RICORDO DI SALVATORE SATTA A 40 ANNI DALLA SUA SCOMPARSA: ALLA CITTA’ DEL LIBRO DI MILANO, “IL GIORNO DEL GIUDIZIO”


di Sergio Portas

Uscendo dalla sbornia dell’Expo, Milano, giusto per ringraziare la buona fortuna che le ha voluto risparmiare eventi tragici e disumani che hanno invece devastato Parigi, riprende con una marcia in più lo svolgimento di eventi programmatici che ne fanno la moderna metropoli che ha l’ambizione di continuare ad essere. Bookcity è uno di questi appuntamenti, al di là dell’anglicismo specifico , sempre più indigesto al vostro cronista , la città del libro per quattro giorni (22/25 ottobre) mette in piedi più di ottocento eventi di incontri con autori, presentazioni di libri, dialoghi, letture ad alta voce, mostre e spettacoli, seminari sulle nuove pratiche di lettura e chi più ne ha più ne metta. Miriam Zucchiatti che lavora da bibliotecaria alla “Sormani”, forse quella con la più grande dotazione di libri e periodici in città (sul lato posteriore del palazzo c’è un incantevole “giardino di lettura”) ha dato un contributo determinante nella scelta di “lettura con immagini” a cura di Gavino Poddighe del libro di Salvatore Satta: “Il giorno del giudizio” nel quarantesimo anniversario della scomparsa dell’autore (1975-2015). Alla Sormani, sala del Grecchetto paludata dagli animali ammaliati dal flauto di Orfeo, a parlare del Satta grande giurista nel periodo giovanile della sua frequentazione milanese è Antonello Menne, docente di Diritto commerciale alla Università Cattolica di Milano. Sono tutti barbaricini, Menne è di Orotelli, suo zio donRosario Menne fu prete e uomo di cultura profonda, ebbe padre minatore che lasciò la vita nella miniera di monte Nieddu, fondatore di “Radio Barbagia”, responsabile regionale della pastorale del lavoro, chissà come sorride di lassù nel seguire le peripezie del Papa gesuita. Il nipote ne ha scritto un libro -raccolta dei suoi più significativi documenti ed interventi. Gavino Poddighe lui è a Nuoro da più di trent’anni agitatore culturale e regista, direttore artistico dell’associazione :”I segni delle radici”, cultore della letteratura sarda che ripropone costantemente, da Satta alla Deledda. Miriam Zucchiatti… nuorese vorrebbe essere fortemente, il corpo “rabbiosamente a Milano”dove pur è nata ma che “non le dà la possibilità di sognare” (copio da una sua intervista sul blog di “Tottus in pari”). “A Nuoro (ha una piccola casa in affitto) comprendo e ritrovo l’essenza delle cose. Rivivo la loro magia…”. Salvatore Satta a Nuoro ( 7056 abitanti) nacque il nove di agosto del 1902, ultimo di sette figli, il padre Salvatore era notaio, della sua città le avrebbe potuto obiettare che allora. “Nuoro non era che un nido di corvi, eppure era, come e più della Gallia, divisa in tre parti…(pastori, contadini e signori) (“Il giorno del giudizio”, Adelphi ed., pag 26). Tocca di dire finalmente che cosa è questo libro: un classico, di quelli senza tempo che meraviglieranno sempre chi avrà la fortuna di imbattersi e di perdersi nei meandri del suo fraseggiare. C’è dentro Nuoro e tutta la Sardegna ovviamente, che sia dichiaratamente autobiografico lo dice  una famiglia protagonista con un padre notaio e sette figli maschi, ma più ci si addentra nella descrizione dei meandri di una società arcaica, primordiale, più è in grado di elevarsi a trama universale, non è un caso che sia stato tradotto in una ventina di lingue. E’ un miracolo questo libro, Satta iniziò a scriverlo all’inizio degli anni settanta, quaranta anni prima si era già cimentato in un’opera di scrittura, il manoscritto fu presentato a un premio letterario ma non ebbe fortuna, trattava dello scorrere del tempo in un sanatorio dell’Italia settentrionale (Satta vi fu effettivamente ricoverato per due anni, a Merano), ebbene ambedue i romanzi non videro la pubblicazione, in vita dell’autore: “La veranda” e “Il giorno del giudizio”, manoscritti, li trovarono i familiari, la moglie Laura e i due figli, in fondo ai cassetti, sotto innumerevoli fogli che trattavano di diritto. Inevitabile nel primo caso riandare al capolavoro di Thomas Mann :”La Montagna incantata”, anche se il paragone è del tutto improponibile, mentre per il secondo dire che la storia dei Sanna Carboni può benissimo stare alla pari con “I Bundenbrook” dell’autore tedesco, non è a mio avviso azzardato. Il romanzo ha un’andatura solenne, come un transatlantico che proceda maestoso al di là dell’altezza dei flutti che va solcando, e sembra voler scrutare al microscopio l’andamento della vita di un paese la cui sola esistenza è dovuta al clima malarico che le zanzare imponevano a Galtellì, il vero capoluogo della Baronia. Dice Satta dei suoi concittadini: “La gente di Nuoro sembra un corpo di guardia di un castello malfamato: cupi,chiusi, uomini e donne, in un costume severo, che cede appena quanto basta alla lusinga del colore, l’occhio vigile per l’offesa e per la difesa, smodati nel bere e nel mangiare, intelligenti e infidi…(pag.28 op. cit.). Il babbo notaio i suoi sette figli li vuole fare tutti laureare, lui di libri non ne legge punto, solo il giornale entra nella casa austera, due piani col camino in cucina unico punto di riscaldamento invernale, che il notaio Sanna Carboni non si portava su in camera da letto neppure il braciere e alle proteste della moglie, Donna Vincenza, che gli rinfaccia un’avarizia assurda il consueto: “ Tu stai al mondo soltanto perché c’è posto”. “E invece  la fantasia entrava nella casa austera coi libri, e operava silenziosamente, toccando con la sua bacchetta magica uomini e cose (pag. 66). L’ultimo dei sette figli del romanzo è il medesimo che lo scrive, l’ultimo carissimo che dovrà lasciare la casa per andare a scuola a Cagliari, e la madre gli preparerà, in previsione del viaggio “le buone bistecche impanate, e le frittelle spolverate di zucchero”. Ma si sa come sono fatti i ragazzi, si vergognano sempre un po’ dei loro genitori, Sebastiano parte all’alba e lascia tutte quelle buone cose sul tavolo della cucina. “Qualcuno le avrebbe mangiate. Ma non era questo il problema. Il problema era il rifiuto di un atto d’amore. Il figlio l’avrebbe capito molti anni dopo, lo avrebbe ricordato tutta la vita. Ma questo Donna Vincenza non lo sapeva. Sentiva il vuoto intorno a sé…” (pag. 228). Salvatore Satta se lo sarebbe portato in cuore per cinquant’ anni questo sgarbo che aveva fatto alla madre e chissà se scrivendone con tanta maestria sia bastato a placare il rimorso. Gavino Poddighe e Miriam Zucchiatti si alternano nella lettura di pezzi del libro, drammatizzando voce e atteggiamenti, sullo schermo un video che mostra la Nuoro degli inizi novecento, “sa ‘e Manca”, il cimitero dove sono sepolti tutti personaggi che si muovono, vivissimi, tra le pagine. I giovinastri del paese che danno la baia al maestro Manca, speculando sul suo terrore della morte che gli cantano: “Portantina che porti quel morto…”. Gli sfaccendati al caffè “Tettamanzi” sul corso pricipale, Pietro Catte che finalmente eredita dalla zia una piccola casa e un podere ma li vende ( centomila lire) e  se ne viene a Milano, dove i soldi si moltiplicano. Derubato naturalmente, se ne torna a Nuoro e si impicca per la vergogna e il rimorso. Uno stormo di chierici e prelati, due vescovi, il funerali di Fileddu, un poveraccio  seminfermo di mente che viveva di carità, che inopinatamente viene fatto passare per il Corso, come fosse morto uno dei “signori”. Nuoro tutta che va verso il novecento, secolo breve di guerre sanguinose (ma non avranno molto peso in questo libro), l’arrivo della luce elettrica: “Un urlo immenso si levò per tutto il paese, che sentiva misteriosamente di essere entrato nella storia” (pag. 96). Fatevelo dire: il libro più bello che sia mai stato scritto sulle cose di Sardegna. Che l’autore sia stato anche un grande giurista lo sanno solo gli addetti ai lavori ( fu docente  e preside d’università a Trieste, Genova e Roma), ne fanno comunque fede le pubblicazioni che ha lasciato, i libri che trattano di teoria e pratica del processo, di diritt
o fallimentare, il monumentale Commentario al codice di diritto civile. Ma “Il giorno del giudizio” rimarrà, a mio avviso, il libro che davvero lo renderà immortale, per Carlo Sgorlon : “Il libro più affascinante e terribile che abbia letto negli ultimi tempi”. Un libro che sembra resuscitare da “sa ‘e Manca”, il cimitero di Nuoro, come per magia. Il suo autore la Sardegna la porterà, come è ovvio, sempre con sé, scriveva alla moglie da Israele dove si era recato per lavoro nel novembre del’54: “…dal profondo della terra e dei secoli mi giunge una folata di vento che riconosco e mi mette in un breve delirio: è il vento della Baronia di Sardegna, coi profumi di macchia, di mare , di cielo, un vento pieno di messaggi rimasti inascoltati da secoli…il pane arabo è del tutto uguale alle nostre “paneddas”: l’odore mi trasporta vicino al forno della mia fanciullezza…”.

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Un commento

  1. Miriam Zucchiatti

    Grazie Sergio Portas per il gran bell’ articolo , generoso con gli ‘attori’ ..ma soprattutto denso di passione e contenuto per l’opera sattiana e la cultura nuorese , e in cui sa esprimere cosi’ bene i valori universali e la sua personale riflessione . E’ stato un onore avere tra il pubblico un osservatore e divulgatore sensibile e attento come Lei . Grazie anche a Massimiliano Perlato per la sua infaticabile e importante attivita’ di Tottus in pari .

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