UNIVERSALITA’ E ATTUALITA’ DEL PENSIERO GRAMSCIANO: IL “GREMIO DEI SARDI” DI ROMA HA DEDICATO SA DIE DE SA SARDIGNA 2017 AD ANTONIO GRAMSCI NELL’80° DELLA SUA MORTE

nella foto da sinistra: Daniele Monachella, Antonio Maria Masia, Alessandro Pala Griesche, Ilaria Onorato, Vanni Fois, Angelo Guido Sabatini


di Francesco Canepa

Prima di introdurci nel ricordo di Antonio Gramsci il presidente Masia ha voluto sottolineare alcuni aspetti storici, politici e sociali della Giornata della Sardegna.  Sa die de Sa Sardigna, istituita nel 1993 dalla Regione Sarda su iniziativa di un gruppo di artisti ed intellettuali, intesa a ricordare la rivolta a Cagliari del 28-4-1794 contro il feudalesimo,  contro il governo dei Piemontesi che furono allontanati  per qualche tempo dalla Sardegna, vicerè Balbiano compreso e sua corte.  Il Re a Torino s’era rifiutato di accogliere alcune richieste (5 petizioni)  tendenti a inserire percentuali di sardità nella gestione civile e militare della pubblica amministrazione e ad ottenere  una maggiore autonomia rispetto alle decisioni della classe dirigente locale: ciò aveva provocato nella borghesia cittadina con l’aiuto del resto della popolazione il moto insurrezionale.
Rappresenta il ricordo significativo  di un momento di ribellione e di desiderio di autonomia dal potere costituito e l’inizio ideale di quel movimento autonomista sardo, rivelatosi dopo la 1° guerra mondiale sulle idee e le azioni di Emilio Lussu e Camillo Bellieni, e  che ancora permane.

Premetto subito che l’evento del Gremio, la storica e prestigiosa Associazione dei Sardi di Roma, che da oltre 100 anni rappresenta la vetrina culturale dell’Isola nella Capitale è fra quelli (e non sono pochi), ai quali ho avuto l’occasione di assistere, meglio riusciti per la numerosità di partecipazione, la qualità degli interventi e il clima di emozioni e di condivisioni che ha saputo suscitare, dedicandola quest’anno al ricordo di Antonio Gramsci  in occasione dell’’80° della sua scomparsa, avvenuta a Roma il 27-4-1937, a soli 46 anni, dopo oltre 11 anni di confino, carcere e clinica.

  Ottanta anni da quando Antonio Gramsci se n’è andato lasciandoci un inesauribile patrimonio di beni materiali e di beni immateriali.

I beni materiali li conosciamo bene tutti quanti: sono i suoi scritti, sotto qualsiasi forma letteraria. Non dimentichiamo che Gramsci fu un apprezzato “giovane” giornalista, anche sub specie di critico teatrale.

Qualcuno si è dimenticato che “l’Unità” fu fondata proprio da lui nel ventuno.

I beni “immateriali” sono invece le sue idee, il suo credo, la sua stessa vita.

Non subì anche l’onta di morire in una cella, ma certamente i quasi undici anni  che vi trascorse non giovarono alla sua salute.

Come potevamo noi Sardi sottrarci al ricordo di questo gigante della storia politica del nostro Paese?

Un programma molto ben articolato fra letture teatrali e riflessioni in diretta.

E “lettura teatrale” non vuole alludere solamente alla modalità scenica dell’evento, ma anche al fatto che tante furono le recensioni di spettacoli teatrali che pubblicò in quei primi anni torinesi.

Recensioni che grazie alla sua già compiuta maturità politica finivano per essere anche dei saggi di chiara visione critica della società dell’epoca.

Fra gli articoli abbiamo infatti ascoltato quello scritto all’indomani del debutto dell’ibseniana “Casa di bambola” a Torino ( 1917 ) : un trampolino per lanciarsi nella spietata analisi della società borghese di allora e per suffragare le nascenti consapevolezze delle donne che volevano assumere nuovi ruoli nella vita sociale.

Altro esempio : l’approccio assolutamente critico alla poetica pirandelliana, in occasione del debutto del “Così è se vi pare” ( 1917 ), intriso, secondo il Gramsci critico teatrale, di funambolismi perbenistici di gente borghese, seppure sfollata, all’indomani del terremoto della Marsica.

Il gruppo teatrale composto da bravissimi attori quali  Ilaria Onorato, Vanni Fois, Daniele Monachella ed Alessandro Pala ha dato luogo ad una performance veramente intensa e coinvolgente. 

 Felice è stata la scelta delle lettere (suggerita da Ilaria Onorato)  che ci hanno fatto conoscere l’uomo che  –  anche a causa dell’inerzia di un suo vecchio compagno di partito  –  ha dovuto combattere la sua guerra di libertà e la ha vinta da solo grazie alla sua fede incrollabile, ma  –  forse,  anche  –  grazie alla carica che gli proveniva da quelle lettere nelle quali chiedeva perdono alla madre per il dolore che le aveva dato, pur fieramente ( da autentico sardo lasciatemelo dire)  sottolineando: Vorrei, per essere proprio tranquillo, che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque condanna siano per darmi. Che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione. Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione.

Lettere nelle quali si beava leggendo dei progressi che compivano i figli; nelle quali ricordava tutti i suoi familiari e si ricordava a loro; nelle quali esortava a lasciar parlare in sardo i bambini della famiglia, affinché potessero crescere nel confronto delle diverse culture portate dai differenti linguaggi. Così scriveva sul tema alla cara sorella Teresina: “Ti raccomando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro”.

 E potremmo continuare, insieme ai nostri attori “gramscisti” partecipi ed entusiasti, ma non possiamo rischiare di violare la privacy di Antonio Gramsci (che in queste lettere si firmava “Nino”), continuando a sbirciare nella sua corrispondenza. D’altronde, come chiede ripetutamente ai suoi familiari, vuole che gli scrivano minutamente della vita familiare ed in maniera molto chiara : non vuole che la censura gli blocchi le lettere “di colore oscuro”, perché la loro lettura è la sua linfa vitale.

D’altronde la sua concezione della famiglia  –  pur nella consapevolezza dei difetti che conosce, denuncia ed attribuisce ai limiti propri della società borghese  –  appare piuttosto chiara nelle lettere, oltre che nei suoi scritti politici, e certamente non è dato riscontrarne nessi di ascendenza con la concezione in voga nel mondo di oggi.

Con l’introduzione del presidente  Masia, che ha sottolineato l’universalità del pensiero di Gramsci da subito e tuttora fortemente presente e studiato in tutto il mondo,  il professor Angelo G. Sabatini, presidente della “fondazione Giacomo Matteotti”, ha voluto proporre una rilettura di quegli scritti non tanto come “lettere”, ma come vero e proprio “romanzo esistenziale” popolato da tutti i suoi familiari, che “il carcerato” non manca mai di richiamare e di salutare in quelle lettere che partivano da Turi, da Ustica e da Roma stessa. 

Dopo la parentesi letteraria, il professor Sabatini, ha voluto affrontare il tema che dava il titolo al suo intervento.

Fortemente attuale, anche ai giorni d’oggi, il pensiero politico del socialista Gramsci e del fondatore del partito comunista italiano, afferma il prof. Sabatini, considerata la diffusione internazionale e le analisi che ne conseguono. Si tratta di una riutilizzazione di esso – dopo decenni di “censura o finalizzazione togliattiana” – riaccendendo, se necessario, anche vecchie e recenti polemiche.  Riprendendo il filo delle riflessioni che ne sono scaturite da allora, il professor Sabatini, vuole oggi vedere nel pensiero gramsciano un percorso di democrazia progressiva da Marx alla rivoluzione, che potrebbe costituire un punto di ripartenza della riflessione comunista pur nella confusa situazione odierna. Non un Gramsci comunista utopico, ma un indagatore ed un ispiratore di concrete proposte riformatrici delle contraddizioni di una socialità a misura, nel bene e nel male, dell’ideologia borghese. Critica che svolgeva anche per reclamare una rivalutazione dell’agire delle donne che Gramsci  –  ovviamente con l’occhio dell’epoca …ma lungo  –  vedeva oramai già affiancate nell’azione di cambiamento in corso in quegli anni cruciali per la società europea ed oramai proiettate verso un affrancamento da  un ruolo meramente familiare, che quel benpensantismo  d’anteguerra tentava di non permettere.  

Proprio alla luce di tali riflessioni, il professor Sabatini,  ha chiuso  auspicando di portare Antonio Gramsci nelle scuole, magari, con l’ausilio degli attori e del Gremio, che con lungimiranza  hanno dedicato tanta passione a questo ricordo.

La complessità delle riflessioni del professor Sabatini – che spero di non aver travisato, magari obnubilato dal cannonau che ha chiuso la serata – ne richiederebbe una trascrizione, che mi auguro si possa con calma realizzare.

Il dottor Antonio Casu, direttore della Biblioteca della Camera, ha voluto informare dello svolgimento, sino al 7 giugno a Montecitorio, della mostra “Gramsci. I quaderni ed i libri del carcere” : quaderni che accompagnarono la vicenda carceraria di Gramsci vengono esposti al pubblico per la prima volta e che è possibile, con emozione,  scorrere pagina per pagina,  

L’evento è proseguito con una suggestiva e commovente lettura di Ilaria Onorato nella parte di Julia Schucht (moglie di Gramsci) e Daniele Monachella (nella parte di Antonio Gramsci) di un brano “La pazzia di Giulia” tratto dal testo teatrale di Maricla Boggio e Franco Cuomo, “Compagno Gramsci”,   portato in scena con grande successo nel 1972  con la regia di Maricla Boggio.  

Ripercorrendo le tappe di questo incontro così denso di riflessioni e di stimoli, potremmo formulare ai custodi del pensiero gramsciano un interrogativo simil-renziano : ma siamo “eredi o reduci” del pensiero gramsciano ?

Tornando all’uomo Gramsci, quasi a volerne rivivere le ingenue emozioni che descrive nelle sue lettere quando ringrazia per i pacchi contenenti “cos’e pappaj” (cose da mangiare) che la famiglia riusciva a fargli arrivare dalla Sardegna, ci siamo dedicati ad un interessante esperimento con i prodotti sardi che ci aspettavano grazie alla Signora Masia : è stato proprio come scriveva Nino ….. 

Quasi dimenticavo: A conclusione il presidente Masia ha voluto precisare che sostenere, come ha fatto alcuni anni fa il noto giornalista e scrittore anticamorra Roberto Saviano (fatto ripreso di recente dai social) che Antonio Gramsci possa essere stato un ispiratore di violenza, è veramente allucinante, ingiusto  e fuori luogo considerato che è stato lui la vittima della violenza del regime fascista. Un martire! Come Giovanni Amendola, come Giacomo Matteotti, come i fratelli Carlo e Nello Rosselli, come Piero Gobetti… 

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