LA TRINCEA DELLA FRASCHE A SAN MARTINO DEL CARSO: LA GUERRA DELLA BRIGATA SASSARI NEI PRIMI MESI DEL 1916


di Dario Dessì

Per i fanti della Brigata Sassari mantenere quelle trincee fu più arduo e oneroso dell’aver combattuto per loro conquista.

Cento anni sono trascorsi da quel primo inverno di guerra, tra la fine del 1915 e i primi mesi del 1916, caratterizzato da condizioni atmosferiche avverse,  che  non furono particolarmente favorevoli alle operazioni belliche condotte dai fanti della Brigata Sassari. Quel settore del Carso, era strenuamente  conteso dai due eserciti contrapposti.; in primis perché  quelle trincee   rappresentavano la base di partenza non solo  per la conquista del campo trincerato di Gorizia, ma anche per la loro ubicazione, fondamentale, in termini di situazioni sia difensive che offensive nella zona del Monte S. Michele  e poi  anche per obbedire  alle direttive di Cadorna, che imponevano ai fanti italiani l’obbligo di esercitare una continua pressione sul nemico nel medio e nel basso Isonzo. Era inoltre importante che certe operazioni, non di vasta portata, condotte  nel periodo invernale, dovessero servire  a mantenere lo spirito aggressivo nelle truppe, altrimenti  impegnate negli interminabili  lavori di sistemazione delle trincee, le quali erano continuamente battute dalle artiglierie nemiche. Pare che ogni mese,  per il ripristino e  la conservazione delle  opere difensive, fossero  impiegati  300 milioni di sacchetti di terra e centomila quintali di calce e di cemento, oltre a  tre milioni e mezzo di metri di filo spinato. In quelle trincee le attività di presidio erano estenuanti, specialmente in certe zone particolarmente  accidentate  e  disagiate, dove le truppe, spossate dalla fatica, aspettavano trepidanti i turni di riposo, che, a volte, tardavano ad arrivare o che  venivano, addirittura,  interrotti, prima del termine dovuto. Le condizioni di vita erano disumane. I soldati, a qualsiasi esercito  appartenessero, erano costretti a vivere nel fango e a soffrire il freddo. Non potevano, inoltre, dedicarsi alla pulizia e all’igiene personale a causa della mancanza dell’acqua. Dissenteria, tifo e malaria erano affezioni tipiche, che i poveri fanti contraevano  usualmente in quelle trincee, dove assieme  alle artriti, ai dolori reumatici ed alle polmoniti, serpeggiavano, sovente, la meningite e le epatiti virali. Talvolta i soldati, costretti a stare in piedi con le gambe nell’acqua fino alle ginocchia, venivano colpiti da un affezione chiamata “Piede di trincea”. Costituiva, inoltre, un continuo  tormento la  presenza di torme  di topi famelici, che, a volte, non esitavano a lanciarsi contro  gli occupanti delle trincee,  oltre a quella  di fastidiosi e dannosi  parassiti di ogni specie, tra i quali i pidocchi.

“Ma  ora arriviamo ai pidocchi. Ohia! Dio ne liberi. Guardi dovunque si sedesse  i pidocchi nelle trincee c’erano a migliaia. Più di quanto le formiche vanno ai  seminatidietro ai contadini. Come  ero arrivato in trincea, le  avevo trovate così forniti di pidocchi. Di notte Dio ne liberi. Cosa facevamo? Eh cosa facevamo!   L’unico rimedio era il grattare! Erano nel vestito e specialmente nella cravatta. La cravatta era proprio  la tana.  Le dico che quando sono arrivato a casa in licenza, c’era  il pranzo pronto (io avevo telegrafato da Cagliari che arrivavo) ma a mia mamma le ho detto che non volevo mangiare, ma che volevo il vestito. Guardi non le dico  quel vestito, la cintola era nera, piena di pidocchi. Per noi i pidocchi erano una cosa normale. Ma  anche gli ufficiali, cosa crede? Tutti uguali di fronte ai pidocchi”.            Da un racconto di Settimio Cauli di Orrolì  (NU), classe 1899,  152° Reggimento.

Quei mesi di guerra furono decisamente  logoranti per i fanti sardi che non si sentivano, per niente,  a loro agio proprio a causa  delle lunghe e tediose  soste in trincea. Dopo le ultime azioni offensive compiute  da alcuni drappelli  della Sassari  nelle ultime notti del primo anno di guerra, i primi due mesi del 1916 trascorsero in un continuo alternarsi tra  la Brigata Sassari e la Brigata Macerata nel presidiare le Trincee delle Frasche e dei Razzi e nel trascorrere  turni di riposo a Campolongo al Torre e ad Armellino (Isola Vicentina).

il 21 di gennaio la brigata  era risalita in linea  e  nonostante le piogge, il freddo e il gelido vento che soffiava  sull’altipiano carsico, i fanti sardi si erano dedicati al consolidamento e al miglioramento  delle linee difensive. All’estrema destra delle trincea delle Frasche c’era un camminamento largo appena 80 cm; non era scavato nel terreno, ma protetto da sacchetti di terra per una quarantina di metri sino ad arrivare a sei metri dalla trincea austriaca.  Era chiamato il Budello e  per turni di quattro giorni  era presidiato da trenta uomini e due ufficiali. Costoro  disponevano di una serie di razzi illuminanti che venivano  lanciati per sollecitare, a seconda del numero,  l’immediato intervento dei medi e dei grossi calibri dell’ artiglieria da campagna. Un battaglione era sempre  pronto ad intervenire per proteggere quel presidio di 32 fanti. Il giorno 25 ci fu un attacco del 2° battaglione del 151°. Altri attacchi  furono tentati fino al 10 febbraio, ma senza alcun esito di rilievo. Dall’11 al 29 febbraio i due reggimenti  scesero a riposo  nelle zone di Campolongo ed Armellino per rientrare in linea   il 1° marzo  con il compito di impossessarsi del Budello delle Frasche, un camminamento che collegava le posizioni italiane con  quelle nemiche. Il giorno prima dell’azione,  programmata  per il  13 marzo, le artiglierie italiane non erano, però, riuscite  a distruggere i reticolati nemici e tantomeno  con  il ricorso ai tubi di gelatina si ottennero i risultati sperati; tutto questo a causa della enorme  estensione in profondità  di quei reticolati.  In alternativa,  la mattina del 14 marzo,  si decise di mettere i tubi di gelatina sotto i reticolati della Tortuosa, una trincea vicina  al Budello. Subito dopo la distruzione delle opere difensive un gruppo di arditi si slanciava nella trincea nemica, riuscendo ad  eliminare la vedetta. Assieme agli arditi era intervenuta   anche la prima compagnia del 152°. L’esplosione di una granata italiana nella trincea causava, però, gravi perdite  e pertanto gli austriaci, accorsi numerosi, si dettero da fare,  ingaggiando una lotta selvaggia con i sopravissuti e con un  gruppo di fanti della 4° compagnia, intervenuti in soccorso degli arditi. Le perdite furono gravissime.  

Dal 9 al 15 marzo 1916 fu combattuta la Quinta  Battaglia dell’Isonzo. Secondo le intenzioni e convinzioni degli Stati Maggiori Alleati, bisognava  far accorrere sul fronte carsico le truppe austriache, impegnate a combattere  a Verdun, sul fronte occidentale,  a fianco delle truppe germaniche. Il 19 marzo, La Sassari, sostituita dalla brigata Padova; si  rischierava  a  nord di Cervignano del Friuli,  alle dipendenze della 19° Divisione, in attesa che fossero rimpiazzate le perdite  con l’arrivo di nuovi complementi. Il 20 aprile la Brigata tornava in linea nelle medesime posizioni, dove rimaneva sino all’8 maggio, quando si recava   nuovamente a riposo a Campolongo al Torre e ad  Aiello. Tra i fanti incominciava a serpeggiare la voce che la brigata non sarebbe più ritornata a presidiare le trincee carsiche. Il 27 aprile, intanto,  una granata nemica, esplodendo  in una baracca della tenuta di Castelnuovo, aveva causato  un’altra  grave  perdita nelle file della Brigata: (21 morti e 22 feriti); quei poveri  fanti colpiti, mentre erano intenti a consumare il rancio, appartenevano alla 9° compagnia. Nei pressi della villa di Castelnuovo, ospitante il comando della 25° divisione, da cui dipendevala Brigata Sassari,  esisteva  un vero e proprio villaggio di guerra e diverse postazioni d’ artiglieria erano state  allestite in preparazione delle future offensive. Le linee contrapposte dei due eserciti erano situate poco oltre la villa, la quale  era diventata un luogo di smistamento, ricovero ed ammassamento truppe, oltre a disporre di un posto di medicazione.

Carso 1916

In su carsicu nostru altipianu

Chi de sambene Sardu est cunsagradu.

Contra de custu esercitu, inumanu

Totu po bois hamos supportadu,

Ca su bonu soldadu sardinianu

Hat patria e familia sempre amadu

Cun affettu sinzeru e uguale

Po cale hat una fama universale.

 

De sa brigada Sarda ogni meritu

Sunt prodigios ch’esaltant dogni coro,

ch’hat gloriosas paginas iscrittu

In su monte Cappucciu a versos d’oro

Sardigna! Totu curlu han’a s’invitu

Sos fizos tuos cun s’ardire insoro.

Esulta e canta su dolore iscazza

Sarda risuscitada inclita razza.

                                                                            Da Paginas eroicas di  Gavinu Ruggiu 

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Un commento

  1. Alfred De Stephanis

    Mio padre (Angiolino, classe 1895) era nel 121 ° reggimento (Macerata) e così si alternò con la Brigata Sassari nelle trincee vicino a Castelnuovo e dietro le linee di Campolongo e Armelino. Era arrivato per la prima volta nella zona di guerra nel dicembre del 1915. Questa era la sua prima azione. Nato e vissuto a Mutignano, in Abruzzo, fino ad emigrare negli Stati Uniti nel 1921. Onore a tutti!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *