UNA GIORNATA PARTICOLARE A CAGLIARI TRA ARCHIVI, BIBLIOTECHE E LA GRANDE GUERRA


di Mario Salis

La cultura è apertura: archivi e biblioteche si raccontano in una Domenica di carta. Un folto pubblico di visitatori ha salutato la giornata nazionale dell’11 ottobre, promossa dal Ministero dei Beni Culturali, giunta alla sua quinta edizione. Il fascino antico delle storie di carta racchiuse nei libri, documenti, fotografie, stampe, pergamene e disegni perché la cultura non può essere interamente smaterializzata. Un appuntamento affascinante e consueto per chi è cresciuto con i libri, quasi inedito per i nativi digitalizzati che preferiscono leggere gli e-book.

A Cagliari l’opera di tutela e valorizzazione della Soprintendenza Archivistica degli archivi minerari sardi, con la proiezione di un documentario “L’amore e la follia” del regista Giuseppe Casu. Ad Oristano presso l’Archivio di Stato di piazza Ungheria, una mostra su aspetti della vita di trincea durante la Grande Guerra: “La dieta del soldato” ed una rappresentazione teatrale “Unu de sos kentu mitza” tratta dalla singolare vicenda di un bersagliere di Riola Sardo. La manifestazione di Oristano, nel quadro nazionale che ha coinvolto 46 biblioteche e 135 archivi di Stato, coglie in pieno gli obiettivi dell’iniziativa ministeriale: sotto l’aspetto divulgativo per i significativi reperti in mostra mentre dal punto di vista emotivo conferma come partendo da documenti istruttori dell’autorità di Polizia e del locale Tribunale Militare si può interpretare lo stato d’animo e le condizioni di vita sia al fronte che nei territori lontano dagli scenari teatro di guerra. C’est la soupe qui fait le soldat – è il cibo a fare il soldato – ne era fermamente convinto Napoleone. La sua prodezza strategica unita agli albori di una moderna logistica militare, non poteva fare a meno dell’energia indispensabile per muovere rapidamente un esercito di grandi dimensioni, la Grande Armée. Quella velocità e spregiudicatezza che sorprese i suoi avversari fino ad Austerlitz, suggellando la rapida ascesa del suo impero. Nell’età della catastrofe del secolo breve che si apre nel 1914 le condizioni di battaglia cambiano radicalmente. Nuove armi con l’avvento degli aerei e dei carri armati tolgono il campo alle travolgenti cariche di cavalleria. L’impiego su larga scala dei sottomarini per interdire i canali di approvvigionamento delle derrate alimentari. Hunger blockade: il Blocco della Fame, ovvero la missione di affamare l’avversario con il blocco navale, attuato dalle Nazioni Alleate contro gli Imperi Centrali teso ad interrompere i preziosi rifornimenti dai possedimenti d’oltremare. Una guerra che non sarà breve, senza improvvisi capovolgimenti di fronte per impantanarsi presto sul versante occidentale. Imperdonabili errori dagli alibi inconsistenti come gli immancabili pretesti per scatenarla. Una guerra di posizione, estenuante e di logoramento negli impraticabili camminamenti delle trincee, conferirà all’alimentazione un nuovo ruolo strategico, quasi di arma decisiva, per l’alta concentrazione di uomini in spazi angusti dove si moriva per sopravvivere ancor prima di combattere. Le gallette, giunte fino a i giorni nostri, erano talmente spesse da poterci scrivere sopra. Le cucine da campo che funzionavano solo nelle retrovie non assicuravano sufficienti standard di commestibilità quando giungevano in zona operativa. Chissà se i moti patriottici con il tricolore che fregiava le scatolette, riuscivano a placare i crampi dello stomaco al fronte: “Antipasto finissimo Trento e Trieste”, “Alici alla Garibaldi”, “Filetti Savoia” oppure “al generale Cadorna”. Oggi possono sembrare stravaganti, testimoni di un irreale marketing patriottico, come quelle ancora in ottimo stato nella mostra. Vengono ancora alla luce nei baraccamenti dei valloni, che emergono in quei rami di ghiacciai quando si ritirano. Spesso costituivano l’ultimo pasto prima dell’assalto finale.

Singolare invece la storia del giovane combattente di Riola Sardo in licenza di convalescenza al suo paese, che ha ispirato la versione teatrale del liceo oristanese. In quel lontano 1916 non sfugge alle autorità locali il suo resoconto ad amici e conoscenti sulle condizioni di vita al fronte. Gli assalti con l’inutile tributo di vite umane oramai carne da cannone, feriti lasciati agonizzanti nella terra di nessuno insieme ai morti insepolti. Notizie giudicate false, che gli costarono il rientro immediato al corpo di provenienza ed il deferimento al pretore di Cabras. La sua vera condanna sarà la destinazione al fronte, quando venti mesi dopo perderà la vita in combattimento dalle parti di Treviso. Diventerà per sempre uno dei centomila, nello sterminato sacrario di nomi e cognomi di RediPuglia, tra i caduti della Terza Armata, laddove giacciono i militari noti ma non identificati. Propaganda e censura: fu la sconfitta dell’informazione che non poteva smentire i bollettini ufficiali. In parte vittima di una deliberata autocensura, consolidata da una propaganda che intendeva isolare il paese in armi, esaltando il mito della guerra. Perciò la “propagazione” di notizie allarmanti sulle sorti del conflitto costituivano un reato. Le prefetture erano mobilitate a sopprimere sul nascere ogni forma di ribellismo anche in territori periferici come l’Isola. Il silenzio sulla verità e la sua manipolazione si estese ad ostilità oramai concluse, tacendo sull’entità delle perdite subite fino alle clausole effettive dei trattati di pace. Alcune controverse, si trascineranno insolute offrendo il pretesto per il successivo conflitto.

Quasi 9 milioni di morti, altri ventuno di feriti gravi, sette milioni e mezzo di prigionieri. Sono le statistiche drammatiche ancora imprecise, destinate a salire con l’effetto collaterale della pandemia influenzale della Spagnola ed il suo carico di 50 milioni di morti. Fu la guerra dei soldati e non dei generali, che continuarono a suddividersi gli onori e le colpe a suon di memoriali, più bellicosi in pace che al fronte. I drammi della Guerra di trincea si dimostrarono presto insopportabili. Ingloriosi cedimenti, ammutinamenti nei vari schieramenti, da quello russo all’esercito francese scompaginando in quest’ultimo 68 divisioni, pari a due terzi della sua intera forza armata. La strategia italiana dell’offensiva ad oltranza con la logica dispendiosa delle spallate, oltre all’altissimo tributo di vite umane alimentò il ruolo della giustizia militare con 340 mila processi – uno a 12 sul totale dei mobilitati. Almeno centocinquanta le decimazioni, di cui si ha notizia. Un altro dramma resta quello dei prigionieri, gli archivi però sono reticenti. Solo i diari dei sopravvissuti hanno aperto qualche squarcio di luce inquietante. Le valutazioni delle commissioni d’inchiesta dal canto loro tradiscono l’aspetto rivendicativo dei danni di guerra. Per l’Italia si tratterebbe di seicentomila uomini. Un soldato su sette era un recluso del nemico. Centomila persero la vita in quello stato, il 90 per cento a causa di stenti, soprattutto fame e freddo. Mentre Francia e Gran Bretagna inviarono aiuti ai propri prigionieri le nostre autorità non seguirono analogo comportamento. Una pagina oscura, forse un rimedio cinico però convincente a scoraggiare la diserzione di massa.

Anche in Sardegna si apre il fronte interno, testimoniato come nel caso del piccolo centro dell’Oristanese, dalla presenza di interessanti documenti di archivio a cui oggi si dedicano appassionati studiosi non professionisti. Altre fonti provenienti dalla memorialistica ed epistolari familiari, come “Edelweiss per un alpino cagliaritano” il sottotenente Efisio Atzori che nel 1916 perde la vita sulle balze del Pasubio. Nello stesso anno Cagliari si ricorderà di Ernesta Bittanti la moglie di Cesare Battisti, la prima donna ad iscriversi nel 1882 al Regio Liceo Ginnasio Dettori dove il padre era preside. L’irredentista trentino dall’ottobre del 1914 al maggio del 1915, parla in 78 città d’Italia, riscuotendo consensi entusiastici, addirittura trionfali a Sassari ed a Cagliari dove appena si diffonde la notizia della sua tragica esecuzione nel fossato del Castello del Buonconsiglio, si costituisce un comitato per celebrarne la memoria e la promozione in suo nome di alcune istituzioni benefiche.

Non solo di domenica: archiviata la serrata del Colosseo che ha occupato pagine di giornali ed accesi confronti sull’opportunità o meno di un’assemblea sindacale regolarmente autorizzata, i problemi della cultura in Italia restano nei faldoni impolverati di sempre alla stregua di file dimenticati. Nulla o poco cambierà se ora i musei saranno precettabili come gli ospedali. Annoverati con un fulmineo decreto tra i servizi essenziali come sanità e sicurezza restano aperti gli annosi problemi di un settore strategico del Paese, più che altro relegato ad inefficace luogo comune. Le polemiche recenti non mutano le ristrette politiche di bilancio. A Pompei dopo il crollo della Schola Armaturarum i muri hanno continuato a venire giù anche dopo il dicastero retto dal ministro Bondi, che nonostante la mozione di sfiducia superò il voto del Parlamento decise comunque di passare la mano. Dopo la Domus dei Gladiatori è stata la volta del cedimento di altre mura vetuste anche durante il Governo Letta. Lo stato del patrimonio culturale metafora di una nazione, come l’identità compromessa delle sue politiche di bilancio. Archivi e biblioteche inesorabili testimoni del tempo, non sono meno importanti dei musei. Fanno sperare malgrado la sua scandalosa vicenda: porte parzialmente aperte pregiati scaffali semivuoti a San Lorenzo nel cuore di Napoli, nella Biblioteca Girolamini depredata di circa tremilacinquecento volumi. Sono una ferita ancora aperta con i sigilli della Procura partenopea chiusi dal 2012, rimossi temporaneamente per consentire l’apertura straordinaria della Domenica di Carta.

La mostra di Oristano che doveva chiudere il 31 ottobre, visto il numero di visitatori e l’interesse suscitato si protrarrà a tutto dicembre con una replica della rappresentazione teatrale presso il Liceo De Castro in occasione della ricorrenza del 4 novembre. Mentre “La Grande Guerra: vicende, uomini, società” dell’Archivio di Stato di Cagliari, inaugurata il 10 maggio in occasione di “Monumenti Aperti, si potrà visitare fino al 31 dicembre. Paul Valéry che oltre a scrivere i suoi Cahiers, peraltro allo stato ancora di manoscritti, consultabili nella Biblioteca di Parigi, era convinto che “i libri hanno gli stessi nemici dell’uomo: il fuoco, l’umidità, il tempo e il proprio contenuto”. Sicuramente se ne sono aggiunti dei nuovi con il progresso, confusi tra i suoi innegabili benefici. Ciò non toglie che sono ancora possibili delle alleanze tra passato e presente, che diventano storia scritta sui libri, aprendo archivi e biblioteche, polverosi e digitali: in una virtuosa convivenza di carta.

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