VENTI DI INDIPENDENTISMO E LIBERTA’ NEL RICORDO DI EMILIO LUSSU: IL GRUPPO “BARACCA EPOS” A MILANO RACCONTANO “QUELL’UNIVERSITA’ DI TRINCEA”

ph: Baracca Epos

di Sergio Portas

Fa un certo effetto veder sventolare, a Barcellona, tra milioni di “Esteladas” catalane (a strisce rosse e gialle orizzontali con la stella bianca in triangolo blu) anche le “nostre” bandiere coi quattro mori inquartati e bendati. Le prime a chiedere un’indipendenza che i duri fatti (politici) vanno relegando nei meandri delle utopie, dei sogni impossibili, le seconde a porgere solidarietà, a segnale che anche altra gente ha l’ardire di medesimi aneliti. Non tacendo dai distingui che tocca sottolineare per evitare confusioni e velleitarismi “referendari” che oramai ogni forza politica organizzata “sarda” si affretterà a richiedere  a “Roma ladrona”, ognuna il proprio. (Mario Pili pare sia arrivato per primo, del resto ha dimostrato e abbondantemente il suo fiuto politico nel ravvisare  in toto, e sposare, le pseudo politiche liberiste di quel paladino  di libertà che si è dimostrato in vent’anni tale Berlusconi Silvio, già italico cavaliere). E mi fermo qui, che sparare ( e sparlare) sulla cosiddetta classe dirigente politica sarda, d’ogni razza e bandiera, è davvero esercizio velleitario e unanimemente perseguito, la rendita in voti e preferenze, per ora, visto la classe dirigente sin qui cliccata (leggi Raggi e C.), va tutta ai pentastellati e alle schede bianche, queste ultime date dai sondaggisti più in voga in vertiginosa ascesa. Per non sembravi troppo schizzinoso, dirò che andrò a votare per il referendum per l’indipendenza della Sardegna quando, come in Catalogna, la lingua parlata dalla gente ( il popolo) da Cagliari a Sassari sarà il sardo, speriamo non quello “comune”, e l’italiano sarà solo la seconda lingua che i ragazzi sardi impareranno a scuola, insieme a inglese e, giocoforza, anche un po’ di cinese mandarino. L’”Unione” e “La Nuova” anche se scritte in sardo avranno un’edizione italiana più limitata, giusto per i continentali frequentatori degli hotel a dieci stelle, anche questi dati in ascesa irrefrenabile e fin da ora (vedi le scelte urbanistiche della giunta Pigliaru). Eppure ci fu un tempo in cui la gente sarda, davvero il popolo tutto, questo referendum lo fece e lo vinse anche, senza neppure doverlo chiedere formalmente allo Stato centrale. Tacquero finalmente i cannoni e le mitraglie che avevano falcidiato la bella gioventù obbligata alle trincee della prima guerra mondiale, la “grande” per antonomasia. Anche i reduci della “Sassari”, la bandiera dei quattro mori listata a lutto pei tanti morti, pesante dalle medaglie d’oro, tornarono a casa e, quelli che non erano mutilati di gambe e braccia, quelli che non erano impazziti nel fango del Carso, ripresero la vita dei campi e delle greggi, delle miniere. Tutti avevano conquistato, inconsapevolmente, una dura laurea in scienze politiche, avevano misurato quale grado di civiltà abitasse nei cervelli dei loro “superiori”, gli ufficiali, i laureati, i signori di sempre. Avevano introiettato che solo uniti si può uscire dalle situazioni più disperate, che solo così si può sperare di vincere. Si erano, per la prima volta, scoperti sardi al di là dei campanilismi di sempre: “Forza paris”. L’orrore, la follia della guerra di trincea, si incaricò di ribaltare le fumisticherie romantiche degli “interventisti” (per lo più gente che si poteva permettere, all’ora in un deserto di analfabetismo, di frequentare l’università) e anche loro si misero alla testa di  un progetto politico che parlasse di autonomia, autodeterminazione, cambiamento di classe dirigente: e fu il “Partito sardo d’azione di Lussu e Bellieni. Che stravinse elezioni amministrative e politiche in nome di questa ritrovata “sardità”. A spegnere aspirazioni e speranze autonomiste il fascismo accentratore e omologatore di tutto, imposto con le armi, l’incendio delle redazioni dei giornali, delle camere del lavoro, l’assassinio dei deputati “nemici” (Matteotti) e la loro incarcerazione (Gramsci). A raccontare, in musica, quell’ ”università di trincea” che vi dicevo ci hanno pensato i “Baracca Epos”, il gruppo nasce da una suggestione di Pino Martini Obinu e Umberto Fiori (basso e voce degli storici “Stormy Six”) che hanno coinvolto nel loro sogno: Maurizio Dehò, violinista ( per anni compagno di strada di Moni Ovadia), Nado Marenco, fisarmonicista ( già del Trio Rapsòdija) e Francesco Zago, chitarra ( vedi alla voce Yugen). Da i due libri di Emilio Lussu: “Un anno sull’altipiano” e “Marcia su Roma e dintorni” hanno tirato fuori una decina di canzoni a formare uno spettacolo che portano in giro per l’Italia e hanno titolato: “ A Rapporto”, Emilio Lussu cantato e suonato, un concerto-racconto per voci, violino, fisarmonica, basso e chitarre.

Bisognerebbe andare ad Armungia a visitare casa Lussu (tra l’altro rinverdita dal progetto di Tommaso Lussu e Barbara Cardia che fanno rivivere l’antico modo di fare tappeti, partendo da un telaio in legno di leccio, a licci , il bisticcio è troppo bello), non ci sono cinquecento abitanti, il doppio ai tempi di Emilio, l’antico nuraghe (1400 a. C. Lilliu dixit) nel centro della piazza del paese. E’ il Gerrei del sud Sardegna, collina più che montagna, il Flumendosa che separa i boschi dei sugheri , dei lecci e degli olivi, tutti ricchi di selvaggina. I “Baracca” avevano esordito a Seneghe, l’anno scorso, per l’annuale “Cabudanne de sos Poetas”, un venerdì 2 settembre sera che tirava un vento del diavolo, alla piazza dei Balli, nel pomeriggio Luciano Marroccu, Mario e Salvatore Cubeddu avevano fatto un processo alla “grade guerra”. Tutto di grande suggestione. Ma anche qui a Milano lo scorso 30 settembre, al teatro Blu di via Cagliero, sponsor il centro culturale sardo di Milano, la Fasi e la regione Sardegna, c’era il tutto esaurito. I “Baracca” tutti vestiti di nero esordiscono con un duetto recitato da Pino Martini Obinu, che fa Lussu, tenete della “Sassari”, e Umberto Fiori, generale Leone, comandante la divisione. Un botta e risposta dell’assurdo, Lussu è “a rapporto”, gli chiede il generale: “ E’ mai stato ferito?” “No, signor generale” “Come, lei ha fatto tutta la guerra e non è stato mai ferito? Mai?” …”Molto strano per caso sarebbe lei un timido?” “Credo di no” “ Lo crede o ne è sicuro?” “In guerra non si è sicuri di niente. Neppure di essere sicuri.” “Ama lei la guerra?” “Mi pare di poter dire… ritengo che…” “Ah, lei è per la pace?” “E quale pace desidera lei?”… “Una pace vittoriosa”. Il generale Leone è un “ideal-tipo” di Weberiana memoria, quello che fa precedere l’attacco notturno “di sorpresa” alla trincea nemica da una serie di squilli di tromba, “perché si è sempre fatto così”. “Per l’assalto di stanotte/ ha deciso il generale//di creare nel nemico/la sorpresa e lo sgomento// Con le trombe/contro le bombe//con gli ottoni/contro i cannoni.//Forza, fanti!/Sempre avanti,/fino alle nostre tombe”…Trombe, che altro si poteva intitolare la canzone? Seguirà “Cognac”, l’indispensabile contributo a che, da una parte e dall’altra, gli attaccanti le trincee, potessero buttarsi a cercare di non impattare le mitraglie nemiche. Coi tragici esiti che sapete. Poi sono “Le corazze Farina”, sorta di “innovativi scafandri” che avrebbero dovuto proteggere i nostri fanti durante l’assalto, ahimè non proteggono le gambe, è lì che tireranno i cecchini nemici. L’”Assalto” canta e dice di quella volta che persino i soldati austriaci gridano dall’alto delle trincee, in italiano: “Basta bravi soldati! Non fatevi massacrare così”. Ne “Il caffè” Lussu e un suo caporale non se la sentono di sparare, dall’alto di una postazione, sui soldati nemici che stanno bevendo il caffellatte, al mattino. Seguono poi “La marcia su Roma”, “Giù il cappello”, i fascisti di Cagliari accoltellano a morte Efisio Melis, siamo nel ’22, l’uomo, operaio, ex combattente decorato, aveva in braccio il figlioletto e non si levò il cappello davanti ai gagliardetti degli avanguardisti. ( Il cappello, nessuno se lo toglie/la gente sta impassibile a guardare//partono gli squadristi a bastonare/chi non applaude ai lati della via//brandiscono i coltelli e le pistole/sotto lo sguardo della polizia).

E poi “Il paese dei voltagabbana”, tema importante nella memoria di Lussu, che vide molti dei suoi compagni azionisti, tutti accesi antifascisti, passare armi e bagagli agli accoliti di Mussolini. Chiude “1926”: è l’anno dell’assassinio di Giacomo Matteotti, sembra che il fascismo non possa sopravvivere a tale scempio, ci sarà l’”Avventino”, Mussolini avocherà a sé l’accaduto, il re Savoia non si mosse, lo farà a guerra perduta, la seconda mondiale. A Cagliari i fascisti vorrebbero fare la stessa fine a Lussu, ma lui era capace di spezzare al volo una moneta con un colpo di rivoltella. “La casa è al primo piano/la marmaglia l’ha circondata.//Dentro, solo il capitano/è calmissimo, a mano armata./Un disgraziato/ si arrampica dal terrazzo//suona uno sparo/ si svuota tutta la piazza./… Lussu è arrestato e processato, incredibilmente assolto per legittima difesa. Ma gli tocca il confino, da cui poi fuggirà. Cantano a finire i “BaraccaEpos”: “A novembre la nave sta salpando per il confino./La incrocia un pescatore, riconosce il concittadino//grida: “Viva chi lotta e chi non si rassegna. Evviva Lussu! Evviva la Sardegna!”. Evviva quella Sardegna!

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Un commento

  1. articolo puntuale e come sempre fonte di informazioni preziose.
    grazie Sergio

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