IL GRUPPO FOLK “A S’ANDIRA”: DAL CIRCOLO “DOMO NOSTRA” DI CESANO BOSCONE PER PORTARE LA SARDEGNA NEL MONDO

di SERGIO PORTAS

Il quartiere “Tessera” di Cesano Boscone, dove (in via Kulishoff) c’è la sede del circolo sardo “Domo Nostra” godeva, negli anni ’70, trista fama di pericolosità, una sorta di “Bronx dei poveri”, dove gli spacciatori la facevano da padroni e la microcriminalità era conseguenza più evidente. Qui è anche il più grande insediamento di edilizia popolare pubblica di questa porzione di sud Milano, 960 alloggi per circa 3500 residenti. Fa piacere sentire il sindaco Simone Negri dire che tutto ciò appartiene oramai a un tempo passato, che si spera non debba più tornare, anche in grazia di tutte quelle associazioni che hanno innervato il tessuto sociale con le loro varie attività, ognuna come un piccolo seme in un campo di grano, che ora può orgogliosamente mostrarsi colorato di fiordalisi e papaveri e margherite d’ogni colore. Il circolo sardo ha sempre fatto la sua parte, oggi 15 aprile, per i 50 anni del “Tessera” (tre giorni di feste, presentazione di libri fotografici, inaugurazioni nuova sala di lettura, torneo di rugby, concerti rap e molto altro) organizza un’esibizione folk del suo gruppo “A S’Andira”. Sindaco e il presidente del circolo Pietrino De Palmas si lasciano andare ai ricordi di quando, mezzo secolo fa, anche i sardi erano visti dalla gente del posto come “emigranti” dagli usi e costumi tutti loro, fortunatamente bianchi di faccia. Chissà se è anche per quello che il gruppo folk, che balla, canta, suona, ha voluto iniziare il suo spettacolo con un ballo ispirato ai “piccioccus de crobi”, a ricordare un passato neppure così lontano (fine ottocento, prima metà del novecento) quando anche Cagliari poteva vantare (si fa per dire) i suoi “ninos de rua”, ragazzini orfani, “figli della colpa”, abbandonati da famiglie così povere che non avevano modo di mantenerli, vestiti per lo più di stracci, scalzi e magri da fame perenne. Stazionavano coi loro capienti cesti d’asfodelo (sa crobi), che usavano anche a mo’ di giaciglio  e camera da letto in un tutt’uno di vecchi giornali e cartoni che fungevano da coperte, bazzicavano le viuzze del porto, la stazione e il mercato cittadino, qui davano letteralmente la caccia alle “signore bene” che si recavano a far spesa al mercato, per pochi spiccioli, spesso un pezzo di pane, si offrivano di portar loro la spesa, sa crobi diventava il loro distintivo, quello che li “abilitava” al servizio. Centinaia erano, Mario Carrara presentò una relazione su di loro al V° congresso internazionale di antropologia ad Amsterdam nel 1901, lui studioso di Lombroso e delle sue teorie positiviste ( dalla misurazione del cranio faceva discendere una presunta tendenza alla criminalità, e i crani dei sardi erano particolarmente sospetti). Lo perdoniamo solo perché fu uno dei pochissimi cattedratici che rifiutò di prestare giuramento al Fascismo, cosa che pagò col carcere. Visto che “Save the children” era al di là da venire, l’umana pietà veniva allora esercitata dalla Chiesa, alla Marina di Cagliari suor Giuseppina Nicoli mise su un asilo che a molti di loro seppe dare una minestra calda e un pagliericcio, almeno non si dormiva all’aperto, lei di salute cagionevole, nata in un paesetto dell’Oltrpò pavese, trovò nel capoluogo sardo il modo di vivere una vita totalmente spesa a lenire le sofferenze dei più bisognosi, i reietti della terra, gli orfani di tutti. L’hanno già fatta beata, ma è una santa da sempre, senza bisogno di bolle papali che lo certifichi. Roberto Carrus, anima danzante e non solo di A S’Asandira, prende una corbula e attende che il cerchio del gruppo femminile si sciolga e gli faccia posto, le launeddas di Matteo Contu a cantare per tutti, è di Silì Roberto, ora periferia di Oristano, ma è stato sempre un paese autonomo, tremila abitanti nel Campidano di Simaxis col Tirso a fargli da culla,  fin da piccolo, la mamma Giustina Lai a spingervelo, ha fatto parte del gruppo folk del paese intitolato a San Michele (i “guardoni” di Youtube lo possono ammirare in “su ballu de su trobaxiu”), giunto giovane a Milano, il costume sardo in valigia, è riuscito a coinvolgere un numeroso gruppo di sardi e non in un progetto culturale che ha le basi saldamente fondate sulla tradizione isolana. In ispecie il ballo dove lui eccelle, ma anche una continua ricerca tematica in cui entrano costumi, canzoni, strumenti musicali, poesia. Una quindicina d’anni fa si imbatte in Angelo Bianchini, uno che ti dice “meno male che nella mia vita ho incontrato i sardi”, docente di chitarra e bravissimo a suonarla, si innamora dei balli e dei costumi sardi in senso lato. Lui “continentale” può liberamente scegliersi il costume maschile che più lo intriga, e i suoi corpetti sono sempre tra i più sontuosi e colorati del gruppo. Oggi ne sfoggia uno aperto sulla camicia candida “ a zughittu” che , a differenza di tutti gli altri che vestono gli uomini del gruppo, rigorosamente neri e tutti abbottonati,   ha dei profili d’oro e azzurro intenso, con una sorta d’alamari dorati sul davanti, una rosa rosso scuro ricamata sul dietro, all’altezza dei   ginocchi dei gambali due nastri azzurri a fare “pendant”. Che l’abbia preso in prestito in qualche paese del Campidano? Di sicuro lo ha fatto la protagonista della canzone con cui continua la festa di stasera, è del 1870: “Murinedda”, la chitarra di Angelo vale quanto un’orchestra e il coro di quattro donne e un uomo incantano con la melodia e l’ironia dei versi: “Murinedda mia,/ cand’ andada a sa festa/ fina a su corittu/ da s’ astroso s’impresta./ Piciin ora bona/ i te fantasia/ e chie l’ha bidia,/ Murinedda mia…” (su Yotube se ne possono sentire versioni svariate, che è una delle più note canzoni “ ‘e beffa” sarde). A intercalare canti e balli, stasera, Angelo e gli altri artisti sul palco intrattengono il pubblico anche con le storie che  fanno riferimento agli strumenti musicali che accompagnano le esibizioni dei ballerini, tocca a Matteo Contu svelare i segreti della respirazione in continuo di chi aspira a suonare le Launeddas, disquisire di “mancosa” e “mancosedda”, di “tumbu”, distinguere tra canna femmina e “mascu”, il suo strumento è un vero fossile vivente, inevitabile accennare al bronzetto nuragico ritrovato a Ittiri, il “suonatore di launeddas itifallico (il membro eretto)”, ora al museo nazionale di Cagliari, da cinquecento anni prima di Cristo ci manda a dire che la musica produce eccitazione, uno stato di grazia che favorisce la fertilità e la prosperità del gruppo sociale. Tocca poi a Marilena Casu spiegare al pubblico continentale che ogni paese della Sardegna sfoggia un costume particolare, diverso per la festa e per i giorni ordinari, il suo è di Zerfaliu, nel Campidano oristanese, gonna viola e sovragonna arabescata: “Il senso del vestire “bene” riflette l’attaccamento che ho per la mia terra”. Organetto e “pipiolu” la fanno poi da padroni per accompagnare  un classico “Pass’e trese”, Angelo Maffezzoli è suonatore di “solittu”, insegna musica nelle scuole e ha diluito il suo essere lombardo prendendo a isposa Angela Masala, di Pattada, ballerina, cantante, suonatrice di “tumburinu”. Dice Angelo che quello che suona è l’unico strumento a flauto aragonese, in Sardegna è di canna. Per la visita del re nell’isola che gli aveva consentito di cingersi della corona, nel 1780, si suonò “ a solittu” per tutta una giornata sulle porte delle chiese sarde. Angelo poi prende in mano un tamburo e assieme all’organetto di Luciano Mereu si lanciano in uno scatenato “Passu torrau” (c’è anche un triangolo di cui vi dirò dopo). E’ con questo ballo che Roberto Carrus , circondato come ovvio dal roteare dei suoi compagni di danza, riesce definitivamente  ad “épater les bourgeois” (meravigliare, lasciare a bocca aperta la gente, i borghesi). Danza con un bicchiere pieno d’acqua posato sulla testa, mentre i piedi frullano instancabili, la parte superiore del corpo rigida, il bicchiere che pare magicamente incollato, una livella che misura un impossibile equilibrio. Si parla , è ovvio, di quanto importante oramai sia, per le feste popolari sarde, avere un bravo suonatore di fisarmonica diatonica (suona contemporaneamente la melodia e l’accompagnamento). Altrettanto inevitabile, il canto di “Procurade ‘e moderare” riccamente orchestrata ma a poche voci, che qui precede un “Ballu ‘e ferru” dove al tamburo l’organetto e il triangolo si associa il “pipiolu”. Al triangolo, eccezionalmente è Pino Martini Obinu, sulla scena musicale sarda-italiana oramai da mezzo secolo ( da poco esaurita l’esperienza del coro “Sa oghe de su coro”, che pure è durata un decennio, ha già messo su un quintetto popolare: “Che sos ainos”): “Il triangolo, d’acciaio nelle orchestre sinfoniche, in Sardegna è “ferroso”, ricorda nel suono lo scampanio festoso dei campanili, lo suono qui per la prima volta. La Sardegna è paese musicale”. C’è ancora tempo per una serenata: “Dammi il tuo cuore Teresa” e poi si chiude col ballo gallurese “Lu Scottis”, l’unico antiorario a coppia fissa, le lunghe sottane pieghettate  delle ballerine che paiono gonfiarsi di maestrale, a scoprire finalmente gambe e caviglie. Sul palco  del teatro Piana anche un’esibizione molto applaudita dei corsisti di ballo sardo, “in borghese” ma numerosissimi, a significare quanto successo abbia avuto al circolo “Domo Nostra”  quest’anno, sardi e no. Che dire di “A S’Andira”? Erano al 29° Festival del Folklore ad Heilbronn, Stoccarda, (insieme a Turchi, Croati, Boemi,Ungheresi, Bosniaci),  il 12 maggio scorso su invito del circolo sardo locale“Gennargentu”, sabato 19 al centro anziani di Assago. Li avevo incrociati a Novegro in marzo al “Festival del Mediterraneo”, tra profumi di spezie marocchine e algerine. Portano un po’ di Sardegna in giro per il mondo ( per portarla tutta intera ci vorrebbe un’altra vita), stupiscono con le loro coreografie, lo splendore dei costumi, il suono di launeddas e chitarra e organetto e solittu. Nel gruppo anche poeti, a proposito dei loro “picciocus de crobi” Mirella Manca scrive: “Così si sollevano dalla polvere gli altrimenti dimenticati. Così si dà luce a chi luce ha mai avuto, pur se dormivano sotto il tetto più lucente della terra. Perché quel Dio che cacciò dall’Eden Adamo ed Eva, forse si era scordato di salvare quelli che, senza colpa alcuna, si sono trovati a nascere tra la polvere, e per sempre tra la polvere sono rimasti, come gli sfortunati Picciocus de Crobi di Cagliari”.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

6 commenti

  1. Come al solito Sergio Portas, emoziona con i suoi articoli. Ampi excursus dal potere ” di farti sentire sardo” pure nella grande Milano. Conoscendo il gruppo a s’ Andira molto da vicino, sia per la frequentazione del corso di ballo sardo che per alcune felici collaborazioni con essi e con tutto il circolo di Cesano Boscone, colgo ancora l’occasione di complimentarmi per la loro bravura, professionale e umana. Grazie Sergio Portas di avermi nominata, con un piccolo estratto di un mio articolo.

  2. Beatrice Spano

    Wowww che articolone. Grazie al giornalista Portas per aver dedicato questo meraviglioso articolo al gruppo Folk Sardo ” A S’Andira” decantandone le gesta, e per aver ricordato quanto siano importanti le varie associazioni culturali tra le quali il Circolo dei sardi “Domo Nostra” per riqualificare in alcuni casi i quartieri che tempi addietro non avevano una buona considerazione.
    Possiamo dire che questo avviene grazie alla collaborazione tra centri culturali e comune e nel nostro caso grazie alla voglia di tramandare le tradizioni della nostra isola e farle conoscere ed apprezzare anche ai cosiddetti “continentali”
    Evviva il gruppo ” A
    S’Andira” evviva il Circolo ” Domo Nostra”

  3. Grazie Sergio sempre interessanti i tuoi articoli , ricchi di micro-notizie che tutte insieme fanno una grande informazione, questo poi mi sarà particolarmente caro perchè dà testimonianza della mia prima volta al triangolo, strumento umile ma importantissimo (come tutte le grandi cose), apparentemente semplice ma difficile da suonare e molto interessante. E’ stato molto coinvolgente suonarlo con gli A S’Andira che sono davvero molto bravi.
    Con stima
    Pino Martini

  4. Alle preziose considerazioni di Portas, posso solo aggiungere che il Gruppo ” a s’ andira ” ha il potere di attrarre i migliori appassionati delle tradizioni sarde.
    Coloro, cioè, che nel corso di questi ultimi anni, hanno continuato lo studio nel tentativo di rivivere parte del loro passato, trasformandolo in un prezioso presente.
    Lo studio continua, la strada da percorrere è ancora lunga.
    Avanti così.

  5. complimenti a.tutto il gruppo e brava Bea

  6. Ringrazio caldamente
    Sergio Portas per il suo bel articolo che ricorda alcuni aspetti storici del quartiere Tessera a Cesano Boscone dove il circolo Sardo Domo Nostra e’attivo da 40 anni con le sue iniziative culturali , ricreative , musicali, teatrali , animando assieme alle altre associazioni il quartiere ed il territorio.
    Pietrino Depalmas
    Presidente Circolo Sardo Domo Nostra .

Rispondi a Mirella Manca Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *