L’ARCIPELAGO DELLA MADDALENA, TROPPO BELLO PER NOI: UN’AREA UNICA CON 62 ISOLOTTI CHE RENDONO MERAVIGLIOSO L’HABITAT NATURALE

di FRANCESCA ORTALLI

Mare cristallino dalle mille sfumature. Promettente e seduttivo, profuma le rocce e gli arbusti. Abbraccia una lingua di terra spezzettata in isole minuscole, con spiagge dalle sabbie rosa dominate da graniti imponenti scolpiti alla maniera di Henry Moore. È l’arcipelago de La Maddalena, nell’estremo nord della Sardegna, sede dell’omonimo Parco nazionale. Si estende su 180 chilometri di coste e protegge complessivamente una zona di 20.180 ettari. È un’area unica nel suo genere sia per la naturale conformazione dei suoi 62 isolotti che per l’habitat naturale. Nel 1994 si pensò di tutelare questo piccolo capolavoro della natura con la legge n.10 del 4 gennaio, data ufficiale della nascita del Parco nazionale dell’Arcipelago de La Maddalena, l’unico in Italia costituito dal territorio di un solo comune. L’ente gestore e le norme di tutela videro la luce due anni dopo con decreto del presidente della Repubblica, ma è solo nel 2003 che il Parco prende realmente forma.  Poi, viene firmato un accordo tra Italia e Francia per la tutela di quel tratto di mare che separa Sardegna e Corsica: le Bocche di Bonifacio, che diventeranno un parco marino internazionale. Tra i punti più importanti dell’accordo, l’interdizione  per le navi che trasportano materiali pericolosi e la conservazione dell’habitat per le specie marine, a cominciare dalle balenottere. Il progetto per l’istituzione di questo nuovo programma di tutela fu avviato, ed è stato più volte fermato da ostacoli di natura giuridica. Un protocollo conclusivo è stato finalmente firmato dai ministri dell’Ambiente e del Mare di Francia e Italia. Il nuovo parco marino includerà quello de La Maddalena (italiano) e la Riserva naturale (francese) per poi estendersi a tutta la fascia marina tra Sardegna e Corsica, con l’obiettivo di inserirla tra i Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco.  Per ora si è solo nella prima fase, che comprende la faticosa sperimentazione di un modello di gestione congiunta attraverso lo strumento comunitario del Gect (gruppo europeo di cooperazione territoriale). Attenzioni di tutela internazionale per questa piccola perla del Mediterraneo, che cerca di chiudere il conto con il fardello pesante delle servitù militari. La Maddalena infatti fino al febbraio del 2007 era “la casa” degli americani della US Navy, la base militare nata nell’agosto del 1972 e tornata in patria 35 anni dopo, il 29 febbraio 2007.

Stefano, una vita ancora da inventare, ricorda il giorno in cui finì quella lunga “occupazione”: “Fu quasi uno shock per chi, come me, aveva sempre conosciuto gli americani e trovava normale vivere tra sommergibili e portaerei. Quando sono andati credevamo di avere il futuro in mano”. Molti si aspettavano rose e fiori, con il G8 in arrivo e i tanti posti di lavoro promessi. Ma di quelli ancora oggi non c’è traccia e tra le eredità lasciate dal G8 “scippato” spuntano anche i veleni adagiati sui fondali, come ha rivelato l’inchiesta pubblicata a da L’Espresso. Veleni che possono mettere a dura prova un ecosistema prezioso per la vita dell’intero Parco. Tra le sostanze tossiche rilevate, oltre agli idrocarburi pesanti, anche piombo, cadmio e arsenico. Lo stesso veleno che, in alte concentrazioni, fa la sua apparizione a Salto di Quirra, zona militare appaltata alla Nato nel sud-est della Sardegna e nota per l’alto numero di malformazioni e tumori tra la popolazione. Nel 2004 l’istituto francese Criiad aveva messo in evidenza come tra La Maddalena e Bonifacio i valori di radioattività fossero 400 volte superiori alla norma. Nello stesso anno un’indagine di Legambiente e dell’Università della Tuscia segnalava la presenza di radionuclidi trans-uranici, particelle che possono portare a mutazioni genetiche derivanti da processi utilizzati per la propulsione nucleare. Oggi tutti dicono che le acque del Parco sono pulite. “L’Arcipelago non è una discarica!”, si spiega che, “anche se fosse accertata la presenza di sostanze inquinanti nell’area circoscritta allo specchio acqueo prospiciente l’ex Arsenale, tale eventualità non avrebbe alcuna relazione con gli altri arenili dell’Arcipelago”.

Nel frattempo continua l’abbraccio scomodo con i militari: le immense cavità sotterranee di Guardia del Moro sull’Isola di Santo Stefano, in parte occupate dagli americani, sono ancora nelle mani della Marina Militare Italiana. Lì si trovano un deposito di stoccaggio di missili di ultima generazione e un poligono all’aperto, interdetti a tutti. Si è aperta la strada dei contenziosi legali e i giudici diranno se è giusto che a Santo Stefano si giochi ancora alla guerra. Un altro colpo per l’arcipelago che voleva costruirsi il futuro contando sulle sue risorse naturali, cioè su quelle isole visitate ogni anno da migliaia di turisti per la loro bellezza abbacinante.

Tra le più suggestive, Razzoli e Santa Maria, unite dal Passo degli Asinelli. Qui, tra scogliere scolpite dal vento, dominate dal faro delle Bocche di Bonifacio, Franco Solinas scriveva le sue indimenticabili sceneggiature. A Santa Maria si trova ancora l’antichissimo convento dei benedettini che sbarcarono su questo pezzo di terra a metà del 1200, in fuga dalla Corsica. Tra le perle dell’arcipelago, la spiaggia rosa di Budelli, completamente interdetta sia alla balneazione che alla navigazione per il malvezzo dei ladri di sabbia, che andavano via con bottiglie stracolme, rischiando di alterare l’equilibrio del sistema. E poi ancora, Spargi e Spargiotto, con le loro cale circondate da imponenti fortificazioni, impronta indelebile lasciata dalle stazioni militari sardo-piemontesi di stanza fin dal 1767, e dominate dalle immense rocce di granito. A un tiro di schioppo dal regno dei vip in Costa Smeralda, ecco Mortorio, Nibani, Soffi e Camere, a lungo contese con il comune di Arzachena e poi rientrate all’interno del Parco. La Maddalena e Caprera sono invece le isole più grandi e le più abitate. Sono unite tra loro da un ponte e da un istmo che porta direttamente al museo garibaldino, la casa dove l’eroe dei due mondi trascorse gli ultimi anni della sua vita. Qui, in quest’isola abitata un tempo solo da pastori, Garibaldi importò macchine e tecniche agricole all’avanguardia per l’epoca. A Santo Stefano un busto imponente è in bella vista a Cala Villamarina sul piazzale della vecchia cava abbandonata. Fa parte della statua che fu commissionata da Benito Mussolini per omaggiare il consuocero Costanzo Ciano, padre di Galeazzo. Alta 13 metri, doveva essere il secondo complesso monumentale dell’Italia fascista dopo l’altare della Patria. Gli scalpellini locali diedero vita al progetto di granito dello scultore Arturo Dazzi ma dal 1943 il busto sta lì, abbandonato. È forse questa la prima delle grandi incompiute che segna il destino di questo bellissimo parco naturale, dove la bellezza della natura si intreccia alle piccole e grandi storie.

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