CIALTRONE SI, CIARLATANO MAI: MARIO CESARE BORGHI, PENNA ATTENTA ED IRRIVERENTE, A CACCIA DEGLI IMBROGLI LETTERARI


di Pia Deidda

 “Cialtrone sì, ciarlatano mai” questa è la definizione di sé che si dà Mario Cesare Borghi imprenditore, scrittore, autore teatrale e acuto blogger. Ed è stato proprio il suo blog “www.stranoforte.weebly.com” ad attirare la mia attenzione e a farmi conoscere questa penna attenta e irriverente che cerca, scova e mette alla berlina, errori orrori e truffaldini dell’ambiente dell’editoria; o, meglio sarebbe dire, della pseudo editoria che prolifica sempre di più in un mondo molto variegato di concorsi, premi e cotillons che poco ha a che fare con la ricerca e la produzione letteraria e poetica di qualità. Un segugio delle imprese spenna polli e dell’imbroglio letterario. Crudele, ironico o sarcastico a seconda della vittima di turno Mario Borghi diventa pericoloso.

Tanto pericoloso che arriva qualche querela? Fino a oggi nemmeno una. Molte minacce, molte diffide via mail (una era talmente sgrammaticata che sono stato tentato di renderla pubblica), quelle sì, e una volta anche una specie di minaccia di stampo mafioso, però cerco sempre di attenermi a ciò che vedo e che rilevo nero su bianco. Non ci metto mai del mio, né mi scaglio contro le persone in maniera gratuita e, soprattutto, mantengo sempre un tono leggero e ironico. Ciò che scrivo deve rimanere nell’ambito della satira, però mi rendo conto, per rifarmi al termine “pericoloso”, che il 99% dei miei pezzi vanno a buon fine, ossia a seguito di essi ricevo mail di ringraziamento (o di preoccupazione, da parte degli “attenzionati”, quando non di ingiuria);

Dove nasce questa idea stranoforte? Navigo sul web dal 2001, all’epoca frequentavo una delle prime chat di Tiscali che si chiamava Talk Talk, ora non c’è più. Durante una delle mie prime chattate, una persona mi disse, simpaticamente, che ero “strano forte” e da lì ho iniziato a far mio quel nick. Successivamente ho pensato di aprire un blog assimilabile a una Bettola, dove un oste cialtrone (io) potesse declamare e denunciare stranezze a un pubblico più strano di lui. All’inizio il blog era su Splinder, poi l’ho traslocato su Weebly. 

E poi arriva la pubblicazione del suo romanzo “Le cose dell’orologio”. Una persona ipercritica come lei non ha avuto paura di dar vita a un’opera che doveva competere con altre produzioni letterarie? Romanzo che avrebbe passato il vaglio della stessa critica? Diciamo che è stata anche un po’ una risposta a chi continuava a dirmi che è troppo facile criticare senza metterci la faccia. Ho già al mio attivo due pezzi teatrali (un corto e un atto unico) messi in scena più volte e diverse opere inserite in antologie varie. Ho voluto mettermi alla prova e il risultato non mi è dispiaciuto, sia in termini d’interesse dalle case editrici, sia in termini di risposta del pubblico. La mia stessa critica, ovviamente, si è sperticata in lodi.

Ho letto molte recensioni positive sul romanzo, c’è qualcosa che non è stato ancora detto ma che a lei sarebbe piaciuto emergesse? Una domanda non mi è mai stata fatta direttamente, non so perché, ma sempre a persone a me vicine è questa: “Ma in questa storia, c’è qualcosa di personale? Di tuo vissuto direttamente”? In effetti qualcosa c’è e l’ho detto io, per primo, in qualche presentazione, ma nessuno ha mai voluto chiedermene direttamente conto. 

La sua è una storia surreale dove le persone vivono come un dramma personale il furto dell’orologio della stazione. Leggendo pensavo all’effetto antifrastico che emerge dall’insieme, effetto che poi corrisponde alla sua persona – o a come si pone pubblicamente. Si ritrova in questa definizione? Lei ha centrato il punto. Mi piace enfatizzare certi aspetti – per fortuna spesso marginali – della nostra società proprio per cercare di dimostrare quanto il genere umano cosiddetto “benestante” (genere umano che secondo me non ha speranza, ma è sempre giusto “provarci”) si focalizzi su aspetti marginali, per non dire inutili, della società; mi piace sottolineare quanto il trash venga enfatizzato a scapito dell’approfondimento. Per fortuna solo due persone, tra quelle che hanno letto il mio libro, non ha colto questo mio intento, tacciando la mia opera come banale, leggera e inutile. Le parole scritte sulle pagine di un libro non possono fare tutto, esse sono catalizzatori che, con il loro peso specifico, devono indurre meccanismi più o meno complessi nella mente di chi legge. Lo stesso tono ironico fino all’estremo lo si trova nei pezzi del mio blog: fingo di dare molta importanza e valore a cose che – sempre secondo me – non ne hanno per nulla, anzi servono solo a turlupinare il merlo di turno. Lo sa qual è uno dei mali peggiori che affligge la nostra società pseudo-opulenta? L’analfabetismo funzionale. Oramai la deriva dovuta all’abbagliamento portato soprattutto dai media e dai Social ha superato anche le più fosche previsioni Orwelliane e la cosa tragicomica è che questo filone di apparenze è come una calamita, per i merli, appunto.

Ho apprezzato la sinteticità narrativa e lo scorrere dell’analessi, il prendere forma dei personaggi cartina tornasole della nostra società riflessi però come in uno specchio, improbabili e veri contemporaneamente. Quanto le è piaciuto giocare con essi? Quanto le piace giocare con il mezzo della parola scritta? I personaggi che popolano il mio romanzo ricalcano tutti persone che ho incontrato davvero. Ne ho romanzato i comportamenti, ma il “succo” è quello. Ognuno di noi ha le proprie manie, i propri riti, le proprie scaramanzie e quando riesco a intercettare le manie degli altri, non resisto: devo scriverci qualcosa. Come? Quali sono le mie di manie? Ehh… segreto, non ve le dico altrimenti mi ricattate e mi scrivete un libro – e voluminoso! – addosso.

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