L’ATTRICE ANTONELLA BLANCHE URAS, DA TORRALBA A ROMA INSEGUENDO IL SUO SOGNO

 

Antonella Blanche Uras nella foto di Andrea Gandini


di Maria Milvia Morciano

Antonella recita lentamente le parole, allungando lo spazio vuoto per contare il tempo. Ha occhi grandi e dolenti come se più forte della passione e del furore artistico ci fosse la rassegnazione di non sapere come fare, come vivere, come volere, come riuscire ad affermare se stessa e il suo talento. 

Come se provenire da un luogo periferico equivalesse a una condanna.  Una condanna provenire da un’isola che già nel nome dice di essere isolata. La Sardegna è il luogo più lontano dell’Italia e del Mediterraneo. È un luogo di tesori e di bellezza che raggiungere è difficile ma  ancor di più è difficile lasciare.

È un luogo abituato a mettere le catene a causa di un retaggio che opprime e fa sentire  oppressi.  Così per un giovane sardo – e certo a maggior ragione per una donna e di non grandi possibilità economiche – nutrire delle aspirazioni comporta dover avere più energia, più determinazione.

Ci vuole una grande forza per dirlo alla famiglia, fare accettare che si vuole scegliere “quella strada”. Una strada artistica che non è per tutti e non lo è per la figlia di una famiglia semplice che ha sempre vissuto di poco; una strada troppo lunga e impossibile ma che Antonella ha voglia di percorrere a ogni costo.

Diventare attrice, interpretare ruoli, distaccarsi dal proprio corpo per rivestirsi di altre identità e di altre anime. Questo è il desiderio di Antonella, cominciato quel giorno alle scuole medie, quando aveva assistito a una rappresentazione teatrale. Niente di che, eppure si era svegliata in lei una passione così dirompente, così profonda da obbligarla a scegliere “quella vita” in modo irrevocabile.

Dopo gli studi universitari in antropologia culturale, si iscrive alla “Scuola per l’arte dell’attore” diretta da Marco Parodi a Cagliari, un luogo dove conosce bravi maestri e riconosce persone simili a lei, con la stessa passione.

Seguono altri insegnanti, Micheal Margotta, Roberto e Franco Graziosi, Juan Diego Puerta Lopez, Gabriella Rusticali, Giusy Devinu, Nicolaj Karpov, Francesco Manetti, Marcello Bartoli, Rossella Faa, Kevin Crawford, Guido de Monticelli e Coco Leonardi, e altre scuole come l’“Accademia dell’arte di Arezzo”.

Dalla Sardegna si ritrova a Roma, dove Antonella studia e nel frattempo svolge mille lavori per mantenersi: commessa, telefonista in un call center, cameriera, assistente alla poltrona in uno studio dentistico…

Le giornate non sono mai abbastanza lunghe e passano tra il lavoro e la ricerca estenuante di una scrittura. Lavora come figurante, pubblico nelle trasmissioni televisive, comparsa in qualche film, ma ottiene anche ruoli teatrali (a regia di Pierpaolo Conconi, Marco Parodi, Antonella Uras e Filippo Salaris, Ivano Cugia), cinematografici (a regia dell’austriaco Xaver Schwarzenberger) e in cortometraggi prodotti dalla New York Film Academy e dalla  Sardinia Media Factory.

Soprattutto nel 2011 viene scelta in una piccola parte di un film di Leonardo Pieraccioni, “Finalmente la felicità”, dove interpreta un’infermiera sarda. Nel suo paese diventa una vera star ma lei si sente lacerata dentro perché sa che non è così semplice, non è detto che tutto questo le apra  automaticamente le porte dorate del cinema.

La vita è molto difficile, specie per l’artista che più spesso vive tra un’apparenza piena di stelle e una sostanza dura, grigia, esacerbata.

Antonella ha pensato anche di abbandonare tutto, così per un periodo è tornata in Sardegna, ma come lei dice: “Se non lo faccio sto male” e torna a Roma, riprende a studiare con Luciano Curreli, partecipa ai casting.  

La vedremo presto nel film “Nico 1980” sulla storia della cantante dei Velvet Underground, una produzione italo-francese. Lei è una donna sarda resistente, fiera, che non demorde. Basta vederla recitare per entrare nel suo mondo antico e immenso: le terre della Sardegna e il mare che la circonda, i canti antichi e l’esperienza delle madri.

La sua voce è capace di dipingere i sentimenti, di dare corpo alle suggestioni dei colori e dei profumi della sua isola. Chi l’ascolta, chi la vede recitare sulla scena non la dimentica.

foto di Pierpaolo Dore

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3 commenti

  1. la storia di Antonella mi ha ricordato la mia, anche se ho fatto tutt’altro genere di studi. Mi ha commosso per la tenacia, la testardaggine e la forte volontà di seguire la strada che ama. Complimenti Antonella. Milvia, il tuo articolo mi ha commosso. Brava!

  2. Tutto condivisibile aggiungo solo quanto sia forte questa intesa tra donne, donne che la Sardegna e’ capace di forgiare

  3. maria milvia Morciano

    Grazie per i commenti che mi fanno molto piacere. E’ vero, credo che dall’articolo e dalla vicinanza di Gemma si senta molto questa solidarietà femminile che in Sardegna è forte e vera. Qui le donne sono sempre state abituate a restare sole, perché avevano i mariti o i figli maschi lontani, al lavoro sui monti, per mare, o in guerra. Così si univano si aiutavano fra loro. Io stessa vivo questa esperienza di unione fortissima con mia nonna, mia madre e mia zia ed è viva nei loro racconti più remoti.
    Nel caso di Antonella vorrei aggiungere che ancor prima che lei mi raccontasse la sua storia, mentre la vedevo recitare, ho sentito qualcosa di affine. Ho provato un senso di protezione, perché io sono più grande di lei e ho desiderato che non subisse le stesse frutrazioni, delusioni. La stessa stanchezza e la voglia di arrendersi. Cara Gemma, hai ragione. Quando si hanno sogni e le montagne da scalare sono più alte occorre molta più tenacia e testardaggine. Ma possiamo farcela!

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