LA VITA DI BORDO NEL LIBRO “RISACCA” (PETTIROSSO EDITORE), LA PUBBLICAZIONE DEI CINQUE FRATELLI NONNIS


di Alessandro Carta

L’esperienza di una comune passione trascorsa in mare, quel mare che divide dalla terra ferma,ma pur sempre una passione capace di provocare incancellabili ricordi, è stata posta al centro di un libro, “non di epica di grandi narratori, ma di quotidiana vita di bordo”. Autore, anzi autori, del libro “Risacca” (Pettirosso Editore) sono nientemeno cinque fratelli sardi: Fermando, Francesco, Giampaolo, Giuseppe Luigi e Piergiorgio Nonnis. Niente di trascendentale o di velleitario, precisano gli autori stessi. Esso è un “piccolo frammento di vita fatto di salvataggi di naufraghi, di contatti sospettosi di guerra fredda, di navigazioni oceaniche dall’Atlantico del Nord all’Oceano Indiano, ma anche di incontri con pescatori della Laguna di Santa Gilla o delle coste della Somalia e di navigazioni che possono riservare sorprese persino sulle abitudinarie navi della Tirrenia”. In altre parole, con compiti distinti a seconda di come è stato vissuto il mare negli anni verdi di ognuno degli autori, si passa dalla rievocazione di tragedie in mare durante o dopo l’ultima guerra mondiale, a occasionali momenti vissuti sulle rotte di collegamento tra la Sardegna e il Continente. In tutt’e cinque fratelli Nonnis è rimasto sempre vivo, con angolature e suggestioni differenti, il rapporto con il mare diventato nel tempo una catena i cui anelli sono altrettanti ricordi per niente dimenticati negli anni. E così Giuseppe Luigi che rievoca la tragedia del Panigaglia in cui, supportata dalla storica copertina di “La Tribuna illustrata”, si parla del drammatico tentativo di salvataggio dell’equipaggio. Si trattava di un posamine della Marina Regia, varata nel 1923 e che colò a picco nel 1945 davanti alle coste spezzine. Poi però la nave venne recuperata con il suo carico di munizioni. La sua seconda vita durò ben poco: il 2 luglio del 1947 un’esplosione dentro la nave carica di esplosivo fece saltare tutto, coinvolgendo nel drammatico momento 72 marinai. Della notizia si rese interprete anche e direttamente l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi che riferì del fatto in Parlamento. Di differente taglio i numerosi “pezzi” scritti da Piergiorgio Nonnis. Tutti attengono alla sua carriera da radiotelegrafista in seno alla Marina Militare. Dopo le scuole CEMM, il primo imbarco fu sull’incrociatore “CaioDuilio”, sul quale imparò a professionalizzarsi al massimo, arrivando anche a meritate promozioni. Certo, una vita in mare, da militare, non poteva essere considerata una crociera. “Spesso pensavo a casa, a mia madre in particolare, che nelle sue lunghe lettere mi incitava sempre a riprendere gli studi. Rivedevo i miei compagni di qualche anno prima sereni e tranquilli nei banchi del liceo o di una scuola tecnica. Constatavo allora che io a vent’anni ero già carico di responsabilità. Pensavo alla ragazza che avevo perso. Ma in realtà non mi lamentavo della mia scelta nonostante fino a quel momento mi avesse obbligato a molte fatiche e procurato diversi dispiaceri”. Dal “Duilio” Piergiorgio venne spostato sul dragamine “Agave” i cui ricordi sono ancora legati agli angusti locali dove non c’era spazio neppure per l’intimità personale. “Mentre ci si lavava nel micro lavandino, alle nostre spalle, in corrispondenza di ogni lavabo, c’era qualcuno seduto sul water, senza una porta che potesse dare a chi lo occupava un minimo d’intimità”. La condizione migliorò sulla nave “Centauro”, anche se, in corrispondenza dell’accentuarsi della “guerra fredda” tra americani e russi, la tensione (e il lavoro nella stazione radio trasmittente) era una componente del quotidiano. Di particolare intensità emotiva è la pagina legata al soggiorno a Mogadiscio dove Piergiorgio aveva “visto donne partorire da sole ed erano molto brave, facevano tutto perfettamente, sbagliavano solo una cosa, all’atto di tagliare il cordone ombelicale usavano una lama non sterile che spesso causava gravi infezioni”. Più rilassante la testimonianza (“Il mio mare”) di Fernando impegnato per breve periodo tra Maripers, Compamare Roma e poi nella Capitaneria del porto fluviale di Roma e successivamente di Cagliari. Fu un incarico presso Capitaneria di Porto di cui, comunque, il protagonista ha mantenuto un lucido ricordo. Approdi e traversate hanno interessato le coste del Golfo di Cagliari o poco oltre. Gli intrusi si chiamavano delfini. Tuttavia, come suol dirsi, l’appetito viene mangiando. “Volevo diventare un marinaio, un uomo di mare. Ma la Marina non perdeva tempo per preparare un nocchiere di porto. Ho imparato osservando, rubando il mestiere. Ho avuto maestri straordinari, un sergente napoletano, un ragazzo silenzioso, tutto l’opposto degli stereotipi sui napoletani. Fu lui a darmi tutte le istruzioni per stare a bordo, passai ore ad ascoltarlo, imparai a governare la coperta, a leggere il vento, a tenere il timone, ad usare la bussola, a capire i segnali, una formazione continua che mi ha fatto scoprire un mondo meraviglioso”. L’impegno rimase sulla motovedetta di stanza al porto di Cagliari e in particolare nello sgombero delle acque antistanti Capo Teulada in occasione delle esercitazioni. “Ci ritrovammo a mangiare allegramente con i pescatori nella coperta di una paranza da pesca a strascico. Spaghetti all’olio e peperoncino, polpetti fritti rappresentarono una delle più belle cene che ricordi per l’umanità, l’allegria, la sincerità di veri uomini di mare. Di la a qualche mese avrei cambiato vita, lasciato la divisa, sarei stato professore di lettere…” Il contributo al libro portato da Francesco ha riguardato esperienze su navi Tirrenia e che in certi periodi, non certamente i più recenti, per i Sardi potevano anche apparire una mezza crociera. Scene che per l’autore erano rimaste impresse, anche se “non sono mai stato bravo nel ricordare”. Parla di un violino e di una sigaretta e la pipa. Segni che evidentemente hanno lasciato un ricordo e che, come in questi casi, riguardano momenti assai personali. Come anche quello intitolato “Il medico e il microcefalo”. L’ultima parte del libro è stata affidata a Giampaolo che ha raccolto alcuni aneddoti raccontati da “quattro amici accomunati dall’aver tutti prestato servizio militare in Marina: Placido, Fabio, Agostino e Medardo”. Il racconto è stato colto nella piazzetta del villaggio di Sant’Isidoro “solo case sperse nella campagna coltivata a vigna e ortaggi”. E poiché “navigare necesse est”, e con esso anche le conseguenze del beccheggio e del rollio, il racconto si sofferma sullo stato di disagio in cui molto spesso, chi è imbarcato, deve sottostare. Tra di essi, Fabio, un volta calata la sera, racconta la storia del gruppo di gru che appollaiati sul Margottini in navigazione verso Augusta, erano rimaste per tutta la notte viaggiando a scrocco. Forse quegli uccelli non pativano il mal di mare al pari dei marinai o i passeggeri della navi Tirrenia. E’ il mare che comanda, una volta salpate le ancore e preso il largo.

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2 commenti

  1. grazie max a nome della pettirosso editore e fratelli Nonnis ..

  2. Giuseppe Luigi Nonnis

    Un commento attento, quello di Alessandro Carta, che ha centrato lo spirito del lavoro svolto da cinque fratelli che hanno avuto sempre, seppure in maniera differente, un profondo rapporto col mare.

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