L’ESPATRIO PER NON MORIRE: 1946/2016, SETTANT’ANNI DI IMMIGRAZIONE ITALIANA IN BELGIO

l'autrice dell'articolo, sarda originaria di Perfugas, è figlia e vedova di minatore


di Anna Maria Sechi

La fine della guerra 1940/45, ha lasciato l’Italia nella più orribile miseria, quando è apparsa la possibilità di quel accordo tra le società carbonifere del Belgio, l’Italia non ha esitato a metterlo in atto, gli interessi della nazione erano tanti, a parte il fatto che si liberava di un bel po’ di disoccupati, gli era concesso una certa resa di carbone al giorno per ogni minatore che andava in Belgio a lavorare nelle miniere, il che faceva comodo al funzionamento delle industrie italiane, possiamo dire che i nostri padri, mariti, fratelli sono stati scambiati contro carbone. 
Sino al 1956, ogni due settimane i treni dall’Italia arrivano pieni di giovani uomini anche sotto i vent’anni, tutti con in tasca il contratto di lavoro che gli legava alle miniere per cinque anni. La testa colma di sogni imboccavano le vie delle vene del carbone e la strada delle cantine, dove la più parte alloggiavano, i primi tempi sono stati durissimi per tutti, la miniera non era un lavoro qualunque, ma si adattarono a quel pericolo, si adattarono al clima del territorio e all’ambiente locale non sempre piacevole fatto di umiliazioni e di spregi.
L’immigrazione italiana cessò con la tragedia del Bois du Cazier di Marcinelle, perché mise dolorosamente in evidenza la mancata sicurezza che c’era nelle miniere. Quell’orribile incendio che bloccò 262 minatori nella miniera in fiamme, 262 vittime tra le quali 136 erano italiani tanti di loro hanno cercato invano delle vie d’uscita, nessuno gli ha potuti salvare la mala sorte si è accanita su di loro quel 8 agosto del 1956, Quel otto agosto ebbe inizio con un’alba soleggiata, che lasciava pensare che fosse una bella giornata d’estate, ma poche ore dopo il fumo che fuoriusciva dal pozzo della miniera in fiamme oscurò il sole e quel cielo azzurro di Marcinelle e si estese su tutto il circondario del Pays Noir.
Lutto e tristezza colpì quanto girava attorno alle miniere, ai minatori e alle loro famiglie e all’industria carbonifera in generale, 262 vittime in un boccone sono tanti, sono troppi, giovani uomini, padri di famiglia, sposi, fidanzati, fratelli, Marcinelle è stata una grande tragedia, 60 dopo la ricordiamo tutti con dolore. Tanti di noi abbiamo ancora negli occhi le mani di quelle giovani spose, fidanzate e mamme aggrappate a quel cancello della miniera che gridavano disperatamente il nome dei loro cari. E abbiamo ancora negli occhi il ricordo della tristissima cerimonia funebre che ne segui.
Le miniere non erano certo un posto di lavoro esenti dal pericolo, in ciascuna di esse non mancava no gli incidenti mortali, le frane nelle taglie erano frequenti, quando un masso di carbone cade addosso al povero minatore è intrappolato come un topo, anche se nessuno ne parla i minatori che hanno perso la vita qua e di la, negli anni neri del carbone sono tantissimi, la sicurezza era scarsa ovunque.
I minatori e le loro famiglie quando succedeva che uno di loro mancasse a l’appello la notizia si spargeva ovunque, ci stringevamo alle famiglie colpite, su tutti noi cadeva un velo di profonda tristezza e la paura attorcigliava le nostre trippe pensando che l’indomani uno dei nostri poteva soccombere nello stesso modo, si viveva in un ansia permanente, la miniera oltre al pericolo degli incidenti c’era la silicosi che senza far rumore penetrava nei polmoni dei minatori. All’epoca si parlava poco anche di questa malattia, quando una certa percentuale era riconosciuta, era attribuito un risarcimento su forma di pensione dalla cassa delle malattie professionali, poi avvenne l’inverosimile ci fu una legge che una volta raggiunto il 65mo compleanno la percentuale di quella pensione che riconosceva la malattia era rivisto verso il basso, visto che l’operaio non apparteneva più al mercato del lavoro, senza tener conto che si portava comunque nei polmoni la percentuale di silicosi, leggi assurde studiate solo per far cassa, colpendo ancor più i già deboli chi si erano beccati la malattia.
La nostra bella Italia ci abbandonò tutti al nostro destino senza un gesto di protesta. 
Oggi i minatori che hanno scampato alla silicosi sono in pochi gli altri sono quasi tutti morti tanti per insufficienza polmonare, la silicosi non sparisce con un colpo di spugna, La nostra immigrazione italiana, in Belgio si è inserita con molto sacrificio, malgrado le umiliazioni subite ha saputo adattarsi alle norme del paese e alla sua comunità locale senza scontri, è prezioso sottolinearlo in questo periodo particolare che stiamo vivendo.
La guerra del carbone è finita ma ci ha lasciato il segno nel cuore, nella mente e nella nostra pelle.

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2 commenti

  1. Bellissimo articolo ,bravaAnna Maria,quello che hai scritto è sacrosanta verità,c’è uno strano filo che ci lega noi orfani di minatori,è certo che quello che hanno fatto i nostri padri è una cosa Grandissima e noi non dobbiamo farlo morire il loro ricordo dovràessere essere sempre vivo nei nostri cuori

  2. Anna cussu perighul’apo afrontadu
    pro sese annos’a note e adie
    a trabagliar’in miniera a mie
    bidu dae su calvone suterradu….

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