UNA STORIA “SPAZIALE”: FABIO TRONCHETTI, IN CATTEDRA A 36 ANNI IN CINA E STATI UNITI

Harbin (Cina)


di Giovanni Runchina

Dalla facoltà di Scienze Politiche di Cagliari – dove si è laureato nel 2004 con lode – alla cattedra dell’università cinese di Harbin, ne ha percorsa di strada. Oltre undici mila chilometri, comunque un’inezia rispetto alle distanze enormi con cui ha a che fare di solito. Fabio Tronchetti è professore associato di Diritto internazionale dello spazio all’Harbin Institute of Technology, dove dirige anche l’area delle relazioni internazionali.

La sua storia è costellata di esperienze fuori dal comune; prima fra tutte, la materia di cui si occupa: «Il diritto internazionale dello spazio esiste per consentire il pacifico e ordinato sviluppo delle attività spaziali, aperte a tutti, e per ridurre al minimo i conflitti e gli incidenti».

La faccenda è serissima, in ballo ci sono tantissimi soldi e non solo: «Molti satelliti costano centinaia di milioni di dollari e garantire loro un ambiente sicuro è fondamentale. La sfida più grande è coniugare gli interessi economici, strategici e militari con il principio che lo spazio debba essere usato per il bene dell’umanità. A livello internazionale le attività sono regolate da una serie di trattati, negoziati all’interno delle Nazioni Unite, e da norme non vincolanti riguardanti aspetti specifici. In caso di controversie gli Stati coinvolti hanno innanzitutto l’obbligo di cercare di risolvere la disputa in via bilaterale, cosa che avviene nella stragrande maggioranza dei casi. Vi sono organismi cui potersi rivolgere ma non è quasi mai accaduto. Pure i privati tendono a trovare una soluzione tra loro».

A 36 anni – età da infante per la sclerotica università di casa nostra – Fabio è per giunta l’unico italiano che insegna questa materia all’estero: in Cina e, in teleconferenza, negli Stati Uniti in qualità di professore aggiunto all’università del Mississippi, all’interno del master in Diritto aereo e spaziale. Una carriera che ha avuto la sua rampa di lancio in Europa: «Dopo la laurea ho frequentato un master in Relazioni internazionali a Bologna e poi ho svolto il dottorato a Leiden, in Olanda, dove sono rimasto per quattro anni anche per ragioni di lavoro; successivamente sono stato a Bruxelles e a Colonia. Sono andato via perché solo così potevo trovare un lavoro connesso ai miei interessi; lo studio in Italia mi ha fornito comunque basi molto solide».

Complice la corsa allo spazio dell’ultimo decennio, la necessità di regole nuove è cresciuta enormemente al pari dell’interesse per la materia. «I principi cardine del diritto internazionale dello spazio sono i seguenti: gli Stati sono responsabili dei danni causati dagli oggetti spaziali da loro lanciati; gli astronauti professionisti hanno uno stato giuridico speciale che garantisce loro assistenza e aiuto in caso di emergenza; i privati possono condurre attività a patto che ricevano un’autorizzazione dal loro Stato su cui ricadono gli oneri di controllo; gli Stati devono indicare in un registro, mantenuto dalle Nazioni Unite, ciò che inviano nello spazio perché così è possibile risalire al titolare della responsabilità delle azioni svolte. Sovente però, pur essendovi regolare registrazione, accade che non si dichiari il reale scopo della missione».

In questo scenario la Cina è ormai a pieno titolo una superpotenza; gli investimenti sono ingenti, con ripercussioni positive per l’occupazione – soprattutto in ambito privato – e per la formazione. Di qui la necessità di stimolare l’apporto delle università «molto aperte alle collaborazioni straniere» in uno sforzo comune teso a individuare non solo tecnologie all’avanguardia ma anche regole specifiche ugualmente moderne su aspetti vitali quali: l’inquinamento, l’estrazione e l’uso di risorse naturali contenute nei corpi celesti e la prevenzione di conflitti. «Nello spazio ci sono molti “rifiuti” che creano pericoli e, al momento, i sistemi per rimuoverli sono in fase embrionale; perciò la comunità internazionale ha sviluppato norme atte a ridurne e controllarne la formazione che, tuttavia, non sono obbligatorie, con effetti facilmente immaginabili in caso d’incidenti. Sebbene il diritto spaziale stabilisca che lo Stato che ha lanciato un oggetto nello spazio è responsabile dei danni da esso causati, è difficile considerare un detrito come un elemento attivo e funzionale e provare specifiche violazioni. Altro tema delicato è lo sfruttamento delle ingenti risorse naturali (ferro, platino, nichel) contenute nei corpi celesti; se, da un lato, non è possibile appropriarsi di questi ultimi, dall’altro è pur vero che non si fa cenno alle materie in loro contenute. Infine vi è la necessità di arginare possibili conflitti, impedendo attacchi ai satelliti. Chi intende avvicinarsi a questa materia – conclude Fabio – deve avere solida conoscenza del diritto internazionale e voglia di viaggiare di frequente; stiamo parlando di argomenti con forti connotati internazionali, peculiarità che richiedono spostamenti frequenti laddove si presentano le opportunità migliori».

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