DAI PASCOLI ALLE MINIERE: “IL DOMATORE” DI ALBERTO SECCI EDITO DA “DOMUS DE JANAS”

di SONIA ARGIOLAS

Ho letto questo libro per  caso, o meglio, per via di una casella. Un mio collega, un giorno, mi ha lasciato nella casella avvocati il libro, invitandomi a leggerlo. Successivamente, sempre per caso, ho avuto l’occasione di parlarne diffusamente nel corso della presentazione tenutasi a Seui presso i locali del Museo. E ora, dopo più di un anno dalla prima lettura, mi ritrovo a scrivere qualcosa su questo romanzo con la puntualità che mi è propria, ma il concetto di tempo è relativo, si sa.

Il domatore è un libro che ha un sapore aspro e dolce,  il sapore di storie vecchie, storie di nonni, quelle storie che posseggono concetti e verità che rimangono immutati e immutabili nonostante lo scorrere del tempo. Ha la forza e il fascino dell’oralità pur essendo messo nero su bianco e credo sia proprio questo uno dei punti di forza del libro.

Sardegna. Nel paesino di Colimandola c’è un lieto evento. Nella casa di Don Francesco Pira nasce il piccolo Eusebio, ad assistere la madre nessuna levatrice, ma solo il padrone di casa, don Francesco appunto, che si è preoccupato di allontanare dalla soglia una donna che, benevolmente, intendeva assistere la partoriente. Diciotto giorni dopo quella nascita, la madre di Eusebio morirà, lasciando all’altero Don Francesco il compito di occuparsi di quel figlio marchiato tristemente da precoce orfanezza. Sarà una capra che fornirà il nutrimento vitale a quel bimbo. Il di lui padre forse si aspettava per il figlio una vita diversa, ma il piccolo manifesta, precocemente, una predispozione e una sensibilità abnorme per gli animali. Eusebio ha un animo da domatore, esattamente come il padre o, forse, meglio del padre, riuscendo a stabilire, con gli animali, una sintonia e a comunicare, grazie alle sue doti, con essi. La campagna, il verde e gli animali diventeranno la sua arcadia, ma quando quell’agreste mondo sarà colpito da una forte crisi, che non risparmierà tutto il territorio sardo, Eusebio inseguirà, con sua moglie Caterina, il sogno – allettante oltremodo – della miniera, lasciando Colimandola, lasciando le sue radici, lasciando i suoi animali  e suo padre. Ma la vita, spesso, è un cerchio ed è fatta più che di abbandoni, di ritorni…

Attraverso le vicende personali di Eusebio,  Alberto Secci dipinge un affascinante nonché realistico affresco di storia sarda che copre un arco di tempo di circa cinquantanni. Eusebio è un bimbo sveglio, perspicace ben consapevole di quello che vorrà essere. Il suo rapporto speciale con gli animali , la sua sensibilità fuori dal comune lo porterà a essere un domatore, a seguire la via paterna per raggiungere risultati anche più elevati del suo maestro. E là nelle campagne, a volte generose e a volte ostili, che sceglie di vivere, di crescere di formarsi rinunciando allo studio. Ma quelle campagna, a un certo punto, non basta più soprattutto e, allora, la miniera con le sue promesse di felicità diverrà la sua nuova vita. Ma le promesse molto spesso sono deludenti, la vita in miniera è dura, grigia, faticosa. Alla fine il cerchio si chiuderà con un ritorno: il ritorno al punto di partenza, cresciuto e uomo. Sono storie semplici quelle raccontate da Secci con una scrittura limpida e scorrevole, nella quale si muovono uomini con il loro bagaglio di sogni, di passioni, di amore e odio.  

Al centro del plot narrativo, e all’interno della cornice storica trattata,  si pone il rapporto padre-figlio sempre complesso, fatto di parole non dette, di silenzi pesanti, ma carichi di significati. Un rapporto difficile nel quale l’odio e l’amore lottano incessantemente, senza cedere, né l’uno né l’altro, a una resa. Ma Il domatore non è solo questo, poiché trattasi di romanzo capace di dipanarsi su più piani, c’è anche l’amore intenso, forte travolgente che si erge a pilastro fondamentale. E ci son le donne, dipinte nella loro imperfetta perfezione, dispensatrici di forza, sono cariche di fascino e di saggezza le donne descritte da Secci, sono le donne sarde, frutto di quella terra aspra nella quale si sono formate, alimentando passioni, proteggendo e curando le famiglie, senza mai esagerare con le parole, senza mai fare troppe domande. Senza mai dire troppo, ma spesso indirizzando, con fili invisibili, le scelte altrui. E c’è, su tutto, la terra, quel legame con la terra natia, viscerale, a tratti astioso, ma incancellabile. Insomma, un romanzo contenitore in grado di riempirsi di tante storie, di tanti sentimenti, di sogni, vario e sfaccettato come la vita: ed è questo, infatti, che contiene, tanta vita.

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Un commento

  1. È un gran bel romanzo, vale la pena leggerlo

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