IL MAESTRO SCOPERTO DALLA TELEVISIONE: A SINISCOLA UN CONVEGNO PER RICORDARE ALBINO BERNARDINI NEL CENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA.

Nella foto, i relatori al convegno organizzato dalla Fondazione Le Scuole promossa da Giorgio Macciotta e presieduta da Bachisio Porru. Da sin. Pino Boero, Walter Foghesato, Filippo Sani, Bachisio Porru, Susanna Barsotti, Carlo Felice Casula.

di Tonino Oppes

Agli inizi degli anni Settanta, Albino Bernardini è già un personaggio noto nel mondo della scuola italiana per le sue battaglie in difesa degli ultimi. Il grande pubblico ne saprà di più grazie allo sceneggiato “Diario di un maestro” tratto dal suo libro “Un anno a Pietralata”.

Erano ancora gli anni della televisione in bianco e nero, quella che aveva un solo canale e che ancora non conosceva il telecomando.

Nelle immagini della Tv di allora, il maestro sembrava un vecchio narratore, proprio come quelli che animavano le sere d’estate nei piccoli paesi, sicuro e coinvolgente, sempre desideroso di dialogare con tutti i bambini della classe, nessuno escluso.

Gli avevo raccontato queste mie impressioni la prima volta che ci siamo visti a Olzai, in occasione del premio nazionale di Letteratura per l’infanzia voluto da un sindaco illuminato quale è stato Bachisio Porru.

Lui mi aveva risposto dandomi una notizia:” Ma, sai – mi aveva detto – che quello sceneggiato stava per andare in onda con il mio nome nei titoli di coda? Per fortuna lo avevo visto prima. Ho protestato con forza e la Rai ha rimediato ”.

Sarà anche per la forza della prima immagine che ti cattura, come fosse la copertina di un libro, ma per me e, credo, per molti della mia generazione, Albino Bernardini è stato a lungo un personaggio proprio grazie alla Televisione che lo

fatto entrare nelle case di milioni di italiani.

La Televisione si identificava con la Rai che soprattutto nei suoi primi anni di vita aveva assunto una marcata funzione pedagogica. Solo ad ascoltare, e a guardare con attenzione, alcune trasmissioni si imparavano tante cose, anche a leggere e a scrivere perché allora, come adesso, “Non è mai troppo tardi”.  Questo era anche il titolo di una trasmissione che resta una pietra miliare nella storia della televisione che conta. Indimenticabile l’opera del maestro Alberto Manzi, il maestro dell’etere che, dal 1959 al 1968,  ha insegnato a leggere e a scrivere  almeno a un milione di italiani. Gente che non sapeva mettere la propria firma in un documento o nel libretto della pensione, ma aveva voglia di imparare e di migliorare. Anche per questo molti anziani guardavano la televisione.

Pure allora c’erano i quiz. Si vincevano somme importanti,  però vinceva chi era preparato: chi sapeva rispondere a domande su storia, musica, teatro. Ma erano anche gli anni degli sceneggiati prodotti sull’onda del grande successo ottenuto nel 1966 con la Cittadella tratto dal libro di Cronin e interpretato da Alberto Lupo. Ed ecco che il pubblico televisivo italiano cominciò a conoscere scrittori come Victor Hugo, Stevenson, Silone o Bacchelli e lo stesso Bernardini proprio grazie al suo libro “Un anno a Pietralata” che racconta le disavventure di un insegnante in una scuola di borgata romana, una scuola “dove nessuno vuole andare.”

Albino Bernardini, accetta volentieri quella nuova sfida.

A Lula e a Bitti, dove ha insegnato prima di trasferirsi nel Lazio, ha conosciuto una Sardegna povera. I cambiamenti erano lenti, la scuola, quella dei bambini andava ancora più piano, con metodi educativi rigidi e programmi che spesso trascuravano i veri interessi dei piccoli. Coinvolgerli non era certo facile.

Quanti dicevano che non avrebbero studiato perché avevano la strada già tracciata?

In Sardegna si diceva: “non studio perché debbo fare il pastore con babbo e nonno o lavorare in officina con mio zio”. Allora i mestieri si ereditavano. Il lavoro era sostanza, lo studio un investimento per il futuro che, però, appariva molto lontano. Non tutti potevano aspettare. L’ istruzione era spesso vista come una perdita di tempo.

Quei bambini sapevano mungere le pecore come pastori provetti, oppure erano maghi della meccanica a furia di frequentare le officine, ma non avrebbero mai avuto un quaderno in ordine. Di solito si consideravano, irrecuperabili, non portati allo studio. Chi restava indietro, era perduto e una bocciatura era un marchio. Forse andavano solo stimolati.

Cosa che fece, o che tentò di fare sempre, il maestro di frontiera come Albino Bernardini quando, come scrisse il suo amico Gianni Rodari, “insegnò … lasciandoci una testimonianza viva di una nuova storia, quella della pedagogia vera, praticata e non solo predicata, quella della didattica viva e della cultura popolare non mitizzata.”

“La pedagogia, diceva Albino Bernardini, doveva essere popolare considerato il tessuto sociale di provenienza dei bambini ai quali, però, come nel caso della Sardegna, si impediva subito di esprimersi in nella loro lingua, la lingua sarda, l’unica che conoscevano, e gli inciampi con l’Italiano suscitavano non poca ilarità”.

Forte di questi esperimenti, maturati “in una terra fra le più primitive del nostro Paese”, sono ancora parole di Rodari, Bernardini arriva a Pietralata, periferia di Roma, dove la situazione, se si può dire, è ancora più complicata. Il disagio nella borgata, già raccontato da Elsa Morante, Pasolini e Moravia, non lo coglie impreparato. Sa bene cosa lo attende.

Il maestro non si spaventa quando entra in classe e la vede quasi vuota.

Chiede spiegazioni: “stanno lavorando, oppure giocano in strada” gli rispondono quei pochi scolari che frequentano e con loro va a cercare i bambini in strada, nei quartieri. Non sarà un percorso facile, ma dopo ripetuti tentativi li convince a frequentare la scuola. “In che modo?” gli chiesi.

“ Mettendo l’ascolto dei bambini e la loro crescita prima della pedagogia” mi rispose aggiungendo: ” però c’è voluto coraggio, ma in qualcosa devi credere”.

Il contatto quotidiano con “ la marmaglia “, cosi chiamavano i colleghi di Bernardini  quegli scolari rifiutati da altri, affinò l’esperienza di educatore, mettendo alla prova le sue idee in “una fucina pedagogica”, il termine è suo, quale dovrebbe essere la scuola moderna. Lui, che non aveva paura di portare la scuola nel campo aperto, ha fatto didattica provando fallimenti e cadute, ma sempre cercando soluzioni.

Anche per questo Albino Bernardini è stato un maestro controcorrente.

Ne aveva già dato prova con il suo primo libro “Le bacchette di Lula” che racconta il periodo trascorso nelle scuole elementari del paese. Ma la grande notorietà del maestro  arriva grazie alla sua esperienza nella borgata romana descritta in “Un anno a Pietralata” pubblicato nel 1968 dalla casa editrice La Nuova Italia di Firenze.

La Televisione farà il resto cinque anni dopo, quando la Rai affida a Vittorio de Seta, il regista di Banditi a Orgosolo,  padre del cinema documentario, il compito di tradurre quel libro in uno sceneggiato televisivo.

“Diario di un maestro” sarà trasmesso in quattro puntate, in prima serata, di domenica, a partire dall’11 febbraio fino al 4 marzo del 1973.

Quattro puntate della durata di poco più di 70 minuti l’una, per un totale di 290 minuti, ridotti due anni dopo, a 135, per essere proposto in tutte le sale cinematografiche.

In entrambi i casi lo sceneggiato è accolto molto bene dal pubblico, tanto da essere inserito nell’elenco, stilato dal 1942 al 1978, tra i 100 film italiani da salvare.

Accanto al maestro-attore, Bruno Cimino, una delle poche figure estranee al mondo della scuola, ci sono i bambini.

“ Non si capisce fino a che punto recitano o improvvisano” ha scritto Oreste de Fornari nel libro Teleromanza, edito da Mondadori.

Una pellicola certo datata, “Diario di un maestro”, ma che racconta storie vere , da non dimenticare. Sono storie di una scuola e di una pedagogia che vuole guardare avanti, senza trascurare nessuno, stando sempre dalla parte dei più deboli.

E questo accade grazie a maestri come Albino Bernardini che ha lasciato una traccia profonda nell’insegnamento,  guardando sempre con semplicità  ai piccoli, aprendosi a loro, offrendo il suo sapere senza condizioni. Questa è la materia prima sulla quale lavora chi si appassiona a una causa, fa bene il suo compito e pensa al futuro.

Ecco il futuro. Vi racconto un fatto che aiuta a capire bene l’uomo Bernardini.

Il suo ultimo libro è stato pubblicato nel 2013, quando aveva 96 anni. Una sera mi chiamò da Tivoli, credo fossimo in autunno, per annunciarmi l’imminente uscita del suo lavoro fortemente autobiografico. Era felice. “Ti sto avvisando, mi disse, perché me lo devi presentare a Siniscola.” “Ben volentieri”, gli dico. “Lo farai prima di Natale? “ domando. “ No, la prossima estate, quando rientro in Sardegna”.

Ecco anche questo era Albino Bernardini. Un uomo che, a 96 anni, aveva ancora progetti e voglia di guardare avanti senza paura, anche se gli piaceva molto raccontare con leggerezza il suo straordinario passato di “maestro controcorrente”, reso famoso grazie alla TV.

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