DONNE UNITE CONTRO LA VIOLENZA: LUISANNA PORCU E “ONDA ROSA” AL CIRCOLO SARDO DI MILANO

ph: Luisanna Porcu


di Sergio Portas

Alla fine io credo che bisognerà vergognarsi, di essere uomini dico, maschi, di come noi maschi ci comportiamo, nei confronti delle donne che la vita ci fa incontrare. Compagne e mogli e fidanzate. Femminicidio è un neologismo che non mi è mai piaciuto, sta a indicare un forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale in maniera da perpetrare nel tempo la subordinazione che ne consegue, fino a conseguenze estreme, schiavitù e morte, ma mi impegno ad usarlo più spesso che posso, a veicolarlo, fino a farne argomento da bar. Perché penso che gli uomini ne debbano parlare tra loro. Di questa deriva di civiltà che li caratterizza in negativo. Tra un: “questo Cagliari continua a perdere in casa” anche un: “questi di Boko Haram che rapiscono più di duecento ragazze di un liceo sono dei miserabili”. E per rimanere in casa nostra: secondo i dati Istat del giugno 2015, in Italia sono 6,8 milioni le donne che hanno subito una violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. L’istituto di statistica pudicamente si scorda di sottolineare che i violenti operanti nel caso sono per la stragrande maggioranza uomini, saranno più o meno di sei milioni, visto che qualche ragazza manesca in giro non manca? Troppi in ogni caso. Persino Matteo nella follia della nuova legge sul lavoro (il famigerato Jobs Act per gli anglofoni nostrani) aveva previsto che l’Inps attuasse un congedo retribuito di tre mesi a favore delle donne vittime di violenza di genere, di oggi 16 aprile la circolare dell’istituto con le istruzioni per le donne che ne faranno richiesta. Dice Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono rosa: “Tre mesi non sono molti per lasciarsi alle spalle il trauma di una violenza subita, ma almeno possono aiutare a intraprendere un percorso per sentirsi vittime e non colpevoli”. Al circolo culturale sardo di Milano c’era anche Luisanna Porcu, presidentessa di “Onda rosa”, 45 anni e da venti è impegnata a Nuoro in questa associazione, di donne, che ha l’obiettivo di far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza maschile sulle donne. Quest’anno il Centro Antiviolenza ha fatto stampare degli adesivi che recitano: “Uscire dalla violenza è possibile…se hai bisogno chiama” Gratuito e Anonimo (per dovere di cronaca: 0784/3883). Debbo dirvi che Luisanna non fa sconti di sorta agli uomini presenti, nessun ammiccamento, del resto ne ha viste così tante di situazioni drammatiche che a mio avviso non può non aver messo su una qualche corazza difensiva, fatta di diffidenza istintiva, nei confronti dei maschi. Nuoro, dice lei, negli anni ’70 è stata culla del femminismo sardo. Da allora che il personale è politico è parola d’ordine che vale, a maggior ragione, anche oggi. Le donne, continua, devono sempre faticare di più. E debbono subire una punizione quotidiana se non fanno quello che vuole il loro uomo, compagno o marito che sia. Una violenza sopratutto psicologica. Ed economica. E’ risaputo, del resto, che i livelli contrattuali anche per un medesimo lavoro sono sempre inferiori se riferiti alle donne. Violenza sessuale non deve sempre essere intesa come stupro.

Frasi tipo: “mi ha dato solo uno schiaffo” oppure “proprio picchiare no”, sottintendono un clima che caratterizza tutta una società che alleva le bimbe a tollerare un certo grado di violenza maschile. Lo squilibrio della società si riflette nel rapporto di coppia. Esistono dei ruoli per cui si viene punite se solo si osa rimetterli in discussione. Nel 2015 a Nuoro l’associazione “Onda rosa” si è presa cura di 333 donne che a lei si sono rivolte, nella sua struttura ha ospitato 40 donne e 38 bambini. Noi non siamo un servizio come le Asl, continua implacabile, abbiamo bisogno di donne che lavorino per noi. E per continuare ci vogliono soldi. Anche se per molte di noi questa è oramai una scelta di vita. Una volta tanto la Sardegna, con la legge regionale del 2008 (Soru imperante) si era messa all’avanguardia nel prevedere dei finanziamenti a queste strutture di accoglienza, peccato che i finanziamenti siano bloccati al 2013. Ci autotassiamo, e chi ci è più vicino ci da una mano, questi adesivi sono da attaccare nei gabinetti pubblici sardi, che il più delle volte le donne maltrattate si vergognano delle violenze subite, anche se non sanno bene come uscire dall’incubo che le sta schiacciando, perché il più delle volte non trovano solidarietà neppure nella famiglia d’origine. Per questo persino la nostra casa d’accoglienza ha un indirizzo segreto, anche se si fa per dire. Le volontarie che vi lavorano non godono del resto della stima di tutti, a mio babbo è stato detto che “sua figlia è una bagassa sfasciafamiglie”. Nella nostra casa abbiamo 5 camere da letto e cinque bagni, 14 posti letto. A tutte quelle che ci chiedono aiuto garantiamo tutto. Lavoriamo con loro perché si arrivi finalmente ad una posizione simmetrica dei generi maschio-femmina. Come si può restare indifferenti di fronte a un problema così significativo, così pregnante, che tocca il vivere di ognuno. E difatti ognuno risponde secondo le sue capacità. Maria Francesca Maniga (MFM per gli amici) e Giuseppe Scalas (in arte Morisca) che di mestiere sono “designer” di tessuti a Cagliari, qui a Milano hanno portato una delle loro creazioni, uno scialle nero ricamato a “filet di Bosa” che vendono alla modica di 25 euro e il cui ricavato va all’associazione di donne nuoresi. Sul fondo dello scialle una schiera di donne variamente acconciate emergono come da una oscurità che impedisce loro una corporeità ben definita, sono qui solo tratteggiate da un filo bianco che pare disegnarle come gesso sottile in una lavagna indeterminata. Una è incinta, un’altra in costume sardo, una terza porta il velo islamico. Sotto di loro una scritta tratteggiata grossa in inglese: “women united against violence”. Molto opportuna perché in primis debbono essere loro, le donne, che si uniscono contro la violenza. I maschi, si spera, seguiranno. Lo scialle di Maria Francesca e Giuseppe si può agevolmente usare anche come velo, e “Inveloveritas” si chiama il loro progetto, nato proprio dal desiderio di esprimere un punto di vista originale sul copricapo femminile dell’abbigliamento tradizionale sardo in ognuna delle sue varianti. Anche il nostro logo nasce da una valutazione culturale, dice Maria Francesca: la nostra t-shirt raffigura una donna nuda di profilo con il capo velato. Un articolo unisex. Ogni velo è decorato a mano e questo rende ogni t-shirt unica, come unico è il modo in cui ogni donna indossa un accessorio e vive la propria vita. Per i poveri continentali che non possono saccheggiare i negozi di Cagliari e di Sassari con l’agio di cui possono godere i sardi c’è naturalmente la magica internet che viene in aiuto con le sue vendite on-line.

Quindi basta digitare “Inveloveritas Etsy.com” per vedersi offrire capi targati: “Nurallao black” o “Orgosolo gray” o “Assemini white”. Come basta chiedere a “Facebook” il catalogo 2015 di “Inveloveritas” per vedersi squadernare tutta una serie di magliette le più variegate possibili, dove ci si può sbizzarrire nel tentare di riconoscere le zone di Sardegna che offrono i loro copricapi tipici a velo delle stilizzate donne a seno nudo che, di profilo, silenti, sono decorate nella stoffa. Paiono in un’attesa che  gli uomini si decidano ad instaurare con   loro  una  vera parità di vita, le mimose fiorite a primavera a ricordare per sempre la vergogna dei tempi bui della sopraffazione.

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