SAPORI DELEDDIANI NEL TEATRO DI VALENTINA SULAS: “LA MADRE DEL PRETE” NEI CIRCOLI SARDI DI CINISELLO BALSAMO E VIMODRONE IN LOMBARDIA

Valentina Sulas nella foto di Antonello Origa

di Massimiliano Perlato

“Il teatro ha davvero un’infinità di possibilità espressive. Si può raccontare una storia attraverso immagini, movimento, sguardo, immobilità, tensione, respiro… e qualunque storia diventa la tua storia, che passa dal tuo corpo al pubblico”.

Sento forte il dovere di principiare con la premessa oggettiva della definizione di Teatro (rigorosamente con la lettera maiuscola iniziale) per Valentina Sulas.

Per dare ad un articolo un taglio genuinamente giornalistico, occorrerebbe come minimo includere nelle proprie corde il linguaggio dell’argomento che si propone. Di fatto, per me diviene complicato esprimere giudizi “tecnici” su una raffigurazione teatrale. Da profano intendo. E per elaborare di Valentina Sulas e della sua straordinaria professionalità sul palco, ma anche dietro le quinte, diventa un percorso zigzagante a cui per porre un palliativo, cerco il classico espediente collocando nero su bianco il lato romantico della sua performance e figura composita di donna e attrice.

E’ l’anno deleddiano questo, e le associazioni degli emigrati sardi lo sanno bene avendo preposto convegni, conferenze e quant’altro. La rappresentazione teatrale di Valentina Sulas “La madre del prete” è magistralmente tratto dal romanzo del nostro Premio Nobel per la Letteratura conferitole ben novant’anni fa.

Lo spettacolo con la supervisione artistica di Marco Parodi – enuncia la cartella introduttiva – ne mantiene la qualità poetica e immaginifica, evocando una natura selvaggia, bellissima ma aspra, che accompagna e illustra le emozioni dei personaggi.

Valentina s’addentra in sintonia con i ruoli prescelti con una sontuosità e un magnetismo che rende l’ambiente carico di attesa e seduzione.

Avevo già assistito allo spettacolo lo scorso febbraio a Milano su iniziativa del Centro Sociale Culturale Sardo del capoluogo meneghino dove una platea numerosa ed attenta l’ha applaudita ad oltranza con sommità di vera commozione.

Tanto più che in questo fine settimana in cui la rappresentazione è stata nuovamente proposta in Lombardia, prima dall’Associazione A.M.I.S. (Alleanza Milanese Immigrati Sardi) di Cinisello e poi dal mio circolo “La Quercia” di Vimodrone guidato dall’amico Carlo Casula, mi sono collocato in una ubicazione della sala meno incline nel focalizzarmi e concentrarmi solo sulla figura di Valentina, ma anche sulle reazioni del pubblico che hanno elargito forti emozioni. Come fra due fuochi: tra la trasposizione artistica sul palco dell’Agnese deleddiana e la meraviglia di occhi e di bocche spalancate degli intervenuti, è stato avvincente avventurarsi.

Valentina Sulas ha il teatro nel proprio DNA, questo è indiscusso. E per percepirlo è bastato mezz’ora di tempo impiegato in un lontano pranzo in una Milano che stentava ancora a risvegliarsi dai torpori invernali, dove come un fiume in piena aveva proferito di sé, della fusione di anima e corpo con il palco. Del suo stupefacente tragitto di crescita artistica e di come vorrebbe tinteggiare il futuro con nuovi progetti ed esperienze.

“La passione per il teatro l’ho sempre avuta – mi aveva detto -. Ricordo che a quattordici anni lessi su un quotidiano di un laboratorio teatrale nella mia città, Cagliari. Non sapevo cosa fosse esattamente un ‘laboratorio’. Credevo fosse un corso in cui mi avrebbero insegnato a recitare pezzi drammatici. Mi ritrovai invece ad esplorare le possibilità espressive del corpo, del movimento, della voce e del suono, dell’immaginazione. Un amore assoluto, a prima vista. Il teatro divenne una passione che condivideva il mio tempo con l’università e poi con il lavoro, finché una decina di anni fa si è trasformato nella mia unica professione”.

Riflettevo sul compagno di vita Antonello menzionato da Valentina con una considerazione e un affetto  impareggiabili, presente a questa due giorni in terra padana, di come sia paziente e diligente nel respirare gli anfratti di vita quotidiana, il teatro simil cuore di Valentina.

Tornando alle origini de “La madre del prete”, è fuori dall’Italia che ha ottenuto il primo successo di critica e pubblico. “The Mother of the Priest” è il titolo dell’opera teatrale in inglese, perché proprio nel Regno Unito è stato messo in scena nell’estate lontana del 2014 al Festival Fringe di Edimburgo, ovvero la kermesse delle arti più grande al mondo. Una scommessa vincente per Valentina dove tutto è magia ed arte.

Scrivevano i tabloid (fa più figo definirli così) inglesi dell’epoca: “Nella sua interpretazione della Madre, Sulas è l’incarnazione della grazia e della potenza. Sulas ha l’abilità di dire molto con pochissime parole. Siamo affascinati da lei anche nei momenti di silenzio; in questi momenti ci viene offerta una tale emozione che possiamo ben comprendere le profondità del suo personaggio. L’intensità della sua presenza scenica è tale da lasciarci stupiti dai suoi movimenti spesso quieti e introversi. Parole squisite, offerte da un’attrice brillante. Il testo è inondato di immagini poetiche, che evocano il paesaggio idilliaco della Sardegna con generosa eloquenza”.

Vamos (il termine iberico calza a pennello) Valentina! La prossima espressione di ammirazione la lasciamo agli amici spagnoli, visto che “La Madre del Prete” ora si appresta a volare oltre i confini nazionali per sbarcare a Madrid dove ospite del circolo “Ichnusa”, Valentina racconterà con le sue dinamiche interpretative, tratti di una Deledda per i più ancora sconosciuta. 

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Un commento

  1. “La madre del prete” in Lombardia la squisita ospitalità di Cinisello Balsamo Circolo Amis e di Carlo Casula Circolo La Quercia. Due giornate splendide, grazie!

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