VANESSA MELE, NUORESE CRIMINOLOGA A LIVERPOOL IN NOME DELLA MADRE: “AVEVO SEI ANNI QUANDO PAPA’ LA UCCISE”

ph: Vanessa Mele


di Giusi Fasano

C’era una volta una bambina di sei anni, si chiamava Vanessa Cardia e viveva a Nuoro. Un giorno suo padre Pier Paolo, un omone che faceva la guardia forestale, prese dalla fondina la sua calibro 9 d’ordinanza e sparò a sua moglie Anna Maria, la madre di Vanessa. Un colpo solo «a diretto contatto con il cuoio capelluto e dall’esito letale», scrissero i giudici, mentre la bambina giocava nella stanza accanto. Era il 3 dicembre del 1998.

Oggi Vanessa porta il cognome della madre (Mele), ha 23 anni, vive a Liverpool ed è una criminologa, omaggio alla storia della sua vita e a una mamma che ha sempre vissuto più nei racconti degli altri e nelle carte giudiziarie che nei suoi ricordi.

«Preferirei non parlare di quel giorno» dice lei che adesso sta seguendo un master in criminologia. Il futuro? «Quello che mi piacerebbe fare è lavorare nel settore criminal justice, cercare di aiutare persone che sono state nella mia situazione a capire che si può andare avanti».

È la sua parola chiave, «avanti». È stata la parola chiave di quella bambina, diciassette anni fa. Dopo il delitto suo padre la prese per mano, la portò dai nonni e chiamò il 112: «Venite a prendermi, ho ammazzato mia moglie». Vanessa andò a vivere con gli zii materni e imparò in fretta a guardare avanti, appunto. «Devo dire che sono stata una bambina felice» racconta la sua voce allegra. «A parte quel fatto, della mia infanzia conservo soltanto ricordi belli, è come se quelli brutti li avessi cancellati. Non mi è mai mancato nulla e la mia famiglia è stata quella che mi ha cresciuto. Io chiamo mamma e babbo i miei zii, è giusto così».

Nel Regno Unito Vanessa arrivò nel 2011. Prima tappa in Galles per la laurea e ora a Liverpool per il master. «Per la parte pratica del corso ho scelto di fare volontariato in un centro di aiuto per donne che avevano lasciato una situazione di violenza e cercavano di costruirsi una nuova vita… Mi interessa indagare sui meccanismi che creano certe situazioni, sulla vittima che non ha colpa, sul perché succede questo o quello. Dovrei presentare entro quest’anno il mio progetto di ricerca, poi vedrò di lavorare con le vittime, da assistente sociale, o in carcere, con chi commette i reati. Per decidere questo passaggio non sono ancora pronta…».

Che una criminologa si ritrovi davanti a un carnefice, che studi le sue azioni è la norma, Vanessa lo sa bene. Ma per suo padre questo non vale. «Aveva provato a contattarmi, anni fa, con una email che nel suo linguaggio voleva essere un messaggio di pace. Mi scriveva di aver saputo che ero fuori dall’Italia, che ne era contento e che voleva conoscermi. Gli ho risposto che non ero interessata e che non volevo avere niente a che fare con lui». Il senso era: per me non esisti, lasciami in pace.

Pier Paolo Cardia ha passato in cella pochissimi anni. Rito abbreviato, indulto, sconti, lo hanno «premiato» con la libertà dopo nemmeno dieci anni dei 14 e otto mesi ai quali era stato condannato.

«Appena ho compiuto 18 anni mi sono liberata del suo cognome e ho preso quello di mia madre — racconta Vanessa —. Ricordo che in quel periodo ero scioccata da quell’altra cosa che ha fatto…». Era successo che, appena tornato in libertà, Cardia aveva chiesto e ottenuto la pensione di reversibilità della moglie uccisa. «Sono rimasta sconvolta, ancora adesso non mi spiego perché l’ha fatto. Io non gli ho mai fatto nulla, quella era l’unica mia fonte di reddito…».

Vanessa era all’estero per un anno di studio. Le regole delle associazioni che avevano permesso quell’esperienza erano: nessun rientro a casa e nessuna visita dall’Italia. «Mi chiamò il babbo e Annamaria Busia, la mia avvocatessa. Mi dissero: devi tornare, non possiamo dargliela vinta. Ho mobilitato mezza Europa, ho convinto le associazioni a darmi quattro giorni per tornare e denunciare quello scandalo. Alla fine ce l’abbiamo fatta. Partendo dal mio caso hanno modificato la legge, la regola è cambiata, il diritto alla reversibilità è caduto».

Il capitolo «padre» per Vanessa sarebbe chiuso se non fosse ancora aperta la causa civile per la proprietà della casa, quella del delitto, vuota dal 3 dicembre del 1998. Lui la vorrebbe, insiste. Lei non ha intenzione di cedere. E, per un’assurdità che solo la burocrazia può produrre, l’altro giorno ha ricevuto una cartella esattoriale da Equitalia: vogliono da lei i soldi per le tasse su quella casa non pagate negli anni. Ma Vanessa non è tipo da arrendersi davanti a una cartella. Guarda avanti, ancora una volta. Se ci sarà da cambiare un’altra regola, si farà.

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