TRE NOTE IN RICORDO DI BRUNO TRENTIN (1926-2007), A MARGINE DEL CONVEGNO “DUE PADRI DELLA PATRIA: EMILIO LUSSU, SILVIO TRENTIN” SVOLTOSI A SAN DONA’ DI PIAVE


di Paolo Pulina

Tra gli Enti organizzatori del convegno “Due padri della patria: Emilio Lussu, Silvio Trentin”, tenutosi a San Donà di Piave (Venezia) il 16 aprile 2016,  non poteva non figurare il Centro Documentazione e Ricerca Silvio/Beppa/Giorgio/Franca/Bruno Trentin.

Come risulta dalla denominazione, il Centro non è intitolato solo a Silvio Trentin  (1885-1944) ma anche alla moglie Beppa Nardari (1892-1967) e ai loro figli Giorgio (1917-2013), Franca (1919- 2010) e Bruno (1926-2007).

Quest’ultimo era nato in Francia durante l’esilio della famiglia ai tempi del fascismo. Emilio Lussu, come altri antifascisti “fuoriusciti” godette non solo dell’ospitalità, dell’amicizia ma anche dell’appoggio materiale dei Trentin.

Emilio Lussu testimonia: Bruno Trentin, a 6-7 anni, non era proprio un alunno modello 

Come ha raccontato Renato D’Agostini, in un articolo apparso  nel sito della  rivista della CGIL “Rassegna Sindacale” subito dopo la morte di Bruno Trentin (avvenuta a Roma il 23 agosto 2007), dobbiamo  ad Emilio Lussu, fra i tanti riferiti alla famiglia Trentin,  anche questo gustoso ricordo del piccolo Bruno: «Un giorno ad Auch, in Guascogna, dove la famiglia viveva nei primi anni ’30 del Novecento, Emilio Lussu accompagnò la madre Beppa a prenderlo a scuola: “Bruno (aveva 6-7 anni), un po’ imbarazzato, disse alla madre che per una serie di fatti particolari di cui non ricordo più la natura, era stato il terz’ultimo della classe. La madre ne rimase sorpresa, perché un fatto simile non era mai accaduto, e anche addolorata, non solo per se stessa ma per la reazione che ne avrebbe avuto il padre. Il ragazzo si adoperò per confortarla, pregandola di pensare ai genitori di un suo compagno, che, poveretto, era stato l’ultimo. Quando la signora Beppa ne informò il marito, ripetendo scrupolosamente, seria e protettiva, le giustificazioni del figlio, Trentin (Silvio, il padre) esplose in una lunga risata».

Emilio Lussu testimonia: Bruno Trentin, a 19 anni, era un audace capo partigiano 

Emilio Lussu, in una lettera dell’11 maggio 1945 alla sorella di Bruno, Franca Trentin, lo definisce come «uno dei più audaci capi dell’insurrezione di Milano. […] È stato semplicemente magnifico e ha rischiato mille volte: gli hanno sparato addosso in tante occasioni e si è sempre salvato. Egli ha in modo luminoso tenuto alto il nome dei Trentin». E in un’altra del 6 giugno: «Capo delle squadre giovanili all’insurrezione di Milano, comandava oltre 2.000 uomini. Ora fa dei comizi nelle fabbriche con successi strepitosi! Se l’è cavata per miracolo. In una spedizione, sullo stesso camion sono morti 8 suoi giovani compagni presi di mira dai fascisti che vi lanciavano bombe. Si è salvato solo lui e lo chauffeur. Ha avuto anche altre avventure del genere. Insomma, è in vita. Ed è ben orgoglioso di portare il nome di Trentin».

Bruno Trentin, nato a Pavie (Francia), non a Pavia; laureato a Padova non a Pavia

Alla morte di Bruno Trentin (23 agosto 2007), i maggiori quotidiani italiani pubblicarono un’ampia scheda sulla vita dell’illustre sindacalista con alcuni dati biografici iniziali praticamente identici dall’una all’altra testata.  Ecco il “Corriere della Sera”: «Il padre Silvio, ricco proprietario terriero, docente di diritto amministrativo e deputato antifascista, nel 1925 aveva venduto tutto e si era rifugiato in Francia per non sottostare al regime. Qui Bruno era nato il 9 dicembre del 1926, a Pavie. E in Francia si forma e segue le orme del padre impegnandosi nella resistenza contro i tedeschi prima a Tolosa e poi, dal 1943, in Veneto come comandante di una brigata partigiana di Giustizia e Libertà. Finita la guerra, Trentin si laurea in Giurisprudenza a Pavia e perfeziona gli studi ad Harvard».

Secondo questa non controllata informazione risulterebbe  che una figura di valore nazionale, come indubbiamente è stata quella dell’ex segretario generale della CGIL, ha seguito i corsi dell’Università di Pavia. Una voce fuori del coro è quella di Bruno Ugolini, firma prestigiosa de “l’Unità”, il quale invece scrive: «Trentin nasce in Francia a Pavie, vicino a Tolosa, nella regione della Guascogna, il 18 dicembre del 1926. […] Si laurea in giurisprudenza all’Università di Padova con Norberto Bobbio e vince una borsa di studio ad Harvard».

Per chiarire il dubbio, mi rivolsi ad Ugolini, che mi rispose di aver attinto le notizie da biografie ufficiali provenienti dalla cgil. E in effetti ha ragione Ugolini (ma non sul giorno di nascita, che è il 9 e non il 18 dicembre): me ne diede conferma l’efficientissima struttura informativa dell’Università di Padova (ufficio stampa e Centro per la storia dell’Università). Trentin si era iscritto nel 1943 alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo padovano  e vi si era laureato nel 1949 con una tesi dal titolo “La funzione del giudizio di equità nella crisi giuridica contemporanea”.

Tornando ai dati biografici di Trentin, nei lettori c’è sicuramente la curiosità  di saperne di più su questa località francese di Pavie, omonima di Pavia. Il sito Internet ufficiale informa: «È nel 1281 che questa piccola città fu costruita nel quadro del notevole movimento che ha visto la creazione di numerosissime bastie (piccole fortezze di forma quadra) nel sud-ovest della Francia. Essa ha preso il nome dalla città italiana di Pavia, celebre e fiorente in quell’epoca».

Il piccolo paese di Pavie è situato nel Dipartimento dello Gers, nella regione Midi-Pyrénées. Si trova a 3 km da Auch e a 81 km da Tolosa. Ho scritto Tolosa e non Toulouse perché, secondo l’uso, viene spontaneo italianizzare i nomi dei più conosciuti centri francesi. Certo, l’italianizzazione di Pavie crea qualche ambiguità: alcuni giornali hanno dovuto precisare in questo modo: «Bruno Trentin, nato a Pavia (Francia), […] laureato nell’Università di Pavia».

Il titolo di un romanzo, pubblicato nel 1992, dello scrittore e uomo politico Parfait Jans (nato nel 1926 in Francia, a Levallois-Perret, nella regione parigina, da genitori originari della Valle d’Aosta, regione della quale vorrebbe conservare la tradizione francofona e, se possibile, l’appartenenza alla Francia), suona così: De Pavie à Coursil. Vi si parla degli immigrati valdostani a Coursil, un immaginario (solo nella denominazione) comune della regione parigina, nel quale opera un sindaco poco scrupoloso in materia di affari immobiliari. La Pavie evocata nel titolo non è il piccolo paese francese dove era nato Trentin ma proprio l’italiana Pavia, città che anche i manuali di storia in Francia non possono ignorare perché vi si svolse la famosa battaglia del 24 febbraio 1525 tra gli eserciti di Carlo V e di Francesco I.

Ecco a che proposito viene ricordata Pavia. Uno dei personaggi del romanzo, Hugues Figeac, nel corso di un incontro, chiama in causa il valore dei propri antenati: «Il primo ad essere passato in rassegna fu il prode Louis Pastor, che si beccò un’alabarda destinata al cavallo del re guerriero nei pressi di Pavia e che morì dopo aver rotto la sua nel petto di un austriaco. Era normale che fosse citato per primo: la famiglia gli era debitrice del titolo nobiliare!».

In un altro punto del racconto, la signorina Figeac, «seguendo le orme del suo antenato, Louis Pastor, si apprestava a condurre una battaglia altrettanto pericolosa di quella svoltasi vicino a Pavia. Questa volta il suo principe non si sarebbe lasciato catturare dal nemico, come era successo al buon re Francesco i».   

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