IL TEMA DELL’OLOCAUSTO: LA GIORNATA DELLA MEMORIA A ROMA CON L’ASSOCIAZIONE “IL GREMIO DEI SARDI”

nella foto da sinistra: Alessandra Peralta, Daniele Boe, Antonio Maria Masia, Neria De Giovanni e Grazia Francescato


di Luisa Saba

Sabato 28 gennaio al Gremio dei sardi in via Aldovrandi si è tenuto un incontro veramente straordinario sul tema della memoria dell’olocausto, tema al quale viene dedicata ormai da diversi anni, con diverse sfumature,una attenzione speciale da parte delle Istituzioni, delle scuole, dei media.L’approccio scelto dalla sapiente intuizione di Antonio Maria Masia e Neria di Giovanni è stato quello di non fermarsi ad una celebrazione rituale,bensì quello di integrare testimonianze e parlare di accadimenti per i quali “ricordo ” è parola inadatta, mentre memoria è parola che viene declinata in maniera attiva, essere memoria, farsi memoria, piuttosto che avere memoria o, ancor meno, ricordare seppure in maniera sentita.

Presentati da Antonio Masia si alternano durante la serata i contributi di Daniele Boe, di Neria de Giovanni, Grazia Francescato e Alessandra Peralta. Più che alternarsi i contributi si incrociano, uniti da un filo rosso che lega le note musicali di Daniele Boe alle poesie struggenti di Joyce Lussu,“C’e un paio di scarpette rosse “e di Primo Levi,“Se questo è un uomo”, recitate con coinvolgente partecipazione da Neria (che poi si soffermerà sulla “sardita” di Joyce, la fiorentina ebrea moglie di Emilio Lussu), le  riflessioni  di Grazia  Francescato sulla modernità e su  Anna Frank, il potente documentario girato per la Rai  da Alessandra Peralta.

Il lavoro di Alessandra in un certo senso condensa, con la forza delle immagini girate in un viaggio realizzato solo una settimana fa nei campi di Birkenau e Auschwitz, il senso da dare alla memoria di una tragedia che ha segnato con la Shoah  l’era della modernità.  Da sempre la storia ha conosciuto genocidi e stragi, dice Grazia Francescato, ma in nessuna altra occasione, come nei lager nazisti, sono state uccise con precisione scientifica così tante persone, 6 milioni di ebrei, (un intero popolo!) in così breve tempo, nel silenzio totale delle comunità tedesche, anche quelle non accanitamente hitleriane, e nella indifferenza della comunità internazionale.

Questo immane omicidio di massa contemporaneo può avvenire per la concomitanza di due tra i principali fattori che dominano la società moderna; il primo èla “rapidation”, termine che ha usato   Papa Francesco per definire come tutto cambia e muta in tempi rapidissimi, le tragedie e i disastri si consumano nell’emergenza e si dissolvono nel qui ed ora. Questa rapidità, che rende obsolescente anche ciò che è avvenuto appena ieri,(chi ricorda le torri gemelle? La guerra in Kosovo o quella in Iraq?)fadimenticare,rimuovere e  perfino negare stragi, tragedie e omicidi efferati che non siano entrati nelle nostre storie personali.  Il negazionismo fa parte del tentativo perverso rivolto a nascondere gli avvenimenti non riconducibili a responsabilità individuali, a giustificare stragi e disastri avvenuti per realizzare fini “superiori”, come la creazione di società “pure”, ordinate e sicure, moderne appunto, per realizzare le quali gli uomini sono solo strumenti,ingranaggi, numeri, oggetti ingombranti,zavorra che se non è funzionale al disegno dominante va rapidamente eliminata.

Il secondo fattore, tra tanti altri certamente, ma che nella modernità si somma alla rapidità creando un effetto perverso consiste nella riduzione della complessità, vista come complicazione nel funzionamento delle organizzazioni umane e degli organismi viventi in generale, mentre sappiamo che la complessità regge tutto il creato e ne è la sua linfa vitale,come ancora ricorda Francesco in “Laudato Si’”

 La complessità viene negata nella semplificazione di tutti i processi,politici, economici,sociali, ambientali, fino ad arrivare a quel “pensiero unico“ che non ammette critiche e che utilizza tutti i mezzi per raggiungere i suoi fini di potere e controllo. La razza ariana doveva dominare il mondo e imporre la sua superiorità sulle altre razze? Gli ebrei erano l’ostacolo maggiore per l’affermazione di questa presunta purezza? Ecco che venivano prima ghettizzati, poi isolati e costretti a nascondersi, infine deportati nei lager, dove diventavano dei numeri sottratti alla vista di tutti, su di loro poteva essere, come fu, esercitata la più spietata violenza, che in tanti non volevano sapere che ci fosse, che molti considerano naturale che ci fosse! Agghiacciante l’analogia con ciò che sta succedendo ai nostri giorni, gli immigrati pericolo assoluto per l’infiltrazione del terrorismo musulmano vengono definiti clandestini, concentrati in centri di raccolta da dove rimandarli a casa (quale?), bloccati e respinti dietro muri, sottratti alla nostra vista, considerati dalla Comunità internazionale come il maggior ostacolo   alla vita dell’Occidente ricco e moderno. Come non si voleva sapere 70 anni fa dove portava il binario 21 di Milano, così oggi è facile ignorare ciò che avviene nei centri di raccolta e di smistamento dei migranti, esseri privi di statuto umano, contraddistinti da numeri anche nel momento della morte: ne sono affondati 130, oppure fermati 800, respinti 2000 (dove? in quale forno crematorio?).Circoscrivere  e confinare la violenza  in territori separati e isolati, inaccessibili  ai comuni membri della società, permette alla violenza di trasformarsi in un processo che fa a meno della morale, dove la responsabilità burocratica (ubbidire agli  ordini  nei lager ieri, rispettare  gli  accordi  internazionali oggi ), l’efficienza tecnica (ieri  cremarne  60 alla volta senza lasciare tracce, oggi rimandare indietro le barche  già quando li si avvista in mare! ), la precisione, l’efficienza, la difesa in primis  della popolazione autoctona (dobbiamo prima pensare ai nostri concittadini, alle loro case ed alla loro sicurezza!)diventano gli obiettivi di una politica semplificata che sacrifica i mezzi ai fini.

Nei lager nazisti non muore solo il pluralismo del mondo umano,muore l’umanità in se stessa: proibito commuoversi, non esistono più donne, uomini, vecchi, bambini, ma esistono solo degli oggetti numerati che vengono divisi secondo un piano di annientamento scientificamente programmato. Le immagini del documentario di Alessandra Peralta rendono plastiche le considerazioni fatte dalla Francescato: scorrono sullo schermo le sequenze, tratte da immagini di archivio, dell’arrivo degli ebrei, scaricati dai vagoni e immediatamente divisi, denudati,rasati, quelli da avviare subito ai forni e gli altri,quelli da mandare alle baracche, timbrati con un numero e coperti con un pigiama per essere utilizzati ai lavori forzati, o diventare oggetto di esperimenti genetici. Come nel caso delle sorelle Bucci, che si salvarono perché considerate gemelle utili alla sperimentazione genetica.Oggi accompagna noi giovani del Liceo Scientifico Torelli di Fano (PU) e di altre scuole provenienti da varie parti d’Italia che fanno il viaggio nei lager accompagnati anche dalla ministra dell’Istruzione. Il monito lanciato dalle sorelle Bucci è chiaro: la divisione meticolosa dei compiti tra i guardiani della morte, l’isolamento dei prigionieri gli uni dagli altri e di tutti dall’ ambiente esterno, la umiliazione dei gesti più elementari per la sopravvivenza, conduceva i deportati a perdere non solo la propria identità, ma la stessa specificità umana nelle sembianze fisiche.Dice una delle sorelle Bucci: io che avevo in quel momento 6 anni pensavo che, in quanto ebrea, ero diversa e perciò non potevo sperare di avere una sorte diversa da quella di deportata! Ciò che mi spinge oggi , e mi spingerà finche avrò vita, a dare testimonianza della terribile esperienza del lager è il  bisogno di far capire alle nuove generazioni che quando un disegno sociale semplificatorio viene gestito “scientificamente” da un potere  forte e senza controllo,  in grado di usare i moderni  strumenti della tecnica prescindendo dalle ragioni morali  del suo uso,ci troviamo di fronte a condizioni di disumanizzazione che hanno prodotto ma  possono ancora produrre olocausti e guerre. Nel filmato di Alessandra Peralta l’uso magistrale del colore, bianco e nero per le immagini di repertorio ma anche per i ricordi dei testimoni, a colori le testimonianze dei sopravvissuti e dei giovani che partecipano al viaggio. Colori che ci dicono come  la speranza di vita prevale  sui ricordi di morte,che  per vincere il male della rimozione è necessario assumere responsabilità  individuali e prendere consapevolezza  delle forme in cui oggi  la violenza si presenta,impegno culturale  che la scuola italiana si propone di potenziare  non solo  con  i viaggi della memoria , ma anche con i viaggi nella …memoria, come quello  che ci propone un giovane compositore di Alghero, Daniele Barbato Boe, con  dei pezzi  struggenti , dove  il piano accompagna la  preghiera dei pescatori  affinché  ritornino salvi alle loro famiglie, il suono dei mammutones  ma anche degli altri animali che seguono il pastore nella sua transumanza, della ferrovia che allontana  il migrante dalla sua terra; spaccati musicali che raccontano come alla modernità vissuta come corsa  alla tecnologia e al potere si possa contrapporre un modo di esistere che  rispetti la ricchezza e la complessità  dell’essere umano, dove c’e’ spazio per la memoria e per la speranza,per l’ascolto  e  il dialogo tra  le  generazioni, per la  convivenza tra diversi,dove  c’è tempo per esprimere  la gioia degli affetti e l’amore per la natura .

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