L’UOMO CHE DA VITA ALLE CANNE: MICHELE LOI DA ULA TIRSO E LA MAESTRIA NEL COSTRUIRE STRUMENTI MUSICALI TRADIZIONALI

ph: Michele Loi


di Simone Tatti

Ci sono passioni che ti accompagnano per tutta la vita. Nascono inaspettatamente, così, senza un perché, in un giorno come un altro. Si alimentano della tua creatività, del tuo impegno e del tuo entusiasmo. Talvolta riesci a trasformarle in professione, altre, invece, sono destinate a esser coltivare nei ritagli di tempo. Il sabato, la domenica, nelle tarde serate d’inverno in compagnia di un mangianastri e una lampadina da 60 watt. Ci troviamo a Ula Tirso, comune di circa 500 abitanti, nella storica regione del Barigadu, in provincia di Oristano. In una villetta indipendente, ai confini del centro abitato, vive un non ancora attempato signore di 68 anni: Michele Loi, per gli amici Michelinu. Ex dipendente Enel, ora in pensione, Michelinu è conosciuto in buona parte della Sardegna per la sua maestria nel costruire strumenti musicali tradizionali. Alcune sono pure e semplici rielaborazioni artistiche dei più conosciuti strumenti della tradizione sarda. Altre, invece, sono inedite creazioni: frutto del suo ingegno e del suo estro creativo. La “bena” semplice e quella doppia a canna cilindrica, quella col corno di bue, quella doppia con innesto di zucca che diventa a sua volta tubo risuonatore. “Solittos”, “launeddas”, “pippiolos”,  “tambusinos“s’ena in saccu” (tre canne innestate con colla vinilica) e addirittura qualche “serraggia”, usata tipicamente nel Carnevale di Bosa, è uno strumento a corda con una vescica di maiale sulla quale si sfrega un archetto, come fosse la corda di un violino. Sono molteplici le opere che è possibile ammirare nel seminterrato della sua abitazione, allestito di bacheche come fosse un museo. Di qui sono passati alcuni importanti musicisti della nostra isola: Enzo Favata, Andrea Parodi, il sassofonista nuorese Gavino Murgia ma anche artisti francesi, tedeschi, scozzesi e spagnoli. Uomo di innegabile cordialità, Michelinu ci accoglie nella sua cucina rustica per parlare di quella che è stata la passione di tutta una vita.

“Ho cominciato da bambino, mio padre mi dava l’avena selvatica e come tutti i bambini ci suonavo”.

Ma poi un aneddoto particolare.

“Quand’avevo poco più di sedici anni, ero uno dei tanti emigrati sardi in Continente. Mi trovavo a Calambrone, dove frequentavo un corso professionale come lamierista. Nel tempo libero si giocava a Calcio. Gli svaghi erano pochi e i soldi ancora meno. Qualche giorno prima di una partita molto importante, vidi un canneto poco più in fondo degli spogliatoi. Pensai, allora, di poter realizzare qualche oggetto da regalare alla nostra tifoseria. Costruii cento semplici benas. Il giorno della partita il frastuono fu impressionante, gli avversari attoniti e noi vincemmo”.

Non vi è dubbio che con il trascorrere del tempo l’arte realizzativa del signor Michele si sia notevolmente affinata giungendo alla costruzione di vere e proprie piccole opere d’arte.

“Lavorare la canna, non è facile. Occorre trovare quella che ha le giuste caratteristiche per essere trattata. E poi, una volta trovata non è detto che tutto vada per il verso giusto. Basta che uno dei fori praticati lungo il fusto differisca di qualche millimetro dallo standard e devi buttare via tutto e iniziare da capo”.

Ma la pazienza e la tenacia non sono caratteristiche a lui sconosciute. Lo si denota dalla cura con la quale prendono vita i suoi strumenti. Un lavoro meticoloso e certosino alla continua ricerca della perfezione estetica e melodica.

“Talvolta mi è capitato di gettar via sino a cinquanta canne, prima di giungere a quella che soddisfacesse, per forma e sostanza le mie aspettative. Non vi è dubbio che occorra meticolosità e impegno ma io trovo piacere nel vedere un semplice pezzo di legno trasformarsi in qualcosa di animato”.

Abile artigiano,  particolarmente rinomato per la costruzione  de “sa bena”, considerata la mamma delle più aristocratiche launeddas e che accompagna egregiamente ogni tipo di ballo sardo, Michele Loi è un artista che modella e poi pittura le canne, con quella penna di fuoco chiamata pirografo, come fossero dipinti.

“Il periodo migliore per la raccolta delle canne è tra gennaio e febbraio, basta una roncola, le taglio e le lascio al sole per qualche giorno evitando che prendano umido. Poi restano dentro casa, da uno a tre anni, per la stagionatura. A questo punto le lavoro”.

Un etnomusicologo siciliano, Roberto Catalano, si è laureato a Pasadena negli States con una tesi in Antropologia proprio sugli oggetti creati da Michele Loi, figlio di Antonio, noto ‘Miorre”, contadino e artigiano del sughero. Di recente, a Sedilo, Michele è stato insignito di un premio che gli riconosce la maestria nella produzione di strumenti musicali della tradizione sarda. Ma lui è piuttosto sobrio, non dà importanza alla cosa.

“Spero che tradizioni costruttive come queste non vadano mai perdute. Sono la nostra anima. In quest’epoca di omologazione globalizzazione ci ricordano chi siamo da dove proveniamo. 

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