DUE CONTRIBUTI SUL CONVEGNO DI STUDI CHE SI E’ SVOLTO A OROSEI A CENT’ANNI DALL’INIZIO DELLA GRANDE GUERRA


di Tommaso Esca e Marco Camedda
 

Dalla Guerra Guerra alla Shoah

Si è svolto a Orosei un convegno di studi a cent’ anni dall’inizio della Grande Guerra e a 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale dal titolo Dalla Grande Guerra alla Shoah. E’ stata una lezione di riflessione e di rivisitazione della nostra storia relativamente recente che ha interessato per diverse ore, centinaia di studenti e cittadini, coinvolgendoli anche emotivamente.  Organizzatore della giornata il Centro Studi Giuseppe Guiso, emanazione del Consiglio Pastorale di Orosei, per decenni fucina di cultura e di originali proposte di vera crescita culturale del territorio. La sua storica presidente, Prof.ssa Francesca Rais, ringraziando i convenuti, con particolare riguardo gli studenti e i relatori, ha ricordato le vicissitudini del Centro Studi, che nella crisi generale e dopo decenni di  iniziative culturali di eccellenza ha dovuto rallentare, anzi quasi bloccare la propria attività, perché si ritrova “senza domo, senza vichinatu e senza dinare”. Il Centro Studi è ospitato momentaneamente in locali parrocchiali, avendo dovuto liberare la vecchia sede del Monte Granatico in fase di restauro. La Prof.ssa Vannina Mulas Presidente della Biblioteca S:Satta di Nuoro,chiamata a presiedere la giornata di studio, ha introdotto il convegno con le parole dello storico e giornalista Paolo Mieli: “La Grande Guerra è stato uno spartiacque della storia, non ancora conosciuta”. Ad un secolo dall’inizio di quel conflitto mondiale ci permette di ripensare senza animosità a quei fatti gravissimi. Ricordando E. Lussu nel libro “Una vita in trincea”, che rammentava come nel Carso ogni metro quadro di terreno è pieno di storie di giovani morti in battaglia. La Sardegna poi ha donato il maggior numero di soldati morti nel conflitto, in rapporto alla sua popolazione. Ecco quindi l’invito ai giovani di studiare per conoscere, comprendere e lavorare per la pace.

Il Prof. Michele Carta, insegnante di lettere in pensione, ricercatore e studioso locale, ha introdotto le testimonianze degli oroseini in guerra e ha ricordato il soldato Francesco Ortu che ha ricevuto una medaglia di bronzo al valore militare, i soldati Salvatore Loi (noto come sergente Loi), Cosimo Loriga e Sebastiano Chisu che hanno ricevuto una medaglia d’argento al valore militare. Un gruppo di studenti di Orosei ha letto alcune  testimonianze di soldati oroseini che hanno partecipato alla Grande Guerra e  alcune vicende dei partigiani oroseini: i fratelli Giovanni (conosciuto come il Comandante Mirto) e Antonio Carai ed il cognato Francesco Piredda, impegnati sulle montagne della Liguria, nelle fila della Resistenza anti-fascista. Inoltre hanno letto i ricordi di guerra e prigionia, dal 1939 al 1947, del marinaio Giovanni Saba e una piccola parte del libro Da così a così scritto dal caporale G.A. Farris nel 1984, un racconto sotto forma di diario della sua personale esperienza durante la disfatta di Russia. Si è potuto pure ascoltare la testimonianza, registrata anni fa, di un giovanissimo  oroseino,volontario nella guerra di Spagna, catapultato nella famosa battaglia sulla spiaggia di Guadalajara.

A tal proposito il Senatore Paolo Emilio Taviani ricordava che spesso nella storia della Resistenza si scorda il sacrificio dei circa 7000 partigiani sardi impegnati nel centro-nord Italia che diedero un contributo determinante alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo. Il giornalista scrittore ed ex bibliotecario alla Biblioteca Satta di Nuoro, Natalino Piras, autore del libro Il dio che sta ad Auschwitz. Sonata di viaggio, ha rivolto un invito all’impegno ed alla conoscenza della nostra storia. Per scrivere la storia, bisogna essere distaccati ed entrarci come coinvolti. Il 24 maggio del 1915 l’Italia fece il suo ingresso nel Primo conflitto mondiale.

Corre l’obbligo di ricordare che per lo studio del ventennio fascista in Sardegna restano essenziali i classici libri di: Paese d’ombre e Il disertore di Giuseppe Dessì, Un anno sull’altipiano e Marcia su Roma di Emilio Lussu. A questi si aggiungono, allargando la prospettiva sull’ampio coinvolgimento dei sardi nei due grandi conflitti mondiali del secolo scorso( fino alla tragica vicenda della distruzione degli ebrei d’Europa),  le opere dei relatori al convegno Trattare ke frates, gherrare ke inemicos: Mortos in terra anzena di Giuliano Ghirra, Pitzinnos Pastores Partigianos: Eravamo insieme sbandati, curato da Natalino Piras (insieme a Pietro Cicalò, Pietro Dettori, Salvatore Muravera), La Shoah. Guida agli studi e alle interpretazioni di Salvatore Loddo, Preghiere di un cappellano militare in Afghanistan scritto da Don Gianmario Piga.

La resistenza è stato un fatto storico decisivo nella lotta alleata contro il nazi-fascismo, tra le principali cause innescanti il Secondo conflitto mondiale. Fatto sottolineato dal giornalista e scrittore Natalino Piras che ha chiuso il suo intervento ricordando a tutti: “Se siamo qua a discutere liberamente da 70 anni è perché c’è stata la Resistenza”. L’altro relatore il medico e scrittore Giuliano Ghirra, rivolgendosi ai giovani studenti presenti all’appuntamento, ha richiamato l’attenzione su un punto importante: “La scuola è l’arma migliore per ragionare con la propria testa e con la mente aperta alla conoscenza per essere uomini liberi”. In modo acuto, lo stesso Ghirra ha posto l’accento sulla necessità di connettere gli eventi sardi che causarono la morte di oltre 14.000 giovani e di altri 6/700 “mortos pro fattos de gherra” , ricordando: “I cognomi di quei giovani morti sono i nostri cognomi, il nostro stesso sangue”.

In Italia i morti della Grande Guerra accertati nel 1938 furono 650.000 e nel 2000 circa 720.000, tutti giovani delle leve 1899-1906. L’Italia nel 1915 aveva 45.000.000 di abitanti e il suo esercito era composto da 2.200.000 soldati. Vincitori e perdenti furono ugualmente sconfitti, tutti persero nella Grande Guerra, i caduti nel conflitto furono 1.700.000 per la Germania, 1.400.000 per la Francia, 1.200.000 per l’Inghilterra, 3.000.000 per la Russia, 1.000.000 per l’Austria,  ecc. La Prima guerra mondiale fu l’amaro frutto di odio, rancore, astio, desiderio di rivincita tra le nazioni europee. A posteriori, il Trattato di Versailles, firmato tra vincitori e vinti della Grande guerra il primo settembre del 1919 – vent’anni esatti passeranno dall’invasione tedesca della Polonia che sancì l’inizio del Secondo conflitto mondiale – appare come una dichiarazione di guerra e  solo apparentemente di pace. I giovani fortunati che tornarono dalla guerra trovarono una società impoverita, piena di lutti e morti. Il poeta Canonico Calvisi di Bitti in una sua famosa poesia, chiamava quei giovani “tristos e ispinniatos”. Dopo la fine della guerra la terribile peste “spagnola” piombò sulla popolazione debilitata ed affamata dal protrarsi delle ostilità mietendo in Europa 2.000.000 di vittime. Dopo la guerra nelle trincee del Carso, i sardi scoprono l’autonomismo, il sardismo e la propria identità. Ecco perché bisogna conoscere meglio il pensiero di personaggi come Lussu, Otgianu, Mastino, Giacobbe, Bellieni e Pili che sono il crocevia della nostra storia.

La storia sarda non fu immune dal fascismo. Essa non fu solo manganello e olio di ricino ma movimento composito, culturale e sociale. Non fu tutto buono, né tutto cattivo. Due nuoresi come il fascista  Offeddu e l’anti-fascista Dino Giacobbe si riconobbero “inimicos” nella battaglia di Guadalajara, in terra di Spagna.. A Porta San Paolo, in Roma , mentre tutti scappavano i sardi della Brigata Sassari comandata dai generali sardi Giacomo Carboni e Gioacchino Solinas fermarono l’avanzata dei tedeschi che volevano entrare a Roma. Gioacchino Solinas, divenne poi l’Ufficiale Comandante della Repubblica di Salò. Furono 7.000 gli italiani passati per le armi dai tedeschi, dopo essersi arresi a Cefalonia, oltre 5.000 i soldati italiani arruolati nella resistenza contro il nazismo nel Dodecaneso, complessivamente 70.000 i soldati italiani assassinati dopo l’armistizio in Europa. Il patrimonio identitario dei sardi ci rende orgogliosi perché è frutto del tanto sangue versato da quei caduti.

Le guerre non si muovono se non ci sono interessi e non c’è chi le finanzia. Pensiamo al dominio del Mediterraneo, al Canale di Suez, alle guerre di Etiopia e Spagna. Molto interessante è stato l’intervento del giovane autore oroseino Salvatore Loddo, filosofo e studioso dei diritti umani e dei genocidi che ha appena pubblicato La Shoah, guida agli studi e alle interpretazioni, un utile strumento didattico, aggiornato agli studi più recenti che invita a conoscere meglio il dodicennio nazista di persecuzione antiebraica, ben consapevole dell’importanza del ventennio tra le due guerre, come anticamera della Shoah. Ha chiuso il convegno di studi Don Gianmario Piga, cappellano militare presso la base NATO di Decimomannu e autore del succitato Preghiere di un cappellano militare in Afghanistan, che ha esordito con queste parole di Papa Francesco: “La guerra è una follia, Dio crea e la guerra distrugge”. Bisogna passare dall’indifferenza all’impegno. Papa Francesco è stato il primo a dire che oggi  è  in atto la terza guerra mondiale a spezzoni con nuovi genocidi, popolazioni inermi e cristiani perseguitati per il loro credo, con interi Stati in mano a nuovi carnefici. Ecco quindi il grande impegno spirituale e umano dei cappellani militari. Queste figure di sacerdoti vennero chiamati dal Gen. Luigi Cadorna nella Prima guerra mondiale. Tra gli oltre 2690 cappellani arruolati vanno ricordati il sacerdote Angelo Roncalli, futuro Papa e Beato Giovanni XXIII e Don Secondo Pollo, beatificato da Papa Giovanni Paolo II. Il loro prezioso ruolo fu e continua ad essere quello di stare vicino ai militari, in caso di morte dare loro una degna sepoltura, preoccuparsi delle loro famiglie scrivendo lettere, assistere anche i soldati nemici e portare carezze in un mondo disumanizzato per non perdere la fede in Dio nei tragici momenti di umana follia.

La Shoah: Guida agli studi e alle interpretazioni

Al Convegno del Centro Studi Giuseppe Guiso di Orosei dal titolo Dalla Grande Guerra alla Shoah è intervenuto anche il giovane studioso  oroseino Salvatore Loddo. L’autore ha alle spalle studi di filosofia presso le Università di Venezia e Torino e un master internazionale in diritti umani e “studi sul genocidio” presso Kingston University London, Università di Siena e Collegium Civitas Varsavia, svolge ricerca su guerra, diritti umani, genocidi e crimini contro l’umanità scrivendo per riviste e organizzazioni non governative internazionali. Il libro, di cui è autore, intitolato La Shoah: Guida agli studi e alle interpretazioni, edito dalla casa editrice Carocci di Roma è un utilissimo strumento di conoscenza didattica, aggiornato agli studi specializzati più recenti.

In apertura del testo l’autore invita a conoscere il procedere della politica antiebraica nazista nella sua processualità decisionale come a sottolineare che la Shoah fu un’impresa di sterminio ben architettata, perciò conoscibile e comprensibile, non certo avvenuta per caso. Il genocidio degli ebrei europei riposava su un problema politico la cui rapida evoluzione sfociò nel peggiore degli esiti. Il termine ebreo Shoah, preferito a quello più diffuso Olocausto – inadatto perché lascia trapelare una vena sacrificale – significando “distruzione completa, totale” ricorda nella lingua delle vittime questa tragica vicenda del ‘900. L’inizio del genocidio vero e proprio nel 1941 fu il prodotto della politica antiebraica cominciata nel 1933 con l’esclusione degli ebrei tedeschi dalla vita culturale, sociale ed economica, resi progressivamente cittadini di serie B. Con l’esplosione del conflitto mondiale e l’annessione delle regioni occidentali della Polonia nel Reich tedesco vennero concepiti e realizzati piani di emigrazione forzata verso la Polonia dove già risiedevano circa 3.000.000 di ebrei, ma con risultati così insoddisfacenti da progettare un fantomatico trasferimento di massa della popolazione ebraica continentale nell’isola di Madagascar, peraltro mai realizzato per ragioni strategiche. Si procedette in seguito alla concentrazione degli ebrei polacchi nelle grandi città, in maggioranza nei ghetti di Varsavia e Lodz. Ai piani di reinsediamento forzato seguì l’Operazione Barbarossa e le fucilazioni di massa di intere comunità nei territori sovietici occupati – Ucraina, Bielorussia, Lettonia, Lituania, ecc. Basti ricordare il massacro di 33771 civili ebrei nel fosso di Babi Yar, poco fuori Kiev, tra il 29 e il 30 settembre del 1941. L’ufficio di Sicurezza del Reich, già pianificatore dei piani di trasferimento forzato, mettendo a frutto l’esperienza maturata con l’operazione Eutanasia – che causò 70000 tra i cittadini tedeschi, interrotta nell’agosto del 1941 e ripresa quasi immediatamente sotto mentite spoglie – progettò e fece eseguire l’operazione Reinhard (segretamente così denominata in onore dell’allora capo dell’Ufficio della Sicurezza del Reich Reinhard Heydrich ucciso da un attacco partigiano a Praga nel 1942). Dell’orrore dei campi di sterminio di Belzec, Sobibor, Treblinka furono vittima circa 1750000 ebrei provenienti dai ghetti polacchi dei territori incorporati, dal Governatorato Generale, dalla Germania, dall’Austria, dal Protettorato di Boemia e Moravia, dalla Iugoslavia, dalla Grecia e dall’Olanda. Ad Auschwitz, culmine della politica sterminatrice nazista, nelle camere a gas perirono oltre 1500000 di ebrei.

La Shoah è il momento fondante della nuova identità ebraica e sta alla base dell’odierna cultura del rispetto e della diffusione globale dei diritti umani. A quel “crimine senza nome” – così lo chiamò il primo ministro inglese Churchill lo sterminio degli ebrei nei territori sovietici occupati – venne dato dal giurista polacco Raphael Lemkin il nome di genocidio, crimine che ottenne riconoscimento nel diritto penale internazionale con l’approvazione il 9 dicembre 1948 ad opera dell’Assemblea delle Nazione Unite della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. Quest’anno ricorre il centenario dello sterminio degli armeni da parte del nazionalismo dei Giovani Turchi. L’analisi della Shoah, nel libro di Salvatore Loddo, ha aperto uno squarcio nella zona grigia, un vasto territorio di opportunismi grande quanto il continente europeo , in cui vittime e carnefici si confondevano e il collaborazionismo proliferava. Popolazioni non ebraiche arrivarono addirittura a massacrare i loro vicini di casa ebrei divenuti capi espiatori delle precedenti violenze sovietiche nei territori mantenuti sotto l’autorità bolscevica prima del giugno 1941, motivati dall’avidità, approfittarono dell’opportunità di appropriarsi dei loro beni.

Il ventennio tra le due guerre ha creato il sub-strato per lo sterminio totale degli ebrei europei. Era impossibile architettare i massacri di massa  senza tecnologia e grandi investimenti, linee ferroviarie, treni, campi di concentramento,camere a gas. Giudici, medici, accademici collaborarono col governo criminale nazista per affinità ideologica e  carrierismo. La Shoah fu una scena composita di vittime, carnefici e spettatori, figure del triangolo genocidario. Il cuore del fenomeno che ha coinvolto tutta l’Europa è stata la Polonia da dove è stata spazzata via la cultura dell’ebraismo orientale – l’yiddishkeit. Lo studio dei carnefici non deve portare a demonizzarli né a dare spiegazioni facili. Il politologo statunitense Daniel Goldhagen, autore del bestseller I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, a tal proposito ha dato il cattivo esempio poiché demonizzando i tedeschi, a suo parere portatori di una deviazione nella cultura europea definita antisemitismo eliminazionista, popolo su cui fa gravare tutto il peso dello sterminio dimenticandosi del collaborazionismo di polacchi, ucraini, austriaci, italiani, francesi, croati, ungheresi, lituani e altri. Loddo sottolinea che carnefici non si nasce ma si diventa facendo trapelare, sulla base delle altre esperienze genocidiarie del XX secolo successive alla Shoah, la possibilità che ognuno di noi può diventare carnefice. Carnefici appunto si diventa, a volte vestiti da poliziotti, medici, avvocati, burocrati, smarrendo quel senso di pietà per il prossimo che ci rende umani. Il presente e il futuro della Shoah sono segnati dalla ricorrenza del Giorno della Memoria per ricordare il 27 gennaio 1945 momento della liberazione del campo di Auschwitz ad opera delle truppe sovietiche, dalle varie forme della sua rappresentazione – dai prodotti del cinema, del teatro, dai libri e dalle testimonianze di chi si è salvato che continua a far da barriera al costante pericolo di banalizzare della Shoah. Con questo libro l’autore dà ordine ad un sapere molto vasto che si è stratificato in quel campo interdisciplinare degli Holocaust Studies a partire dagli anni ’80 in un percorso di memoria e trasmissione di un trauma molto grave che ha espresso la contraddizione tra la civile Europa e la barbarie moderna. Salvatore Loddo continua i suoi studi su questi fenomeni estremi di violenza umana che ancora oggi avvengono sotto i nostri occhi ad ogni latitudine.

La Shoah. Una guida agli studi è alle interpretazioni, Carocci, Roma, 2015, 14 euro (disponibile in tutte le librerie, online alla pagina http://www.carocci.it/index.php?option=com_carocci&task=schedalibro&Itemid=72&isbn=9788843076239) Per ulteriori informazioni scrivere a salvatoreldd@gmail.com.                                           

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