LA VECCHIETTA CHE SUSSURRAVA ALLE ERBE (RACCONTO BREVE)


di Marcello Atzeni

“La mano de Dios”, disse Maradona  dopo aver segnato un gol truffaldino agli inglesi.

In Sardegna, quando uno sta male  gli si dice: “Pigadì custu, ti faidi ke sa mau de Deus”.

Ovvero ” Prendi questa medicina e guarirai come se Dio, avesse  poggiato la mano su di te.”

Già, la Sardegna, terra antica  ma non vecchia. Dove le tradizioni contano. E le donne  dei paesi,  tramandano  oralmente, miti , leggende e  storie di nessuna o tanta  importanza. Ma anche battute per ravvivare  il morale . “ Is contus de forredda”:  racconti del caminetto. Che nelle cupe e fredde notti invernali ci si scambiava   per tenersi compagnia e  scaldarsi il cuore per poi andare a letto  con l’animo sereno ,come i cieli estivi grondanti  di stelle.

Ma    le sennoras isolane    non sono tutte uguali. Ci sono anche quelle che non stanno a inseguire   contixeddus, e  si dedicano alla ricerca. Non conoscono il latino e, talvolta  “litigano” anche con l’italiano. Si “accontentano” del sardo, con le sue infinite sfumature .

Le vedi comparire e sparire in un cocuzzolo . Non sono cogas o bruxias :  tutt’altro che streghe. Incinte  di saggezza  , sono in missione perenne e provano gioia infinita  quando regalano il loro sapere.

Come tzia Raffiella :  “ La donna che sussurrava alle erbe”.

Le conosceva una per una, come una maestra elementare conosce  i suoi alunni.

 Ad ogni male accoppiava un’ erba prodigiosa. A un certo punto si convinse che il suo compito  fosse finito. Ma quando vide Nora  ,una ragazzina sfigurata  da una bruciatura  immensa, decise  che il suo cammino e la sua ricerca  dovessero  proseguire. Ancora non aveva inventato la” medicina delle medicine”.

Forse sognò  o più probabilmente  intuì  nell’ostilità  del rovo, qualcosa per restituire alla giovinetta  lo splendore del suo viso, violentato da una cascata di caffè nero bollente.

Poteva il rovo, all’apparenza  così rude , dare benessere perenne  ad una pelle deturpata?

Tzia Raffiella ci  pensò. Si convinse che ciò fosse possibile, se assieme all’estratto dell’arbusto, avesse unito un po’ di olio d’oliva, quello di piante nate in Sardegna  prima ancora che l’uomo imparasse a navigare.

Le sue mani, che parevano quelle di un prestidigitatore, lavorarono notte e giorno. E poi ancora un altro giorno e un’altra notte. Poi non contò più le ore di lavoro, sin quando non portò a compimento  la sua nuova “ creatura”.

  Andò a casa della ragazzina e le regalò  un piccolo sacco di iuta :  “Custu est po tui”, le disse.

La fanciulla, perplessa, aprì il sacchetto: conteneva un vasetto  di vetro con dentro un unguento.

Gli occhi della poveretta brillavano per  la commozione .

Ogni mattina, dopo  essersi lavata  il viso con l’ acqua fresca di un torrente  che costeggiava casa sua,  si ungeva la parte dolente  con la medicina di Tzia Raffiella.  Passò veramente poco tempo e  la brillantezza dei suoi occhi  non era più da sola.

La pelle del suo viso  totalmente rigenerata, luccicava  assai  più dei suoi occhi.  Era talmente  radiosa  che ,quasi,  illuminava il sole .

Nora aveva ricevuto in regalo un unguento  che profuma di rovo, olio d’oliva e   Mar Mediterraneo , ma soprattutto profumava  di “bella persona”. Quello che fin dalla nascita  portava con se Tzia Raffiella.

“Quanto le devo “? domandò Nora all’erborista famosa.

“Non voglio soldi. Non si vive solo con i quattrini  in questo mondo. Ti chiederò una cosa in cambio, però.”

Avvicinati, le disse: così come sussurrava alle essenze, allo stesso modo  inviò parole misteriose all ’orecchio della ragazzina. Che sorrise.

La vecchietta , da qualche anno, è volata via. Lontano, lontano….

 Nelle colline in fiore esplodevano  colori e olezzi . Dove camminava lei,   ora passeggiava  la dottoressa Nora.

Che, una volta diventata farmacista, percorreva  gli  stessi sentieri olfattivi di tzia Raffiella, visto che anche lei sussurrava alle erbe. Glielo avevano insegnato.

Più chiacchierava e più diventava  brava.  Raccoglieva  un po’ di essenze e le amalgamava. Quindi le distillava  e poi ancora tutte quelle “strane” cose che  aveva inglobato   all’ Università.

Quando una persona sofferente aveva  bisogno del suo aiuto, lei c’era.

Alla domanda: quanto le devo?

Rispondeva : nulla!

Neanche un grazie?

Beh, quello sì e lo invio con un alito di vento zeppo  d’elicriso  a una persona a me molto cara.

Nonostante la benevolenza di cui era circondata ,Nora  si sentiva triste, come quei giorni neri come il corvo e tempestosi come le cime in bufera.

Il suo sorriso si stava eclissando.

Man mano che passavano le stagioni, sentiva  le sue braccia pesanti e legnose come i tralci del sarmento.

 Per ogni medicina preparata perdeva   un po’ delle sue foglie e dei suoi germogli.

La vita con le sue forbici possenti   le potava  via  gli anni. Taglia  e ritaglia,  Nora si accorgeva  che il suo vestito verde primavera assumeva delle tonalità invernali e il suo sorriso lo era ancor di più . Le sue mani diventavano   grevi, ma  ancora capaci di mischiare  olii ed essenze.

Così quel giorno in cui una  donna si era presentata da lei con la  figlia e il suo viso  colonizzato per sbaglio dagli sbuffi di una caffettiera dispettosa, il sorriso  era ridiventato  smagliante.

 Con il suo tailleur vecchio  quanto il suo sguardo, aveva capito  che finalmente era giunto  il momento per sussurrare la “sua” sapienza alla nuova guaritrice .

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