LE MINIERE DEL SULCIS, TERRE AVVELENATE, LUOGHI ABBANDONATI, RUDERI MAESTOSI E SPETTRALI . LEGGENDO “ADDIO” DI ANGELO FERRACUTI …

ph: Angelo Ferracuti


di Sergio Portas

In tempi in cui le “bufale” della rete contribuiscono oramai a formare le coscienze degli individui come e meglio di quanto fossero capaci di fare i “vecchi” giornali di carta e TV, e ad influenzarne i comportamenti elettorali eleggendo poi “leader” di cui sono noti a malapena curriculum “postati” l’altroieri assieme alla fotografia della prima comunione,  leggere questo “Addio” di Angelo Ferracuti (Ed. Chiarelettere 2016) ti da la sensazione di bere un bicchiere d’acqua di pozzo in un pomeriggio agostano guspinese, di quelli che fino le cicale hanno la voce impastata da “su bent’ e sobi” che mulinella la polvere della strada. Sarà che per scriverlo ha dovuto fare come i cronisti di una volta, scarpinare per i luoghi di cui vuole dire, parlare con le persone che li abitano e farsi raccontare da loro la “loro” verità, tessere relazioni con “testimoni del tempo” che si sono conquistati autorevolezza col lavoro di una vita, con la tenacia con cui hanno saputo portare avanti le loro convinzioni. Il sottotitolo dice molto: “Il romanzo della fine del lavoro”, e dalla prima di copertina: “ …Siamo nel Sulcis-Iglesiente, terra di miniere e dell’epica operaia, ed ora provincia più povera d’Europa con i suoi 30.000 disoccupati su 130.000 abitanti e 40.000 pensionati spesso usciti dal mondo del lavoro dopo aver contratto malattie terribili come la silicosi. Ecco la crisi di un mondo in disfacimento, legata a un modello di organizzazione del lavoro novecentesco e ormai ossidato come il ferro dei castelli degli ascensori abbandonati di Carbonia. Ferracuti viaggia tra queste terre avvelenate e incontra una popolazione vinta, malata, povera ma piena di dignità, in una condizione che riassume tutte le condizioni del presente, come quelle tra salute e lavoro, mentre le multinazionali dell’alluminio delocalizzano in Islanda e in Arabia Saudita. Qui è finito il novecento ed è iniziato non si sa che cosa”. Confesso di aver ripreso in mano questo libro spinto  dal dibattito che il “blog” di Sardegnasopratutto (ebbene si, anche io rimango impigliato come una mosca sulla ragnatela galattica del world wide web) sta portando avanti in merito alla richiesta di Euroallumina dell’ampliamento del bacino dei fanghi rossi di Portovesme: Vito Biolchini mette in rete la relazione integrale del ministero dei Beni Culturali che ha detto no. Giorgio Todde scrive un pezzo titolato “Storia di fallimenti e falliti” che riassume la storia della bancarotta  industriale della Sardegna fin dai primi anni settanta. La chiusura del polo petrolchimico di Porto Torres nel ’75. la nascita e la morte nell’84 di quella che lui chiama “inverosimile cartiera di Arbatax”, La nascita nel ’73 dell’ancora più incredibile polo di Ottana che muore presto lasciando un deserto e una popolazione di spaesati sgomenti. E poi ancora la Keller di Villacidro, la Rockwoll della lana di roccia,la Vinyls dei polimeri plastici a Porto Torres, tutte chiuse. E poi la storia infinita dell’Alcoa, la bauxite che arriva dall’Australia, la “digestione” con idrossido di sodio a formare allumina, il processo ellettrolitico a depositare il metallo, la sua fusione. “…Fare alluminio in Sardegna è svantaggioso e chiudono. Oltre alla tragedia sociale la produzione di allumina ha lasciato un’immensa quantità di veleno a cielo aperto (i fanghi rossi, rossi di ossido di ferro n.d.r.) più di cento ettari, a due passi dall’abitato di Portoscuso. Una perizia del politecnico di Torino tratteggia il quadro drammatico di un disastro ambientale che durerà secoli…”. Ferracuti va a parlare con Vincenzo Migaleddu che a Sassari fa il radiologo di mestiere, ma fa parte anche dell’Associazione medici per l’ambiente, nota per battaglie come quella contro la trivellazione della Saras nella piana di Arborea e la “chimica verde” a Porto Torres: “Migaleddu è un uomo magro e calvo, una barbetta rada, non curata, dai modi cauti ma gentili, e parla lento e monotono…L’indice residuo della lavorazione della bauxite è tale che per ogni chilo di materiale che lavoro ho un chilo e duecento grammi di fango e questo porta ad avere una quantità enorme di fanghi rossi che se dovessimo valutarli rispetto alle direttive che l’Europa ci impone, dovremmo considerarli dei Tenorm ( la erre e emme finali stanno per Radioactive Materials) nei quali cioè la concentrazione di uranio 238 e 235, torio 232 e potassio 40 incrementa rispetto a quello che è il materiale originario, che dovrebbero essere sotto posti a valutazione radiometrica prima di spostarli in qualsiasi modo e qualsiasi parte, e questo non viene fatto” (pag.200/201). La famigerata “terra dei fuochi” campana misura 335.000 ettari di terreno, il Sulcis altro sito di interesse nazionale per la bonifica è più grande di 100.000 ettari. Le falde acquifere sono inquinate da metalli pesanti, piombo, zinco, cadmio, ferro e rame, tanto che il sindaco di Portoscuso, nella primavera del 2014, ha dovuto proibire di mangiare i prodotti locali, dall’insalata al latte di pecora, quest’ultimo pesantemente inquinato da piombo. Che è un potente neurotossico e che porta a effetti di ritardo mentale e deficit cognitivi specie nei bimbi. “ La crescita di tumori in questa zona è stata esponenziali, dal 2006 al 2013 sono quasi raddoppiati, salendo dai 1825 iniziali ai 3044 accertati. A Carbonia sono cresciuti da 467 a 750, a Iglesias da 418 a 644, mentre a Carloforte da 107 a 164.”(pag.197) Si imbatte in due ricercatori che usano le api come indicatore biologico, riescono a individuare le particelle di inquinanti che si attaccano alle loro ali con il microscopio elettronico a scansione che riesce a stabilire se il particolato è di origine naturale o no, il grado di tossicità, e chi è responsabile delle emissioni. Le api di Iglesias sono piene di polveri di barite, fini e ultrafini, minerale da cui si estraeva il piombo e lo zinco, ma anche molto piombo proveniente da fumi di acciaieria. “Da chi vengono utilizzati i fumi di acciaieria? :la Portovesme srl. Vuol dire che anche se queste polveri arrivano da Portovesme a Iglesias (che in linea d’aria dovrebbe essere una decina di chilometri) e da lì alle nostre api, figurati nella zona industriale. Tutte le particelle che stanno sulle api vengono respirate e mangiate dalle persone”. (pag.218) Che venga dalla tecnologia “buona” la speranza di porre limiti al disastro? Sul “Sole 24 ore” del 13 febbraio 2017 a firma Davide Maleddu esce un articolo: “Ecotec, l’azienda che trasforma in tesoro i rifiuti della bauxite”: “…I tecnici e i ricercatori della Ecotec, azienda operante nel polo industriale di Macchiareddu (a una ventina di chilometri da Cagliari) ci hanno messo cinque anni prima di arrivare a far funzionare il sistema che permette di riutilizzare di riutilizzare i fanghi rossi ottenuti dall’estrazione dell’allumina secondo il processo Bayer…siamo in grado di recuperare il 100% degli elementi presenti, alluminio, ferro, titanio e terre rare”. Ma intanto la crisi delle ex zone minerarie non accenna a diminuire,anzi: “Chi lavora nei servizi sociali vive l’emergenza quotidiana, vede, scruta, osserva gli sguardi, le mani, gli abiti e gli appartamenti di chi ha perso o sta perdendo tutto” (pag.127) “La disperazione è tantissima, noi cerchiamo di sedare gli animi, e poi sono aumentati  in maniera esponenziale la sofferenza mentale, i casi di depressione, i tentativi di suicidio”. (pag.128) Per il carbone sardo e non solo pare non esserci più futuro; l’Europa ne ha deciso lo stop  all’estrazione entro il 2018. Su “Repubblica” del 25 ottobre u.s. Marco Patucchi da conto del suo viaggio in quel di Gonnesa titolando il pezzo con: “L’ultima miniera, Nuraxi Figus può sopravvivere per cercare la materia oscura”: “Carbosulcis, l’azienda della Regione Sardegna proprietaria della miniera, e l’istituto nazionale di fisica nucleare in uno dei quattro pozzi principali del giacimento (a Seruci) realizzeranno il “Progetto Aria”: l’installazione di una torre pilota
che “infilata” in 400 metri di profondità dovrà consentire la separazione delle componenti fondamentali dell’aria. Come l’argon-40  essenziale alla ricerca della materia oscura che portano avanti nei laboratori sotto il Gran Sasso, o come l’ ossigeno-18 e il carbonio-13 utilizzati nello screening medico e nelle tecniche diagnostiche per la lotta al tumore…L’operazione costa 18 milioni di euro, poco più di 8 a carico di Regione e Carbosulcis, gli altri in capo all’Infn e all’università di Princeton(USA).” Ferracuti va anche a Ingurtosu: “…qualcuno mi aveva detto che a quel posto avevano dato un nome sepolcrale “la valle delle anime fredde”: un prete di Guspini vi faceva scavare segretamente della galena, fondendola sul posto e facendo credere ai suoi compaesani ch’egli si recava spesso a Ingurtosu per raccomandare le anime dei defunti. I lavori più antichi erano invece praticati nelle valli di Sa Spina e Casargiu (vedi anche Edoardo Sanna, “Le miniere di Gennamari-Ingurtosu nell’isola di Sardegna”, Meloni-Aitelli, Cagliari 1913). Vi incontra Claudio Melis che gli racconta cosa è stato quell’insieme di ruderi che è ora il vecchio paese: “…lì c’era la latteria…questo era il tabacchino…il bar…la macelleria…e quell’altro era il forno.”(pag.66) “Dopo scendiamo verso Piscinas. Incrociamo la Laveria Brassey…un fascinoso rudere andato in malora nell’area di Naracauli…Maestoso e spettrale, bello da morire, lo sguardo attratto da quella pornografia dell’archeologia industriale e dei luoghi abbandonati, questo edificio sventrato sembra il risultato di un bombardamento”. (pag.67). “…Poi le dune di Piscinas, formate, modellate dal vento di maestrale, prendono il sopravvento e catturano lo sguardo: un paesaggio desertico particolarissimo con piante secolari di olivastro e ginepro ti coglie inaspettato, lasciandoti senza fiato” (pag.68)

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Un commento

  1. Bello per chi conosce bene quelle realtà,ma anche molto triste e doloroso perché in quelle pagine ce il racconto di qualcosa che non ce più, come non ci sono più quegli uomini rudi e quelle donne vecchie, anzitempo, a causa del duro lavoro e dalla sofferenza….

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