I ROMANZI DI GIACOMO MAMELI “COME FIGLIE, ANZI” E “LE RAGAZZE SONO PARTITE”: IL CRONISTA DELLE DONNE

ph: Giacomo Mameli

di Sergio Portas

Nei “favolosi ’60”, lo dico per i ragazzi che sono venuti su tra facebook e smartphone, i cantanti più in voga, dico  Mina e Celentano tanto per fare due nomi, incidevano anche i “45 giri”, un disco in cui sulla facciata principale c’era una canzone su cui puntava la casa discografica, su quella dietro ve n’era un’altra che era un po’ considerata di serie B. Il paragone mi viene dal nuovo libro che Giacomo Mameli ha pubblicato per la Cuec: “Come figlie, anzi” (aprile 2017) che fa da contraltare al suo fortunatissimo: “Le ragazze sono partite”, sempre per la CUEC editrice, dell’aprile di due anni prima (ma a novembre era già ristampata la quarta edizione). Questo, la faccia A del “45 giri” che vi dicevo, lo ha portato in giro per mezza Italia e ora anche in Europa vivaddio, il 21 di ottobre era a Barcellona: per l’associazione dei sardi in Catalogna: “Giacomo Mameli naciò en Cerdeña, en Perdasdegogu, en 1941. Periodista, escritor y director de la rivista Sardinews. Graduado en Sociologia en la Facultad de Periodismo (giornalismo n.dr.) de Urbino… que presenterà su libro: “Las chicas se han ido”… Anzi per non far torto ai catalani, che di questi tempi sono davvero parecchio suscettibili, meglio declinare il titolo del libro anche con la loro lingua: “Les noies s’han marxat”. Leggendolo per primo si gusterà meglio il secondo, le ragazze che partono nel primo libro sono le sarde che, nei primi anni ’50, vanno in continente a fare le serve, le figlie che arrivano nel secondo sono le badanti di oggi, soprattutto dai paesi dell’est, ma non solo. Il libro che parla delle ragazzine sarde è un capolavoro che, spero, andrà letto per tutte le scuole di Sardegna, se non altro tenere bene a mente quale livello di povertà era allora nella nostra isola, quando Pietrina parte da Perdasdefogu per andare a Roma a fare la serva: “…valigia in casa non ce n’era… Tutto il corredo possibile dentro la federa bianca di un cuscino. Una gonna, due bluse, calze niente perché non ne aveva, una mutanda perché ne aveva solo una… reggiseno non ne aveva (pag.21). Fortuna vuole che sul treno per Olbia incontri Erminia, di Mogoro, che è un’esperta di Roma, ci lavora da tre anni, che le svela le meraviglie di un gabinetto al chiuso: “…perché le sue cose, come mamma Lulla e le sorelle Amabile e Amelia, come tutte le donne e gli uomini di Foghesu parroco escluso, le loro cose le facevano nell’orto, o al buio sotto la luna. Gabinetto non ce n’era neanche a scuola, “Devo uscire signor mae’ “ e tutti andavano alla legnaia di Picossàriu. E il letame cresceva…(pag.29). Erminia è una tosta, sentite come avrebbe sbrogliato una di quelle situazioni di cui sono pieni i giornali di tutto il mondo grazie a quel magnate di Hollywood che amava alternare i numerosi premi Oscar con gli assalti alle attrici dei suoi film: “…Uno dei figli di signora Franca (dove lei è al servizio, n.d.r.), Giorgio, una volta ci aveva provato in ascensore, gli avevo dato una gomitata sul petto, ma non gli era bastato. E così quando ci ha riprovato in casa si era preso una ginocchiata nel sottopancia ed è rimasto svenuto per un paio di minuti. Al portinaio avevo spaccato il labbro con una testata: dopo avermi preso due pacchi da mettere in ascensore, era entrato anche lui ed era andato dritto al seno. Io avevo in mano la borsa della spesa, con l’altra l’ho colpito forte in faccia, “brutto stronzo gli dico”, era carico di rabbia, sanguinava molto, vaffanculo, in malora, toccale a tua moglie le tette, se ne ha (pag.30/31). Stesso trattamento, una ginocchiata in quel posto, al Commendator ingegnere Gioacchino Galimberti che, in cucina, all’improvviso le aveva messo le mani in mezzo alle gambe. (pag.36). Nell’introduzione di “Come figlie, anzi” Giacomo Mameli scrive che “…Emergono storie di vita veramente drammatiche con una costanza: la violenza domestica, coniugale sulla maggior parte delle donne, in particolare nei Paesi dell’Est europeo. Violenze anche in Italia” (pag.8).

Lo ribadisce anche alla Feltrinelli di via Manzoni, era il 27 giugno scorso, quando è venuto a Milano a presentare il suo libro, insieme a lui c’era Cinzia Sasso, già brillante giornalista di “Repubblica” che, a proposito di femminismo alla rovescia, aveva scelto di calarsi nel ruolo di “moglie”, sposando l’amore della sua vita, l’allora avvocato Giuliano Pisapia, candidato a Palazzo Marino, poi trionfalmente eletto a sindaco della città meneghina. E qui non possiamo non fare gli auguri al buon Pisapia, visto che si è messo in testa di poter riunire le innumerevoli sinistre nostrane in un progetto che le veda competere col cosiddetto centro-destra a targa Berlusconi, assieme al PD di stampo renziano. Vasto programma, avrebbe detto il generale De Gaulle. Cinzia Sasso ci ha scritto un libro di questa sua esperienza: “Moglie” (Utet, edit.) con l’imprescindibile prefazione di Natalia Aspesi, uno sguardo curioso di chi ha scritto per anni di donne che ce l’avevano fatta in un mondo di uomini. Quando Cinzia telefona a Giacomo a Foghesu (Perdasdefogu) per accordarsi sui tempi della presentazione, lui sta raccogliendo fave, carote selvatiche e timo. Lei è incantata dalla grazia con cui lui scrive, dalle storie che racconta, del resto anche la sua non è niente male in quanto a drammaticità: la madre veniva da una famiglia di 10/11 figli, e quando il maestro che insegna nel paese del veneto da dove proviene la famiglia ritorna a Sassari e propone di portare con sé anche la piccola dodicenne che sarebbe diventata la mamma di Cinzia, è uno di quegli inviti che non si possono rifiutare. La fanno dormire per terra in cucina e le danno poco da mangiare, piange anche adesso che lo racconta Cinzia, il calvario dura tre anni e finisce grazie ad una lettera disperata. Sono cose che non si possono scordare. Come non si possono scordare le 12 storie delle badanti di questo libro, nome terribile dice Giacomo: «perché “badare” è un termine che si usa per gli animali: si bada a un cane, si bada alle bestie. Se le migranti sarde erano quasi tutte analfabete, queste sono quasi tutte laureate, sanno le lingue, aggiustano tapparelle e lavandini che perdono, si adeguano a qualsivoglia lavoro. Partendo da un livello di povertà di cui noi stentiamo a renderci conto. Le loro storie sono devastanti e illuminanti allo stesso tempo». Tutte queste donne sentono moltissimo la mancanza dei figli, di notte non fanno che sognarli anche ad occhi aperti. Scrivono poesie. Comunicano con loro usando le videochiamate di Skype. Sono, dice Giacomo, alla 16° presentazione di questo libro (a proposito Cinzia Sasso sarà al festival letterario di Perdasdefogu di luglio con il suo “Moglie”), e più ne parlo più mi rendo conto che le disuguaglianze nel mondo stanno aumentando in maniera spaventosa. Pensate che in un paese non certo di prima fascia come il Brasile, dove la povertà delle favelas convive con le ville dei ricchi, ci sono 600 eliporti privati! «Ero di sinistra, adesso non so che cosa sono».

Occorre prendere atto di queste divisioni di mondi che si fanno sempre più nette. Del resto se in Sardegna non ci fossero i pakistani e i rumeni a fare i servo-pastori, non ci sarebbe più pastorizia. “Ho scelto di raccontare queste donne perché in questo periodo sono terribilmente pessimista, perciò racconto storie che hanno un lieto fine per cercare di esorcizzare il pessimismo che mi pervade”. E per farlo ho, come sempre , agito da cronista, raccontando il chi e indagando sul chi, raccontando il dove e indagando sul dove, la vecchia regola anglosassone delle cinque “W”: “who?” (chi?), “what?” (che cosa?), “when?” (quando?), “Where?” (dove?), “why?” (perché?). Andando in giro per la Sardegna, il mio merito, se ne ho uno, è di scavare l’intervista. Le storie vere bisogna zapparle. Una per tutte: quella di Efisio Melis che conosce, via internet, quella che diventerà sua moglie Fatma, senegalese. E per lei si farà mussulmano, col nome di Ismail, era il 2007. “Il 21 novembre del 2007 ci siamo sposati nella moschea di Yeumbeul, matrimonio religioso… «Sono arrivata in Sardegna il 25 maggio del 2014… avevo fatto un grande salto, da un Continente ad un altro, ma mi sono trovata subito bene… Ho cominciato a lavorare a Serramanna facendo le pulizie in diverse case, non conoscevo una parola di italiano, mi davano sette euro all’ora… Poi divento badante, assisto una signora anziana di Monserrato, signora Assuntina, aveva 92 anni, vendeva miele… Mi pagava bene, ero contenta di avere un mio reddito, mi raccontava la sua vita da contadina, la vita di suo padre che aveva una grande vigna e della vite viveva… faceva anche vino per conto suo e lo vendeva di casa in casa. Vino bianco, Nuragus lo chiamano… A me stare in Sardegna piace. È come vivere in Senegal (pag.37). Se vi capiterà di andare in Senegal, una volta atterrati all’aeroporto di Dakar, fate caso alla poesia che è lì in bella mostra, è di Léopold Senghor, vero padre della patria, presidente del Senegal dal 1960 al 1980, uno dei più importanti intellettuali africani del XX secolo. Si intitola: “Chèr frere blanc”, caro fratello bianco, che lì parlano francese: “Caro fratello bianco/ quando sono nato, ero nero/ quando sono cresciuto, ero nero,/ quando sono al sole, sono nero,/ quando sono malato, sono nero,/ quando morirò, sarò nero./ Mentre tu, uomo bianco,/ quando sei nato, eri rosa,/ quando sei cresciuto, eri bianco,/ quando vai al sole, sei rosso,/ quando hai freddo, sei blu,/ quando hai paura, sei verde,/ quando sei malato, sei giallo,/ quando morrai, sarai grigio.// Allora, di noi due,/ chi è l’uomo di colore?».

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2 commenti

  1. Letto in due sere, grazie al ritmo dei primi racconti… gli ultimi mi sembravano scritti da un’altra penna, purtroppo

  2. Nicola Laterza

    Ho letto il libro “le ragazze sono partite” e sento di dover fare i più sinceri complimenti all’autore. Bravo ad esporre simpatie e tristezze di chi per forze maggiori è destinato a lavorare lontano dalla propria gente. Argomento che mai prima d’ora avevo visto o sentito raccontare così per come merita.

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