DICONO CHE DOMANI CI SARA’ LA GUERRA: NEL LIBRO DI FRANCO ARBA, LA FOLLIA UMANA DEVASTANTE CHE NON SI RIESCE ANCORA AD ESTIRPARE

ph: Franco Arba


di Sergio Portas

Come spesso accade un libro fa da apripista, va per sentieri di conoscenza che segnano le foreste del nostro non sapere e quando si pensa di percorrerne uno conosciuto, in realtà, tenendo ferma la metafora, ci si tira dietro innumerevoli fili di ragno che in detta selva da sempre tessono le loro tele a caccia d’insetti. E allora accade che si privilegi magari di seguirne uno di questi fili, lasciando il percorso più battuto, per magari ritrovarlo dopo un giro largo che intanto ti ha fatto scoprire la dolcezza di certe more e il profumo della resina di certi pini. Il libro questa volta l’ha scritto Franco Arba, babbo carabiniere itinerante  per caserme sarde, come di regola, lo fa nascere a Bortigali (nel ’66) ma poi fin dai suoi cinque anni sono a Serramanna con mamma e altri cinque tra fratelli e sorelle. Si intitola: “Dicono che domani ci sarà la guerra”, LiberAria edit. 2015. Per presentarlo a Milano, libreria Mio Libro, piccola e decentrata, si porta dietro un calibro da novanta della cultura, che verrebbe da dire lombarda (è nato a Monza nel ’63) ma Davide Sapienza è davvero un cittadino del mondo, anzi lui è proprio uomo capace di abitare tutta la Terra ( la maiuscola non è un errore). E di scriverne con riconosciuta maestria. “La valle di Ognidove”, “La musica della neve”, “La strada era l’acqua”, “I diari di Rubha Hunish” e ancora “Camminando”, tutti libri che si sono voluti scrivere da sé medesimi, mentre l’autore percorre, rigorosamente a piedi, angoli sperduti e non del nostro pianeta. E’ scrittore Davide, traduttore anche: praticamente tutto Jack London (con Il Richiamo di Zanna Bianca calca anche i teatri insieme a Franco Garolfi), da “ Martin Eden” a “Le avventure di Gordon Pym” e tutto il ciclo di quel lupo che volle essere cane, vivere assieme agli uomini della frontiera, e risponde al mitico nome di “Zanna bianca”. Ma qual’è il filo di ragno che li ha fatti incastrare questi due? La musica e l’amore degli U2. Gli è che Sapienza, verrebbe da dire da giovane, ha percorso e naturalmente scritto, un’altra sterminata produzione riguardante la musica rock (ha collaborato per dieci anni con Arcana editrice), suoi libri di grande successo su Neil Young, Frank Zappa, Jimi Hendrix e Nirvana e Simple Minds, ma sopratutti gli U2. Di questa storica “band” irlandese, vale la pena ricordare che ha venduto qualcosa come 150 milioni di dischi in carriera e ricevuto 22 Grammy Award, ma anche che i suoi quattro componenti si sono sempre contraddistinti per il continuo richiamo  alla “questione irlandese” e al tema dei diritti civili. “Nell’ ’89 ero a Londra, dice Franco Arba, ero grande fan degli U2,e volevo informazioni su una “fanzine” di Davide Sapienza, il termine mette insieme “magazine”, rivista, e “fan”, fanatico appassionato, lì l’ho conosciuto, attraverso i suoi scritti. Tornato in Sardegna, sei anni fa ero in cassa integrazione, e poiché non so piantare neanche un chiodo alla parete ho ripreso in mano un romanzo breve (appena otto pagine) ambientato a Serramanna ai nostri giorni, e ne è venuto fuori questo libro.  Nel frattempo mi sono laureato in Storia. Quando il libro è stato pubblicato, attraverso Facebook, ho contattato la moglie di Davide, Cristina Donà ( nasce a Rho nel ’67, su Wikipedia ha un curriculum lungo così come cantatrice e polistrumentista, una discografia che comincia nel ’97 con “Tregua” e finisce nel 2014 con “Così vicini”, una decina di singoli, innumerevoli le collaborazioni con artisti di fama nazionale e internazionale). Il libro le è piaciuto e quando si è pensato di sbarcare anche a Milano, loro due si sono detti disponibili a darmi una mano”. Anche perché nel 2008 Davide, insieme a Enrico Verra e Francesca Zanza, aveva fatto un “corto” di 48 minuti, bianco e nero di pellicola a titolo: “Scemi di guerra, la follia nelle trincee”. “In esso un tema che non è mai interamente sottolineato quanto meriterebbe: l’enorme diffusione della malattia mentale tra i combattenti. Attraverso i diari, le lettere, le cartelle cliniche, i filmati d’epoca, le testimonianze di storici autorevoli, Scemi di guerra accompagna lo spettatore in un “labirinto di follia”: il viaggio, spesso senza ritorno, dei soldati impazziti sul campo di battaglia…i bombardamenti che precedono gli assalti possono durare giorni interi e lo stress per i soldati diventa insopportabile. Non possono muoversi, si accucciano in fosse malsane e infestate di topi e immondizie… sui campi di battaglia inizia una lotta parallela, sotterranea e non meno devastante: quella tra la psiche dei combattenti e la macchina bellica schiacciante. Così la prima “guerra totale” della storia genera un’ennesima conseguenza drammatica: la malattia mentale diviene un fenomeno di massa…Nel corso della guerra, negli ospedali delle retrovie e nelle cliniche dell’interno, affluiscono malati incapaci di muoversi, di ricordare, di comunicare, afflitti da incubi notturni. La psichiatria è impreparata e rapidamente si trasforma in braccio disciplinare dell’esercito: i medici devono restituire velocemente gli uomini al servizio militare, preoccupandosi solo di soffocare i sintomi. Si diffonde ovunque  l’utilizzo di terapie dolorose, in primo luogo il trattamento con la corrente (leggi elettroshock, n.d.r.)…filmati scientifici girati dagli psichiatri nelle cliniche: sequenze scioccanti e rare che ritraggono soldati seminudi costretti a vagare nei cortili, nei corridoi degli ospedali e filmati delle sedute di applicazione della corrente…Sono soldati a lungo dimenticati dalla Storia, che la tradizione popolare ha chiamato gli scemi di guerra”. (copio direttamente dalla presentazione del film su internet). Dice Davide che le lettere scambiate dai combattenti raggiunsero i sette miliardi. Franco Arba nel suo libro manda Enrico, il suo protagonista, a fare la guerra convinto che sia stato un sardo “tale Gavino” a far scoppiare il conflitto ( si chiamava in realtà Gavrilo Princip), lui come molti altri del resto, per rimanere vivo impara presto ad uccidere, è un buon tiratore. In guerra trova altri sardi, nella Brigata famosa, un Capitano col pizzetto, non c’è bisogno di dargli un nome. Non ne esce comunque traumatizzato, psicologicamente. “Il libro trova un suo equilibrio tra creatività e idea. Con intrecci tra i protagonisti che vanno al di là della guerra. E’ una storia d’amore con una lei, Paska, che ha modo di crescere con un’educazione diversa (il padre è livornese, terra d’anarchia). Lui è implicato nella storia del Partito sardo d’azione, e qui di nuovo il Capitano di prima, ci si muove tra Arbus ( e il mare di Scivu) e Serramanna, nel ’18 il suo famoso campanile è ancora mezzo diroccato, c’è anche la parentesi di Fiume con il D’Annunzio nazionale che mette in atto la farsa legionaria a cui tanto si ispirerà Mussolini per i riti fondanti delle sue “camice nere”. E c’è la storia del fascismo in Sardegna. Qualche frase in sardo, senza traduzione, tipo: “Bai ‘e pigàdidda in cussu logu”, evito di tradurre anche io.I due protagonisti dell’evento odierno sono ambedue fisicamente imponenti, due veri e propri marcantoni, Franco Arba con un pizzetto alla “Lussu” non so quanto voluto. Davide Sapienza con barba brizzolata alla “babbu mannu”, ambedue dicono della guerra, di ogni guerra, quello che pensano da sempre i poeti: una follia umana. Che non si riesce a estirpare dall’umanità. Ci si riuscirà quando tutti gli umani riconosceranno essere figli di un’unica terra, la Pachamama degli Inca, la madre terra dei Siux, come ha cantato e scritto John Trudell, scomparso nello scorso dicembre: poeta, attore, cantante e attivista per le minoranze native americane. Un altro grande amico di Davide Sapienza. 

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