I PICCOLI PAESI LASCIATI MORIRE: IL TRENINO VERDE SI FERMA PRIMA DEI MONTI E IL RISTORO E’ COSTRETTO A CHIUDERE

di ANTONELLA LOI

Era diventato quasi un simbolo della “resistenza” dell’entroterra sardo (e italiano) alle spinte centrifughe innescate dalla crisi economica e dalla mancanza di lavoro. Articoli di giornali e post sui social avevano raccontato la sua determinazione a non lasciare il borgo per cercare fortuna in città o magari oltre l’Isola, tentazione sempre respinta. Marco Dessì, quasi cinquant’anni, padre di due figli, non si è tirato indietro: è qui, a Ussàssai, 800 metri di altitudine e poco più di 500 anime in costante declino numerico, che per vent’anni ha sfidato le intemperie dei tempi moderni gestendo il suo “Punto di ristoro – Niàla”. Una tappa quasi obbligata per gli amanti delle escursioni con il celebre “Trenino verde” – decantato anche da D. H. Lawrence nel suo libro Sea and Sardinia – che attraversa uno dei territori più affascinanti del centro Sardegna. Oggi Marco è costretto a chiudere l’attività e lasciare andare i suoi sogni, la lotta è finita.

“Dopo tanti anni di faticosi investimenti e di promesse a vuoto, ho capito che questi posti non interessano a nessuno, anzi: se i paesi chiudono i battenti sono tutti contenti, ci saranno meno fastidi”. Nelle parole di Marco c’è la sintesi della grave desolazione cui molta parte dei territori rurali, ultimi depositari di cultura e tradizioni antiche, sono condannati. Accade nelle zone alpine, come nei territori del Sud Italia. La Sardegna non fa eccezione. 

La crisi economica, che nell’Isola bella e dannata sa fare vittime e prigionieri, da sola però non basta a giustificare i tempi che corrono. Sul banco degli imputati bisogna far salire “il menefreghismo della politica”, accusa Marco, “dalla Regione al comune, tutti si disinteressano di chi lotta per sopravvivere a casa propria”. 

La storia di questo imprenditore è indissolubilmente legata alla scommessa turistica delle zone interne dell’Isola, la quasi “mitica” continuità tra spiaggia e montagna. Il “trenino verde”, che offre itinerari unici lungo le antiche vie a scartamento ridotto delle carbonaie, vede una delle tante tappe proprio a Ussàssai nel cuore del bosco di Niàla dove nasce il ristoro gestito da Marco e dalla sua famiglia. Un progetto nato con interessanti prospettive, sostenuto dalla Regione – proprietaria delle allora Ferrovie complementari della Sardegna, oggi affidate all’Arst – e dal Comune, pensato per accogliere i turisti che arrivano da Cagliari o da Arbatax, località sulla costa orientale.

E infatti per un decennio, il progetto sembra funzionare: Marco investe soldi e fa sacrifici. Lascia anche il fatidico “posto fisso” per dedicarsi interamente alla gestione del suo punto di ristoro. I turisti arrivano, apprezzano e Ussàssai rientra a pieno titolo in quel concetto di “rilancio delle zone interne” mai abbanodonato dalla dialettica politica isolana. Poi qualcosa si ferma. Il trenino per cominciare, che a causa di due ponti ottocenteschi che non superano il collaudo, uno a monte e uno a valle, bypassa Ussàssai e la fermata di Niàla. Per Marco inizia il calvario. “Da qui in poi è stato un continuo balletto di speranze disattese e promesse mai mantenute, un chiaro e spudorato abbandono di questi posti. Fino all’epilogo in cui alla Regione ci hanno fatto capire che il trenino, vista la situazione generale, non è certamente una priorità”.

Eppure proprio il presidente (uscente) della Regione, Francescio Pigliaru, insieme all’assessora al Turismo, Barbara Argiolas, alcuni giorni fa ha annunciato nuovi stanziamenti per rilanciare la tratta a scartamento ridotto. “Siamo in campagna elettorale – è il commento beffardo di Marco – non ci crede nessuno. Soldi ne sono stati stanziati anche in passato ma non sappiamo che fine hanno fatto, perché la situazione è rimasta uguale e il trenino è fermo a Cagliari”. La sensazione di abbandono è tale da far diventare “eroica” ogni tentativo di resistenza. “Io ho provato a non cedere – racconta l’imprenditore -, per quattro anni mi sono inventato di tutto, compreso andare a prendere a mie spese i viaggiatori che arrivavano all’ultima fermata aperta del trenino per portarli a Niàla”.

Non solo. Con la moglie Lucia, insegnante, Marco ha cercato soluzioni tampone, ampliando l’offerta e fornendo itinerari di trekking abbinati al pranzo. Sforzi di sopravvivenza che oggi purtroppo si annullano, i presupposti non ci sono più: il 27 dicembre la società che gestisce il punto di ristoro si è sciolta. “La causa non è solo il treno che non passa più – spiega – ma una concatenazione di eventi, come i sentieri naturalistici abbandonati o una frana che da alcuni anni interrompe la carrareccia che porta a Nìala: dov’è il comune? Alla fine, chiedo, cosa altro potevo fare?”.

L’annuncio della chiusura del ristoro di Niàla corre su Facebook, suscita indignazione e anche tante parole di incoraggiamento dedicate a Marco. L’urlo che fa più male è quello degli altri operatori della tratta del “trenino verde” e della “Valle dei Tacchi” che, su questa “illusione”, hanno costruiro la speranza di un futuro che tenga lontana la strada dell’emigrazione. Una voce unica, sollevata più volte attraverso comitati e proteste portate anche davanti alla sede della Regione. Voci rimaste inascoltate. “Molti amici e persone che sono state mie ospiti mi hanno mandato i loro messaggi di incoraggiamento, ma neanche una parola è arrivata dai politici, amministrazione comunale compresa. Questo dice tutto”.  

Intanto a Ussàssai come in altre migliaia di piccoli comuni italiani le scuole rischiano di chiudere per mancanza di bambini, gli uffici postali aprono a singhiozzo e anche la presenza del medico, che un tempo si chiamava “condotto”, può essere messo in discussione dalla carenza di numeri congrui a giustificare i costi dei servizi che pure sarebbero “essenziali”. L’emigrazione dei giovani – e non solo loro – spegne definitivamente la luce sui luoghi più preziosi dell’Italia rurale. “Io però non andrò via dal mio paese – chiosa l’imprenditore – e manterrò un presidio a Niàla: saremo ancora a disposizione di chi vorrà conoscere i nostri luoghi”. Nell’attesa, magari, dell’arrivo di tempi differenti.

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