URANIO IMPOVERITO, LO STATO RISARCISCE LA VEDOVA DEL PARA’: GIUSTIZIA DOPO 15 ANNI DI PORTE IN FACCIA


di Maria Meini

Aveva 31 anni e una bimba in terza elementare Giovanna Soria quando suo marito morì. Il 19 novembre del 2000. Erano passati solo 40 giorni dal ricovero in ospedale. Ma i primi sintomi della malattia si erano manifestati subito al suo rientro dall’ultima missione in Bosnia, nel febbraio dello stesso anno. Ricoverato d’urgenza al Santa Chiara di Pisa, gli viene diagnosticato un tumore al colon in fase avanzata. Viene operato, seguono visite e terapie mediche. Tutto inutile. Pasquale Cinelli, maresciallo maggiore dei carabinieri paracadutisti del Battaglione scelto Tuscania, di stanza alla Vannucci di Livorno, di anni ne aveva solo 41, ma era già un veterano, con un lungo curriculum di missioni in giro per il mondo.

Era tornato da poco dal Kosovo, dove era impegnato in un peace-keeping. 15 anni dopo il Tribunale di Firenze ha stabilito che il maresciallo Cinelli è una vittima dell’uranio impoverito e ha condannato lo Stato a risarcire la sua famiglia . Di sentenze sull’uranio impoverito ce ne sono molte altre, ma quella del 12 gennaio è la prima che riguarda militari del Tuscania.

Giovanna Soria è al lavoro nel suo negozio di parrucchiera sulla vecchia Aurelia a Rosignano Solvay, come ogni giorno da 22 anni. «Cosa provo? Dopo 15 anni finalmente è stata fatta giustizia per mio marito. Sono stati 15 anni di tribolazioni per me e mia figlia Jessica. 15 anni di porte sbattute in faccia, di alte cariche dello Stato che ci hanno sempre ostacolato». Giovanna Soria la sua battaglia legale la porta avanti dal 2001 con l’Osservatorio militare. Insieme a sua figlia, che ora ha 24 anni e studia ingegneria all’Università di Pisa.

«Quando è morto mio marito nostra figlia Jessica aveva nove anni – dice – Eravamo sole a Rosignano, le nostre famiglie vivono in Calabria, a Paola. Noi ci eravamo stabiliti qui subito dopo il matrimonio nell’88. Ci conoscevamo fin da ragazzi. Pasquale aveva scelto la carriera militare ed era entrato nei carabinieri paracadutisti giovanissimo, e io l’ho seguito».

Pasquale Cinelli ha partecipato a missioni internazionali di pace in Somalia, Libano, Bosnia Herzegovina, Albania negli anni 80 e 90. In Somalia e Bosnia l’Osservatorio militare parla di uso massiccio di uranio impoverito, senza che i militari ne fossero a conoscenza. «Quando tornò dall’ultima missione in Bosnia – racconta la moglie Giovanna – Pasquale cominciò ad avere dolori allo stomaco, fu ricoverato d’urgenza all’ospedale Santa Chiara. La diagnosi fu subito terribile, tumore con metastasi, anche se esternamente era una roccia. La mia battaglia per mio marito e mia figlia che è rimasta senza padre da bambina è perché gli sia riconosciuta una giustizia giusta. E perché i militari non siano considerati numeri, quando vanno in missione di pace devono essere tutelati dallo Stato. Invece è ancora un crescendo di questi casi: sono migliaia i militari morti. Negli ultimi venti giorni altri quattro giovani dell’aeronautica, anche loro erano stati nei Balcani».

Giovanna Soria e Pasquale Cinelli sono entrambi calabresi, di Paola. Ma ormai Giovanna si sente parte della comunità di Rosignano. «Col sindaco Alessandro Franchi ho parlato tante volte del caso di mio marito – dice – il sindaco era d’accordo ad intitolargli una strada; spero che ora, con questa sentenza, sia possibile farlo».

Ieri Giovanna ha scritto una dedica al marito sul suo profilo Facebook: “Folgore, Folgore, Folgore. Tutto per te Pasquale, Amore mio”. E tanti amici hanno voluto manifestarle la loro soddisfazione per la sentenza.

«Quando Pasquale è morto – dice ancora la vedova – mi ha aiutato la mia famiglia, mio fratello e mia sorella venivano a Rosignano dalla Calabria. E quando ho intrapreso la mia battaglia legale con la morte nel cuore l’argomento era tabù, ho trovato tante porte chiuse, e ancora oggi chi dovrebbe tutelarci cerca di deviare. Ma per fortuna accanto a me ho avuto Domenico Leggiero, dell’Osservatorio militare, e l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia. Se non fosse stato per loro, per la loro competenza, non sarei potuta andare avanti e questa sentenza non sarebbe arrivata. Purtroppo di casi come quello di Pasquale ce ne sono tanti, e tanti altri stanno venendo fuori. Dobbiamo batterci perché i nostri militari siano tutelati».

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