Non è un Paese per giovani, per dirla alla Veronesi. Ma di questo c’eravamo accorti già da un pezzo. Quel che invece salta all’occhio guardando all’ultimo censimento Istat è come sempre più lentamente l’Italia rigeneri la sua pelle. E alle grinze si accompagna sempre più spesso uno status sulla carta d’identità: quello di single.
Un dato su tutti: in meno di 30 anni gli ottantenni nel Belpaese sono più che raddoppiati, toccando quota 4,2 milioni. I bambini, di contro, rappresentano appena un milione su 60 milioni e 484 mila italiani, il 22,6 percento dei quali è costituito da over 65.
Dal 1991 a oggi (dati aggiornati a gennaio 2018), gli under 15 sono diminuiti di quasi un milione, così com’è calata anche la popolazione in età da lavoro. L’età media degli italiani? Nel 2018 supera i 45 anni, mentre a inizio anni Novanta si manteneva al di sotto dei 40. Italiani sempre più longevi. Prima tra le regioni la Liguria, che è anche al top in Europa per numero di anziani che hanno spento le 105 candeline. D’altra parte, nel 2017, le nascite hanno registrato un nuovo minimo storico e per il terzo anno di fila sono inferiori al numero di morti. Il censimento Istat appena pubblicato è interessante anche perché evidenzia significativi cambiamenti alla voce “stato civile” sulla carta d’identità degli italiani, indice di profondi mutamenti socio-economici. Tra i cittadini dai 15 ai 64 anni diminuiscono di molto i coniugati (quasi di 4 milioni) a vantaggio soprattutto di celibi e nubili, mentre i divorziati quadruplicano. Il calo più forte di matrimoni si registra nella fascia 25-34 anni, in cui gli uomini non ancora sposati rappresentano ben l’81 percento, le donne il 65. Calo che, almeno in minima parte, è compensato dalle unioni civili: a gennaio se ne contavano 13,3 mila. A unirsi civilmente sono soprattutto uomini in grandi città, specie a Milano, Roma o Torino, e che da un pezzo hanno superato i 40 anni.
Snocciolati i numeri, qualche considerazione è d’obbligo. Il dato positivo è che se si nasce in Italia si hanno più probabilità di morire in età avanzata che in altre nazioni. Per longevità, infatti, il nostro Paese è secondo soltanto al Giappone. D’altro canto, l’Istat ci parla di “slittamenti”, se non di superamenti di tappe fino a non troppo tempo fa ritenute centrali nella vita di gran parte degli italiani, quali il matrimonio e la formazione di nuovi nuclei familiari.
Lontana ormai anni luce l’epoca dorata dei baby boomers, impressa nell’immaginario collettivo sull’Italia. Dalla metà degli anni Settanta si assiste a un aumento dell’età media del primo matrimonio. Al contempo, col sopraggiungere della crisi economica e dell’innalzamento del livello d’istruzione e dei tempi formativi, si dilatano gli anni di permanenza dei giovani o “diversamente giovani” nelle famiglie d’origine. In Italia più che altrove. Agli anni di studio seguono spesso anni di ricerca di un’occupazione più o meno stabile. Occupazione che al Sud non c’è (quasi mai) e che si fa fatica a trovare anche al Nord: chi entra nel mercato del lavoro lo fa sempre più tardi, dopo anni di stage o contratti a termine, lavori in nero o sottopagati.
L’ingresso nel cosiddetto “mondo adulto” coincide così sempre più con la vecchia cara “mezza età”. Quella in cui un tempo ci si poteva guardare indietro e tirare un sospiro di sollievo. La promessa di più anni (e cure mediche) da vivere, non ridà indietro quello che si è “perso” per strada.
In un’Italia dove permangono gap di genere, precariato e mancanza di tutele, si formano sempre meno famiglie. L’Istat ci dice che generazioni in gran parte composte da donne escono dalla cosiddetta “età feconda”: diminuisce la propensione a procreare e chi decide di avere figli lo fa sempre più tardi, con tutti i rischi e le incognite connesse, non supportato da misure strutturali e incentivi alla natalità da tempo consolidati in altri Paesi europei.
Con il risultato che, chi rimane, ha più ieri alle spalle che domani davanti, in un Paese che pure avrebbe tutte le carte in regola per giocare un ruolo di primo piano nel mondo del futuro, perché dotato dei “valori chiave” individuati per la crescita nei prossimi decenni: qualità, bellezza, vocazione. Queste le caratteristiche fondanti su cui il “giardino d’Europa”, cui altrove guardano ancora con sincera ammirazione, non può permettersi di non puntare, investendo sui giovani e sul loro genius loci, se vuole tornare a crescere.