STORIE E MISFATTI DEL TEATRO IN SARDEGNA: INTERVISTA A MARIO FATICONI, AUTORE DEL LIBRO “UN DELITTO FATTO BENE”

ph: Mario Faticoni


di Mario Salis

Il 27 Marzo ricorreva la giornata mondiale del teatro, celebrata nella più grande indifferenza. È il destino che lo pervade tra fatiche, insuccessi, critiche ingenerose e indimenticabili interpretazioni. Impresari delusi, spettatori insoddisfatti e attori esausti ma non rassegnati, perché il teatro ha sempre la forza di ricominciare. Non è stato diverso neppure nella nostra isola. C’era il bisogno di uscire dai luoghi comuni, dagli insospettabili giudizi per conoscere la sua storia in Sardegna. Il libro di Mario Faticoni: Un delitto fatto bene cinquant’anni di teatro in Sardegna, storie protagonisti e misfatti, colma questa lacuna. Un’edizione corposa ed elegante per i tipi di Carlo Delfino editore. Oltre 300 pagine, più di mille nomi citati, quasi 300 tra opere e compagnie. Nutrito pure l’indice dei luoghi e dell’editoria come la rassegna fotografica. Cinquantacinque anni di vita teatrale, comunque non segnano il bilancio definitivo di un attore ancora nella scena. Nessuno penserebbe, come scrive Vito Biolchini, che sono realmente successe tutte queste cose. Eppure è andata proprio così. Come il primato delle trecento repliche di Su Connottu della Cooperativa Teatro Sardegna. Intere comunità ad assistere la loro storia sul palcoscenico. Memorabile ad Orani. Perché, come dice qualcuno, «se c’è scritto vuol dire che è vero». Compiere una sintesi della pubblicazione non è facile, date, luoghi, vicende travagliate, esaltanti. Rendono però la sua lettura avvincente come testimonia lo stesso titolo intrigante. Una sorta di anteprima ad Oristano, presso il Centro Servizi Culturali, nel corso della sua presentazione attraverso le domande del giornalista Ottavio Olita e l’introduzione visiva di Aldo Brigaglia, che si è avvalsa come il libro di una ricca documentazione fotografica. Un riconoscimento importante che segna un significativo traguardo: la dichiarazione di interesse storico dell’archivio Mario Faticoni, Teatro dell’Arco, Il Crogiolo, intrapresa a settembre dalla Soprintendenza della Sardegna, in corso di perfezionamento. Il teatro fa incontrare le persone, come diceva Paolo Grassi nel 1946, che con Giorgio Strehler un anno dopo darà vita al Piccolo di Milano. Fra le arti per sua natura è la più idonea a parlare al cuore, alla sensibilità collettiva. Non la pensavano diversamente Artur Miller, Pablo Neruda, Luchino Visconti, Eugene Jonesco. Cosa rappresenta oggi il teatro? Pregiati palchi ottocenteschi, eleganti e comode poltroncine, la perfetta acustica delle pareti, di rimando la dizione perfetta dei protagonisti. Oppure interminabili cantieri di lavoro, come è accaduto per oltre un ventennio a quello di Cagliari. Il fascino del teatro è che si può parlare di tutto. Così è sempre stato. Invero un rapporto non proprio idilliaco col potere. Se oggi le compagnie hanno difficoltà ad incontrare spazi, a reperire risorse sempre più esigue, nel Rinascimento il potere faticava a far tacere chi lo insidiava con ironia e sarcasmo, poiché il pubblico non mancava a godersi lo spettacolo. Le cose non andarono diversamente a Roma con l’esodo forzoso dei commedianti. Accusati di oltraggio alla città santa, come la vicenda del teatro di Tordinova chiuso per il maggior numero di rappresentazioni oscene. Ai tempi della Controriforma e del Cardinale Carlo Borromeo non trovò miglior sorte, con la separazione tra arte come educazione spirituale ed il teatro manifestazione del profano e della vanità. Per assurdo sarebbe auspicabile una diaspora dei tempi moderni. Anche più relativamente di recente, quando si faceva sul serio, non mancarono memorabili stroncature e censure intransigenti. Nel 1969 l’Unione Sarda di Fabio Maria Crivelli saluta l’esordio al Teatro Massimo di “Omobono e gli incendiari” con un titolo edificante ma senza appello: molto fumo e poco fuoco. Non si andò per il sottile qualche mese più tardi con Woyzeck di Georg B?cner messo in scena dal Centro di iniziativa teatrale e destinatario dell’ordinanza di sequestro del pretore. Ipotizzando il reato di vilipendio della religione anche per l’autore, morto esule a Zurigo a soli 24 anni nel 1837. La vicenda non condiziona il successo, tutt’altro, se ne parlerà su tutti giornali della penisola, lo stesso Moravia. Oggi può accadere che prima di entrare in sala ti offrono una cuffia perché si recita con il microfono binaurale, che evoca il suono tridimensionale dove l’attore può sussurrare a voce bassa. La tentazione, ma improbabile, è di accreditare la novità alla globalizzazione o forse è meglio udire il passo dei protagonisti sulle tavole polverose del palcoscenico e la voce impostata degli attori forte e chiara. A febbraio scorso il Ministro Franceschini a conclusione dell’accordo con l’Agis, ha preannunciato per il 22 ottobre La giornata del teatro, con eventi la mattina, il pomeriggio e la sera. Interessate tutte le strutture pubbliche e private, comprese fondazioni liriche e teatri di tradizione. “Sarà una grande festa” – “Ogni anno una grande festa del teatro”. Ha scritto su Twitter il ministro Franceschini. Come dubitarne! In chiusura Mario Faticoni dopo una vita dedicata al teatro, si chiede se ne è valsa la pena. Certo se da una parte il problema degli spazi in qualche modo è in via di soluzione non può altrettanto dirsi per le risorse. La Regione Sardegna gode in bilancio degli stessi stanziamenti presso le maggiori città italiane. Manca una loro regolamentazione che con qualche pausa non si discosta dalla legge nazionale del 1950. Eccezione: qualche assessore illuminato che pagò con la sua mancata rielezione e la ripresa dei finanziamenti a pioggia nemici giurati della qualità. E gli intellettuali stanno a guardare scriveva Faticoni su “Spettacolo” nel 1981 e se il distacco ha provocato vittime e danni, si potrebbe parlare più di colpa grave che di negligenza. Insomma un delitto, fatto bene. Quasi perfetto! Ne vale la pena di leggerlo, come i noir fino all’ultima pagina.

Un libro di memorie, la storia del teatro in Sardegna. Cosa ha scelto invece di non raccontare? Il mio personale. Non è poco: il teatro mi ha tolto la vita. Quel groviglio lo racconto forse in un altro libro.

Nel vostro ambiente non mancano le cattiverie ci si abbraccia in scena, appena un saluto in camerino. Poteva essere più sincero o ha preferito non parlarne? Cattiverie mie ad altri no. Grosse, dagli altri a me, nemmeno. Vittima di criminali innocenti, cioè ignoranti, questo sì.

Cinquantacinque anni di vita teatrale. I tempi sono maturi per un bilancio? Non dovevo fare teatro. Dovevo fare musica o scrittura. Ma il teatro era più facile. Sono stato un fifone.

Nella sua vita professionale un attore deve rischiare, essere più prudente o un autentico incosciente? Ho rischiato, ma mai il collo. Solo Parigi, la Cappella Sistina, l’amore, e un po’ di soldi. Ma insomma, ci sono ancora.

Gli applausi, gli insuccessi, quali sono più importanti? Per un tenerino come me, gli applausi. D’altra parte ci sono solo quelli, la critica manca.

Se il pubblico ha sempre ragione, i critici teatrali? Vedi sopra. Il pubblico non sempre ha ragione, ma dà calore. 

Il distacco tra intellettuali e cultura. Negligenza, colpa grave o un delitto fatto bene? Negligenza. Ignoranza. Nessuno ha avuto la statura dell’assassino. Sono quelli che hanno fatto di Cagliari un ristorante a cielo aperto, Brent City, ancora più grande ora, con il nuovo Largo Vittorio Emanuele.

Il teatro sardo di ieri e di oggi, che particolarità può vantare nel panorama nazionale? La freschezza di tutte le passioni fondative. E, per quanto mi riguarda, due “prime” nazionali di Harold Pinter e opere di Rilke e Henry Miller.

Giornalisti, opinionisti, cantanti, salgono con facilità sul palcoscenico, e lo chiamano teatro. Il teatro è sempre un’altra cosa? Sì, teatro è un’altra cosa. E’ arte. Da tempo scarseggia sui nostri palcoscenici.

La globalizzazione spesso è una frase fatta, nel teatro una parola sconosciuta? Sconosciuta, per fortuna. Evviva la specificità culturale, la produttività capillare sul territorio, i piccoli fuochi cari a Grotowski.

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