo con la felicità, ma mai con la convenienza, che ne fa qualcosa di superficiale e frustrante, rispetto alla cosa vera che poi ognuno continua invece a desiderare”.

Dietro le nostre relazioni, andando oltre il Rapporto Censis, si nascondono momenti di opportunismo. E se tutto non va come vorremmo ecco che scatta il rancore. Viene da chiedersi se è il caso nel Belpaese di perdere le speranze o se invece è giusto lottare anche contro i rancorosi, contro il sovranismo psichico.

Non possiamo arrenderci. Il Premio Nobel Bob Dylan ci ha aperto un varco ai giovani. Loro non devono essere rancorosi. Dylan è convinto: “Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro”.

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