LA PASSIONE (PER CASO) PER IL CIRCO DI FRANCESCA LISSIA, ACROBATA IN GIRO PER L’EUROPA

Francesca Lissia


di Giovanni Runchina

La passione è sbocciata – quasi per caso – a Cagliari «ho conosciuto diversi ragazzi che facevano spettacoli di strada», è cresciuta a Madrid e si è rafforzata a Stoccolma. Nel 2004 – a ventidue anni – Francesca Lissia imprime una nuova traiettoria alla sua vita e, con una capriola, decide di fare l’artista circense: «Avevo appena conseguito la laurea triennale in Biologia e intendevo continuare gli studi ma ho scoperto il mondo del circo e, nel giro di un mese, mi sono trasferita a Madrid per frequentare la famosa scuola Carampa. Ignoravo che il circo sarebbe stato di lì in poi la mia professione e che, senza volerlo, sarei diventata una migrante come tanti sardi. A differenza di molti, però, son partita per seguire quello che amo e non per necessità economica». Acrobata – specializzata nell’acrobatica di coppia – condivide vita e lavoro con Celso, il suo compagno: «Ci siamo conosciuti al primo anno di scuola, io sono l’agile o volante mentre lui è la base, mi lancia in aria e mi riporta a terra sempre – precisa sottolineando l’importanza non solo tecnica dell’avverbio – insieme abbiamo lavorato in vari spettacoli. L’acrobatica ci ha insegnato la fiducia e il rispetto per l’altro. Facciamo parte della compagnia di circo “Eia”, siamo in sei e nonostante io sia l’unica sarda, al resto del gruppo è piaciuta l’idea del nome. Il lavoro? È fatto di allenamenti, creazione di spettacoli e tournée in teatri o festival di strada come “Sa Ruga” (che si terrà a Cagliari venerdì 16 e sabato 17 nel quartiere di Stampace – ndr). Arrampicarmi, saltare sono sempre state le mie grandi passioni. Ho praticato sport sin da piccola ma, a un certo punto, non vedevo più il senso di tanta applicazione finalizzata a me stessa e alla competizione con gli altri. Il circo è la combinazione perfetta tra l’amore per il movimento e la necessità di donare qualcosa agli altri. Personalmente tutti gli sforzi, le ore passate a provare, si trasformano in scena in un regalo agli spettatori. L’unico limite è la tua creatività». La parte più impegnativa è costituita dai continui viaggi: «Viviamo a El Masnou, un paesino vicino a Barcellona, ma passiamo gran parte del tempo in giro; abbiamo visitato buona parte dell’Europa dell’Est e del Nord». E proprio al Nord, Francesca ha perfezionato la sua arte nell’università di Danza e di Circo di Stoccolma: «Dopo il primo anno a Madrid ho avvertito l’esigenza di affinare la preparazione. Sono stata ammessa alla scuola al termine di cinque giorni di selezioni durissime e ho trascorso i successivi tre anni – corrispondenti alla durata del corso – vivendo felicemente in una roulotte nel parcheggio davanti alla palestra. Dopo questo triennio ho iniziato la vita da nomade: cinque mesi in Finlandia, nove in Belgio – a Bruxelles – e altri periodi più brevi in diverse città europee, sino a quando il richiamo del sud mi ha riportato nel Mediterraneo. Non sono in Sardegna ma non sono nemmeno così distante; dalla finestra di casa mia vedo il mare, lo stesso che bagna la mia isola». Il paesino della Catalogna è la base logistica: «Dovremmo allargare il nostro raggio d’azione ma stiamo pensando di tornare a una scala più piccola, simile al circo a chilometro zero. Sinora – racconta la trentatreenne artista cagliaritana– ho accumulato esperienze varie che spaziano dal circo natalizio alla danza contemporanea. In generale proponiamo esibizioni molto umane e cerchiamo di trasformare l’acrobatica in un linguaggio poetico nel quale il pubblico si può identificare. Volontà, disciplina e passione sono gli attrezzi del mestiere». Capas ed Espera il presente e l’immediato futuro: «Il primo è uno spettacolo ispirato agli strati (Capas) di vita che ci hanno reso quel che siamo; Lo portiamo avanti da cinque anni. Parallelamente io e Celso ci stiamo dedicando a Espera – che in spagnolo significa sia “aspetta” che “spera” – un momento d’incontro tra spettatore, pubblico e noi due artisti. Qualcosa di intimo che stimola l’introspezione e la condivisione». Nella speranza, un giorno, di poter vivere di questo anche in Italia: «Il circo contemporaneo italiano ora vive ai margini; il riconoscimento istituzionale è inesistente e la professionalità degli operatori del settore lascia spesso a desiderare. Non è insolito dover attendere più di un anno per essere pagati. Fortunatamente esistono eccezioni; realtà isolate, compagnie, scuole, programmatori di festival che quotidianamente ci mettono l’anima per vivere dignitosamente e offrire agli artisti una prospettiva professionale decorosa». L’opposto di quanto vissuto sotto tutti i profili tanto in Spagna quanto in Svezia: «A Madrid la scuola è in un posto molto romantico. Un tendone da circo in un parco enorme, in cui ti dimentichi letteralmente del resto del mondo, il luogo perfetto per iniziare col circo. Sei accolto da professori competenti che t’insegnano la disciplina e l’amore per le varie specialità e ti ritrovi immerso in un’altra dimensione. Stoccolma è l’esempio di come il circo si stia integrando sempre di più nella società. L’infrastruttura è eccellente, le lezioni sono personalizzate e i percorsi didattici finalizzati a esaltare il potenziale degli alunni. Organizzativamente e umanamente sono incredibili. Quando ho frequentato io, la facoltà di circo di Stoccolma era la seconda più finanziata dallo Stato. La rettrice passeggiava negli anditi e si fermava a chiacchierare con tutti, senza nessun’aria di superiorità. E a Stoccolma mi lega il ricordo più bello, la presentazione del progetto finale di mezz’ora preparato da me e da Celso nel quale riassumevamo gli anni di crescita artistica e personale. C’erano la mia famiglia e gli amici venuti da Cagliari; la condivisione di quel momento è stata la gioia più profonda. I miei obiettivi? Vorrei continuare a stare in scena per diversi anni ancora, almeno finché il corpo me lo consentirà e impegnarmi poi ad aiutare altri artisti contribuendo a far conoscere il circo alla gente, magari in Sardegna».

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