LE CONFESSIONI DI FRANCESCO ABATE, LO SCRITTORE CAGLIARITANO: “SEMPRE MEGLIO RACCONTARSI CHE FARSI RACCONTARE”

ph: Francesco Abate


di Laura Fois

“I progetti vanno raccontati quando sono pronti. Per ora posso dire che entro il 2018 usciranno altri due lavori per la carta stampata e che il prossimo libro è quello a cui son più affezionato”. Francesco Abate è uno scrittore sardo che vive a Cagliari, scenografia costante delle sue storie. “Io qua vivo, qui vedo le cose”, mostrando un’umiltà non comune essendo anche giornalista. Collaboratore dal 1986 per l’Unione Sarda, assunto dal 1993, è da qualche anno responsabile delle pagine culturali e dello spettacolo dello storico quotidiano isolano. “Prima mi occupavo di cronaca nera, dopo il trapianto ho chiesto di non occuparmene più, è pesante e non posso più permettermi un lavoro che non ha orari. Anche perché se ammazzano qualcuno non lo fanno in orario delle poste!”

Divertente, pratico e acuto osservatore, Abate ti guarda fisso negli occhi e ti chiede “perché mi intervisti?”. Incontrarlo non lascia indifferenti. È sincero il ricordo del suo primo libro, Mister Dabolina (1998), che ammette di aver scritto per divertirsi. “Lo considero un libro molto acerbo, non fu neanche accompagnato da un lavoro di editing. Quello scrissi e quello uscì”.

Abate ti insegna che se ogni lettore ha il suo libro preferito, anche gli scrittori hanno un rapporto diverso con ciascuno di loro e inoltre si evolve. “Getsemani (2006) all’inizio non è stato un libro fortunatissimo, perché è uscito prima del trapianto. Non è stato promosso ma ha ripreso strada nel tempo quando il Mastrale (che ha editato anche Il cattivo cronista, 2003 e Ultima di campionato, 2006) ne fece un’altra ristampa. È stato un esperimento narrativo”, continua l’autore, “mentre Chiedo Scusa (2010), il libro legato al trapianto e scritto insieme all’attore Valerio Mastrandrea, ha segnato uno spartiacque sia dal punto di vista professionale sia, ovviamente, dal lato umano”. Il libro ha avuto un importante successo commerciale, ha avuto diverse edizioni ed è stato tradotto in Francia, dove ha ugualmente conquistato critica e lettori.

L’approccio differente rispetto alla scrittura è stato quindi frutto, inevitabilmente, del suo percorso di vita. “L’aver vissuto la terapia intensiva da paziente, l’aver visto persone morire e pure te stesso al limite, implica che la corazza che prima avevi per raccontare tutto ciò che vedevi non ce l’hai più. Ecco perché anche la mia carriera giornalistica ha preso un’altra direzione. Il giornale per sua conformazione brucia il dolore, per cui se tu oggi racconti una storia, al limite la segui per alcuni giorni, ma nel momento in cui la scrivi quella storia ha una durata di quarantotto ore, poi ce n’è un’altra e un’altra ancora. Non avevo più la forza di affrontare le storie con cinismo, professionalità e distacco”. E dal momento che fai anche il giornalista, “sai che la tua vita è esposta. Io però decido ciò che voglio esporre e faccio vedere ciò che voglio. Quando il sipario del libro si chiude, c’è tutta la mia vita che pochissimi conoscono. D’altra parte, sai che oggi un libro lo vendi se sei disposto a dar un pezzo di te stesso, a incontrare le persone e, per quanto mi riguarda, a metterti alla pari con loro; anche a far cadere quel divario che un tempo ci si poteva anche permettere ma che non fa parte  del mio essere. Oggi devi andare a raccontare le tue storie e condividerle, bisogna mettere un limite, ma son convinto che sia sempre meglio raccontarsi che farsi raccontare”.

Dopo Chiedo Scusa seguono altri due successi editoriali, Un posto anche per me (2013) e Mia madre e altre catastrofi (2016), sempre editi da Einaudi. La curiosità di quest’ultimo prodotto letterario è che è “tutto basato sui social. È nato giocando, volevo soltanto prendere in giro mia madre e divertirmi con lei. Poi è diventato libro perché abbiamo capito come stava funzionando sui social, per cui anche dal punto di vista della comunicazione coi lettori non abbiamo mai usato i media tradizionali. La chiusura della presentazione del libro al Poetto è avvenuta in modo spontaneo, è nata da un post su Facebook chiedendo: ma sei io faccio questa cosa, venite? Sì? Allora la faccio. Così ho fatto, si è presentata davvero tanta gente, è stata una serata bellissima”. Abbiamo riso a lacrime, direbbero i cagliaritani. Chi ha letto Mia madre e altre catastrofi non può non aver riso a crepapelle, magari riconoscendo qualcosa in comune con la propria madre o con sé stessi in quanto figli.

social networks sono un altro capitolo delle nostre vite. Soprattutto negli ultimi anni, non sono diventati solo un (non)luogo di condivisione, ma anche di scontro. Sono degli spazi in cui si decide ugualmente di esporsi, per questo anche in questo caso “bisogna mettere un limite. Provo sempre a mantenere un equilibro nella comunicazione che faccio, altrimenti divento logorroico, prendo all’anima! Non so se in futuro per raccontare una storia si possa continuare a far promozione attraverso i social, che ultimamente mi soffocano un po’. Mi annoiano, trovo molto livore di recente e piattezza mentre prima trovavo cose più interessanti. Devo ammettere però 

che mi piacerebbe gestire i social degli altri!”

I discorsi con Abate scorrono fluidi e dilettevoli. L’ultima domanda riguarda il futuro della comunicazione, che attualmente viaggia sia su carta stampata sia sul web. “Se sapessi rispondere risolverei la crisi dei media tradizionali che non riescono a stare né sulla vecchia riva né sulla nuova. È chiaro che c’è una crisi dei giornali ma non della lettura, nel senso che la gente è meno disposta ad acquistare un quotidiano ma non a leggere. Pensa che L’Unione Sarda vende tra le 40mila e le 50mila copie, mentre i dati Audipress dicono che viene letta online da 420mila persone. Ciò vuol dire che la gente preferisce sfogliarlo al bar come fa lo scroll di un un social network! La nuova strada? I nuovi media. Cosa sta succedendo adesso? Si trasferisce l’informazione su internet e si amplifica sui social, ma che rientro economico si ha per poter mantenere un’azienda in modo da pagare in maniera congrua tutte le persone che ci lavorano? Siamo nel guado, per cui tutti i media devono fare bene l’uno e bene l’altro. Siamo proprio nel mezzo tra il trasporto a carrozza con cavallo e l’invenzione dell’automobile, solo che quella volta si passò da un business reale a un altro business reale. Il web ancora non dà possibilità alle grandi aziende giornalistiche di poter vivere solo di quello, quindi io la formula al momento non ce l’ho! Il primo che ce l’avrà ci salverà tutti dalla crisi del web”.

http://www.cityandcity.it/

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Un commento

  1. ci sono gli scrittori, i giornalisti, i Dj’s… e poi c’è Francesco Frisco Abate (e ho detto tutto!)

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