L’OLTRAGGIO DELLA SPOSA: AL CIRCOLO SARDO DI MILANO, LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI OTTAVIO OLITA, SARDO D’ADOZIONE

nella foto da sinistra: Pasqualina Deriu, Ottavio Olita e Rosa Muggianu

di SERGIO PORTAS

Comitato d’onore per Ottavio Olita e il suo: “L’oltraggio della sposa” (ediz. Città del Sole) al Circolo sardo di Milano: da una parte Pasqualina De Riu di Silanus ma che, dopo la laurea, ha avuto tutta una carriera “continentale”, insegnando nelle scuole superiori milanesi, e scrivendo poesia nelle sue giornate (Cala Sisine e dintorni, A metà della strada, Il cielo tra le pietre, alcune delle sue raccolte pubblicate). E Rosa Muggianu, qui come “interprete- lettrice” che nasce nel Mandrolisai di Atzara ma che parimenti nel capoluogo lombardo  ha dipanato gran parte della vita, ambedue segnate dal ricordo di un’infanzia spesa nel cuore della Barbagia nuorese  (Rosa ha da poco dato alle stampe un prezioso libretto dal significativo titolo: “Ritorno ad Atzara”). Lui, l’Olita è “sardo d’adozione”: innamorato? Folgorato sulla via di Casteddu? Nasce calabrese ma la laurea in Lingue e Letterature straniere la prende a Cagliari, dove dal ’74 all”80 insegna alla facoltà di Magistero. Poi alla “Nuova Sardegna” di Sassari dall’84 all’88. Infine alla RAI (Novantesimo minuto, Ambiente Italia, Esteri per il TG2). Scrittore e saggista (Sardegna in fiamme, San Sperate all’origine dei murales, con le belle foto di Nanni Pes ) è al suo sesto romanzo. Convinto com’è che oltre ai fatti, che in genere competono allo storico, è col narrare i racconti che lo scrittore fa emergere i sentimenti che li sorreggono, dando loro una vita diversa e aprendo cortine di significati che rimarrebbero altrimenti nascosti. Francesista, la sua tesi di laurea su Charles Baudelaire, sono Hugo e Balzac e Stendhal i fari che illuminano i suoi percorsi letterari, nonché Dickens, come dargli torto del resto quando dice che nulla sapremmo veramente della cosiddetta “rivoluzione industriale” se non avessimo letto l’Hgo dei “Miserabili”, lo Zola di “Germinale”? Mai essi, i più poveri, sarebbero veramente entrati nella Storia. La sostanza che rimane dalla lettura di un grande libro, uno per tutti il “Montecristo” di Dumas, si deposita indelebile nella coscienza, si fa educatrice di sentimenti. Scrive Umberto Galimberti su D, il magazine di Repubblica, nel numero del 14 aprile: “…I sentimenti non sono un’espressione della natura, ma della cultura. I sentimenti si apprendono…disponiamo oggi di quel grandioso e appassionante repertorio che è la letteratura, dove è possibile imparare cos’è l’amore in tutte le sue sfumature, cos’è  il dolore in tutte le sue declinazioni, cos’è la gioia, la noia, la disperazione, il suicidio, la speranza, la tragedia. Leggendo, i sentimenti si imparano, ci si familiarizza con loro, se ne conosce il nome e i possibili percorsi a cui avviano e dove conducono. Insomma, leggendo, si acquisisce una competenza sentimentale che è alla base della sicurezza di sé…”(pag. 178). Ma torniamo alla Sardegna scelta a patria da Ottavio Olita: “Sono l’ottavo figlio di due genitori venuti su insieme in terra di Lucania nel primo novecento, ricchi solo del loro amore, babbo tentò l’espatrio all’”America” nel 1932 ma gli andò male perché a Napoli, dove gli fecero forse la prima visita medica della sua vita, lo dichiararono inabile per congiuntivite. Restava, allora a mito lavorativo, l’elettrificazione di una terra altrettanto aliena e lontana: l’isola di Sardegna. Prima tappa a Sindia, sull’altopiano di Campeda, 12 chilometri da Macomer. Per mamma Pietrina (nome di profetico  “sapore sardo”) ci volle una sorte di “operatrice culturale” che l’aiutasse a penetrare le profonde differenze tra il modo di vivere delle contadine lucane e le donne sarde. E per superare lo scoglio della lingua, che naturalmente allora tutti parlavano in sardo. La scoperta che fece della dignità che le caratterizzava l’abbagliarono e la fecero innamorare della nuova terra. Mentre babbo piantava pali sempre più a sud, Bonorva e Barumini sino ad arrivare a Monserrato, ed in seguito a fare bobine elettriche, in Sardegna nascono uno dopo l’altro sei fratelli. E lì sarebbe toccato anche a Ottavio se la guerra non avesse spaventato i suoi dopo i bombardamenti che ebbe a subire Cagliari nel ’43. Si torna in Calabria, ha quattordici anni Ottavio quando muore il babbo ed allora mamma Pietrina decide che si ritorna tutti a casa, in Sardegna, dove comunque era rimasto a vivere uno zio. L’amore per l’isola passa a Ottavio dall’amore di mamma Pietrina, roba che ti marchia a fuoco per la vita. Legge Rosa Muggianu dalla seconda di copertina dell’”Oltraggio della sposa”: “ E’ il 2 maggio 1971, quando Adele Mori, ricca fanciulla di provincia non ancora diciottenne, viene data in sposa all’eroe di guerra Giacomo Perra , trentacinquenne capitano dell’esercito del neonato Regno d’Italia. Trascorsi pochi anni di matrimonio con un marito incapace di soddisfarla sia come moglie che come donna, Adele decide di allontanarsi da Giacomo, tornando così a vivere con la sua famiglia a Cassano allo Jonio. Lì ritrova la felicità e la spensieratezza iniziando una storia segreta con Paolo Vescovi, saltimbanco di circo. Quest’ultimo, abbagliato dal desiderio di avere la donna tutta per sé, uccide il marito. Inevitabilmente la vita della giovane Adele verrà travolta dallo scandalo e da un processo, che susciterà una morbosa curiosità e che si concluderà con la condanna dei due amanti…”. “Io, dice Olita, da vecchio cronista giudiziario, mi sono andato a leggere gli atti processuali, e teniamo conto del contesto sociale e territoriale, parliamo della presa di Porta Pia  avvenuta solo nove anni prima dei fatti in oggetto, siamo nell’Italia del sud, Napoli gode di una immensa tradizione culturale (che Torino può solo sognarsi) e comunque il nuovo regno non cambia certo l’etica imperante”. Colei che insegna ad Adele le “buone maniere” è la nobildonna Maddalena Serra di Cassano, che si è letteralmente rifugiata nella cultura “alta” dopo che il tentativo di rivoluzione nel regno borbonico del 1799, che portò all’effimera proclamazione della Repubblica Napoletana, ( durò pochi mesi)  sfociò nelle forche che portarono morte tra i borghesi e nobili che vi avevano creduto. I “lazzari” guidati dal cardinale Fabrizio Ruffo risalendo le Calabrie si tirarono appresso anche diversi briganti (Frà Diavolo, Mammone) , l’”esercito della santa fede” risale le Puglie e la Basilicata incendiando e impiccando. Il borbone (Ferdinando IV) non farà sconti, neppure alle donne: Luisa Sanfelice, Eleonora Pimentel Fonseca verranno giustiziate assieme ai Mario Pagano, Francesco Caracciolo, Gennaro Serra di Cassano. La flotta inglese alla fonda, comandava un lord d’eccezione: Orazio Nelson, si rese garante dell’operazione “antinapoleonica”. Il processo ad Adele e il suo amante è un vero evento mediatico, forse il primo in assoluto per quei tempi, si svolge davanti alla Corte d’Assise di Roma, Paolo Vescovi, 35 anni, cavallerizzo, nato a Verona, deve rispondere di omicidio premeditato; Adele Mori, 25 anni, “possidente”, viene indicata come la principale istigatrice del delitto…Antonietta Carrozza, 27 anni, acrobata, è accusata di complicità: avrebbe aiutato i due a commettere il crimine (pag.132). Il processo si svolge nel chiostro del convento dei Filippini, si entrava prendendo i bigliettini, i nobili occupavano i palchi, il popolo la platea. Arrivava, per assistervi, gente da tutto il mondo. Ci furono 84 testimoni per l’accusa, 12 per la difesa. Il vero processo più che all’attore materiale del delitto, il Vescovi, si fece alla donna: aveva dato scandalo al paese. Aveva tradito la sua classe sociale. Tra gli atti del processo si trova un libro che lei aveva trovato modo di leggere: “Madame Bovary” , di Gustave Flobert, notoriamente “scandaloso”! Dopo il dibattimento, la Corte d’Assise ci mette un’ora per decidere di condannare, a morte il Vescovi, all’ergastolo Adele, assolta la Carrozza. Quest’ultima sfruttò la notorietà che le venne dal processo: le offrirono 1500 lire per 15 spettacoli ( il povero marito militare assassinato prendeva 200 lire al mese).  Non si reggeva da sola sul cavallo ma veniva acclamata come una star. Altro che “ Grande fratello”! Il “Messaggero “ di Roma che seguirà passo passo il processo ( il suo giovane cronista “innocentista” venne spostato adaltro incarico tre giorni prima la sentenza) moltiplicherà per dieci le copie vendute giornalmente. “Lo Stato, dice Olita, nella figura del Presidente del Tribunale, dice che “la donna è cosa sua”, la donna è sempre “impadronita”. I femminicidi dell’oggi hanno la medesima matrice, o si incide radicalmente sul cambiamento di mentalità o il fenomeno continuerà senza sosta”. C’è tempo per leggere parte dell’ode che il vate italiano d’allora, Giosuè Carducci, dedicò al nuovo fenomeno di costume: “…Voi sgretolate, o belle, i pasticcini/ Tra il palco e la galera;/ Ed intendete a fornir di cittadini/ La nuova italica éra/…” (pag.167). Pasqualina De Riu, all’inizio, aveva parlato del libro definendolo “romanzo storico di profondo antistoricismo”. Come rendere il passato oggetto di narrazione, tra reale e romanzesco.”Olita, dice, include lo storico all’interno del romanzo, e molteplici sono le fonti storiche che usa. L’autore si muove inoltre su diversi registri, ne fa un sistema di idee. Ricordiamoci che tra le classi nobili del tempo era prassi, per le nobildonne avere almeno due o tre “cicisbei”. Addirittura il diritto di avere un “cavalier servente” era stato scritto nel contratto di nozze della marchesa Aldobrandini. Altro che la famosa presunta italica gelosia! Ci troviamo nel bel mezzo della scapigliatura, del romanticismo europeo. Matilde Serao, la Deledda, la “Fosca” di Tarchetti, Sibilla Aleramo. La lettera del Manzoni a Cesare d’Azelio in difesa del romanticismo è del ’23 ma fu pubblicata nel 1870”. Di fronte a tanto paragone Ottavio Olita barcolla un po’, non a caso tra i ringraziamenti alla fine del suo libro scrive che “hanno collaborato, involontariamente, con la loro arte, anche Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Sergio Endrigo, Severino Gazzelloni, John Lennon, Piero Marras, Edith Piaf”.

 

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Un commento

  1. C’ero. Bella presentazione. Bell’argomento. Bel libro, di un epoca non del tutto scomparsa.
    Gli articoli di Sergio Portas sono chicche culturali da non perdere

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