PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE PER L’INSERIMENTO DEL PRINCIPIO DI INSULARITA’ NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

gli emigrati sardi della F.A.S.I. all’aeroporto di Cagliari Elmas

di EMANUELE BOI

ph: Emanuele Boi

Dopo l’apertura di raccolta firme, avviata con grande partecipazione il 7 aprile, la FASI mette a punto un programma di iniziative per i prossimi cinque mesi.

Modifica dell’articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità.

All’articolo 119 della Costituzione, dopo il quinto comma è inserito il seguente: “Lo Stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità e dispone le misure necessarie a garantire una effettiva parità ed un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili”.

L’insularità è una condizione che determina svantaggi sia dal punto di vista economico che dal punto di vista del diritto alla mobilità. Lo svantaggio riguarda l’istruzione e la scolarità, soprattutto per le piccole isole, la sanità, il costo del trasporto merci, la difficile mobilità per il lavoro e i rapporti familiari.

Spesso si sente parlare di sardi “tenuti in ostaggio” per gli elevati costi dei trasporti e il limitato numero di posti disponibili. Questa è una realtà che tutti, almeno una volta, abbiamo sperimentato.

Occorre tenere presente che già nella Costituzione del 1948, prima della modifica del titolo V, era presente il riferimento all’insularità e all’intervento dello Stato con misure appropriate per ridurne lo svantaggio. Anche nel trattato dell’Unione Europea, nel titolo dedicato alla “coesione economica, sociale e territoriale”, per “ridurre il divario tra i livelli di sviluppo e ritardo delle regioni meno favorite” si citano espressamente le “regioni insulari” (articolo 174). Riconoscere il principio di insularità in Costituzione vorrebbe dire prendere atto dell’oggettiva condizione di svantaggio delle isole rispetto al “continente” e permetterebbe di richiedere allo Stato la promozione di politiche volte a colmare il gap derivante da questo status. Tale condizione non può essere corretta semplicemente da iniezioni di denaro pubblico, o meglio non più, considerato l’evidente situazione di crisi economica.

Il “diritto” codificato di vedere riconosciuta la propria dignità e peculiarità, passa attraverso il superamento della cultura dell’assistenzialismo che ha caratterizzato nei decenni gli interventi statali verso il meridione e permette di attuare un percorso che favorisca e garantisca la meritocrazia: offrire a tutti i cittadini uguali condizioni di partenza, consente loro di porli di fronte alle proprie responsabilità e mettersi alla prova.

A dimostrazione della rilevanza sociale della questione basti considerare che al Comitato promotore hanno aderito rappresentanti di diversi schieramenti politici, intellettuali – tra i quali i rettori ed ex rettori delle 2 università sarde – associazioni di categoria come Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, Confartigianato, Coldiretti e associazioni della società civile e del volontariato, come la FASI – Federazione delle Associazioni Sarde in Italia – sempre in campo e protagonista quando si tratta di tutelare e promuovere i valori dell’identità insulare e per mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione della continuità territoriale e, più in generale, dei trasporti. Nel Comitato promotore sono rappresentate anche la Sicilia e l’ANCIM – Associazione Nazione dei Comuni delle Isole Minori.

Proporre una legge di iniziativa popolare sul principio dell’insularità significa quindi chiedere con decisione alla politica di considerare la continuità territoriale, e più in generale i trasporti, non una faccenda riguardante poche persone o realtà, bensì una questione di interesse nazionale in quanto condizione indispensabile per assicurare a tutti il diritto ad una mobilità sostenibile e a concrete opportunità economiche di crescita e sviluppo.

In particolare oggi, ad inizio legislatura, tale iniziativa porrà il nuovo Parlamento davanti ad un’assunzione di responsabilità nei confronti della proposta di legge per reintrodurre “l’insularità” in Costituzione. Quest’ultima, oltre che un valore in sé, favorisce e rafforza la concertazione con l’Unione Europea per misure legislative e di intervento economico volte ad instaurare un vero sistema di “continuità territoriale”.

La FASI, con i suoi 70 circoli e la presenza in 12 regioni e 45 province, può far si che tale battaglia civile, esca dall’isolamento regionale e diventi pienamente nazionale, coinvolgendo  gli emigrati sardi e i cittadini, le personalità politiche, le associazioni e le istituzioni dei territori dove operano.

Si tratta, in definitiva, di un impegno culturale e sociale volto ad affermare il diritto di tutti e ciascuno di dire la propria, con rispetto e nel pieno confronto, ma con pari dignità ed eguali condizioni. Soltanto così si passerà dalla protesta alla proposta, ma soprattutto si passerà da un atteggiamento sempre più diffuso di rassegnazione ad una concreta azione di promozione delle proprie potenzialità.

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4 commenti

  1. Sono sempre stato guardingo nei confronti del comitato che promuove il “Referendum ‘insularità’ in Costituzione”, per una possibile aggettivazione della Costituzione con una qualche espressione che possa alludere a tale insularità. Tuttavia, la richiesta d’un referendum venne dichiarata illegittima a gennaio. Terminato tutto?
    No, perché ancora in queste ore vedo che si continua a affrontare con romantica passione tale questione. Ancora ci sono persone convinte di questo plebiscito, che, invece, è inutile, superfluo e – giacché le finalità potrebbero essere perseguite anche senza questo costosissimo referendum – strumentale. D’altronde, un po’ come nei casi di Veneto e Lombardia di fine 2016, è automatico che la popolazione vada a votare di pancia ‘SÌ’: tratterebbesi d’un plebiscito farsa, per il quale – tra l’altro – sarebbero disposti a recarsi alle urne soltanto gli elettori fanaticamente, e qualcuno di contro anche inconsapevolmente, schierati per il ‘SÌ’.
    Ci tengo a tenere presente che le istituzioni sarde potrebbero direttamente, senza buttare del denaro – come, d’altronde, si riesce a fare bene da un sacco di tempo –, chiedere al parlamento italiano d’intervenire in materia costituzionale per rendere più esplicite le difficoltà sarde dovute alla sua posizione geografica. E, invece, mi trovo a riflettere sui massimi sistemi per cose banali: perché parlare di comizi elettorali per un qualcosa che, di pancia, è sicuramente “truistica”, ossia che appare ovvia e indiscutibile al punto che ogni sua spiegazione e ogni ragionamento in merito sono superflui?
    Ma c’è anche un’altra domanda: davvero c’è il bisogno di storpiare la Costituzione italiana, per inserire il termine “insularità” o una ridicola e stonata espressione che possa a questo alludere? La Sardegna è già regione a statuto speciale, ossia ha la qualifica di “regione autonoma”. È già suo compito intervenire laddove vi siano fatti discriminanti in base alla posizione geografica, ed è giusto così, è giusto che ciò debba essere compito della Sardegna. Inoltre, a ciò s’aggiunge che il tipo di rapporto tra stato e regioni attualmente vigente in Italia è fortemente ancora sbilanciato in favore proprio delle regioni. Motivo per cui, quindi, non soltanto la Sardegna è “autonoma”, ma addirittura sta in un sistema regionalistico, per cui ha importanti poteri, che deve soltanto sfruttare. E, allora, perché scatenare lo sperperamento di denaro quando, invece, è sufficiente che sia la politica sarda a darsi da fare sul campo per risolvere le questioni concrete, anziché per indire uno sciocco referendum sulla carta? Io sono, infatti, convinto che i problemi di cui la Sardegna soffre realmente e concretamente derivino non da lacune costituzionali, bensì dall’incredibile bassezza della classe dirigente locale, nel suo insieme, dalla sinistra alla destra, comprendendo democristiani, finti azionisti (Emilio Lussu ancora si sta rivoltando nella tomba per quanto sta combinando il Psd’az) e indipendentisti. Una politica che, invece, fingendo d’interessarsi al problema dell’insularità, s’occupa di cose improponibili, inutili e inefficaci come pettinare le bambole, anziché agire politicamente coi fatti. D’altronde – e avanzo una provocazione –, siamo davvero sicuri che, inserita con meravigliosa arte poetica la parola “insularità” in Costituzione a fianco del termine “Sardegna”, i politici insulari riusciranno a sfruttare quel potere immenso, così come risulta dalla convinta e accesa propaganda rivoluzionaria del comitato, per risolvere i problemi della Sardegna?
    No.

  2. Daniela Pedes

    c’è online il link dove poter contribuire alle firme?

  3. Una firma per difendere un diritto!

  4. Anastasia Meloni

    Non mi stanco di invitare i cittadini di San Gavino M.le , che non hanno ancora firmato , di farlo .

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