TEULADA, IL PAESE DELLE DONNE CENTENARIE, DOVE L’ELISIR DI LUNGA VITA SGORGA DA UN TERRITORIO ANTICO


di Enrico Cambedda

 “A cent’annus cun saludi tzia manna!”. “Poita, chi ndi fatzu de prusu bessint de costas tuas?”. Botta e risposta, qualche anno fa, fra una ragazza e un’arzilla vecchietta per la quale il traguardo del secolo non era da considerare la fine di tutto ma il prosieguo di  un lungo cammino, possibilmente in ottima salute. A Teulada sono in tante ad aver spento le cento candeline. 

Non sembra ci siano particolari segreti sulla longevità delle donne di Teulada. Però sono più forti degli uomini, che sinora non sono riusciti a raggiungere questo traguardo. In ogni caso Teulada è un paese per vecchi. Meglio: un paese dove si vive bene e s’invecchia in modo sereno, nonostante gli allarmismi suscitati dalla presenza del poligono militare. Sono le donne, dunque, ad invecchiare meglio. Spesso alle persone di una certa età si dice, in genere come complimento, che dimostrano molti anni di meno. Per le vecchiette di Teulada, invece, è la realtà. Sono tutte molto presenti, godono di una salute accettabile e si fa fatica a pensare che abbiano superato il secolo di vita.

 Ci sarebbe da condurre uno studio accurato per individuare le cause di questo elisir di lunga vita che sgorga da un territorio antico, dove la natura ha profuso a piene mani i suoi doni migliori. Ma in fondo, il segreto può essere facilmente svelato: lavoro, famiglia, fede, impegno sociale sono i pilastri sui quali hanno fondato la loro esistenza. Da qui è nata quella forza interiore che le ha sostenute, anche fisicamente, nei momenti più bui e difficili della vita. È stato un allenamento continuo, una lotta per vincere la povertà ed offrire alla famiglia un futuro dignitoso. Le difficoltà non sono riuscite a deprimerle, anzi ne hanno rafforzato il carattere e moltiplicato l’impegno. Le loro storie, si diceva, sono molto simili. Nate da famiglie povere, hanno affrontato i periodi più difficili, come le due guerre mondiali, quando l’unico obiettivo era la sopravvivenza e si doveva convivere ogni giorno con le privazioni, la mancanza di cibo e la morte di una persona cara costretta a serbiri su Rei. Famiglie di pastori e di contadini. Non sempre: spesso servi pastori o braccianti per lavorare nei campi. Un’infanzia negata, un’adolescenza di duro lavoro e il matrimonio in età quasi sempre molto giovane. Ma la vita da sposate non era migliore di quella appena lasciata. Bisognava governare la casa, aiutare il marito in campagna e alla nascita dei figli pensare a loro senza abbandonare il lavoro: “Non c’erano divertimenti – dice tzia Giuannica Putzu – anche le feste erano per noi un giorno di lavoro. Si andava a messa, ma poi si tornava alle dure occupazioni giornaliere. L’unica eccezione era la festa di Sant’Isidoro, a settembre, la sera si usciva e c’era il ballo sardo in piazza. Mio marito era appassionato del ballo teuladese e insieme ballavamo sino a tardi, in mezzo a tanta gente”.

Il lavoro in campagna ricorre in tutte queste piccole e grandi storie, spesso addolcite da un ricordo che, con gli anni, è diventato più sfumato. Così le lunghe camminate, anche di sette ore, per tagliare legna o raccogliere bacche di lentisco, indispensabili per produrre l’olio, le giornate afose della mietitura; la vendemmia, la fatica immane con le corbule piene di formaggio da trasportare, in equilibrio sulla testa, dagli ovili al paese. Non era una vita da donne, era la vita di tutte le donne di un villaggio che basava la sua economia sull’allevamento e sull’agricoltura: “Non ci siamo mai arrese – conferma tzia Bardilia Frau – eravamo morte di fatica ma serene, il nostro lavoro era indispensabile per tirare su la famiglia. Io ho avuto solo due figli ma in genere le famiglie erano numerose e se si voleva portare qualcosa in tavola bisognava faticare. Prima di tutto si pensava ai nostri mariti, poi ai figli”.

Ci sono altre storie, come quella di tzia Grazia Pilloni il cui marito era finanziere, dunque soggetto a trasferimenti. Lo stipendio era appena sufficiente a garantire una vita dignitosa a una famiglia di dieci persone. Esistenze dure ma felici, almeno sino alla morte dei loro compagni. Tutte accomunate nel lutto, le centenarie di Teulada, da decenni. Hanno trovato conforto nella fede, che le ha accompagnate per tutta la vita. Non è stato un modo per esorcizzare il dolore ma il prosieguo di un’esistenza con lo sguardo rivolto verso l’alto a implorare o ringraziare. Si spiega così anche l’impegno in parrocchia, la frequenza dei sacramenti e le attività comunitarie per sostenere i bisognosi: “Un esempio per le loro famiglie e per il paese – ha detto il parroco Don Nino Dore -, l’augurio è che i parenti possano godere della loro presenza per tanti anni ancora. Per me è la comunità è stata un’emozione festeggiare una ricorrenza diventata più frequente, i cent’anni di tante persone”. Teulada si gode il primato di paese di centenarie: “Non credo ci siano segreti -dice il sindaco Gianni Albai-, anche il nostro paese ha problemi che, risolti, aiuterebbero lo sviluppo economico e sociale. Un ambiente incontaminato, elevati standard di sicurezza, solidarietà e vita tranquilla aiutano chi è geneticamente predisposto a raggiungere traguardi sino a qualche decina di anni fa impensabili”. Allora, non più a cent’annus ma a centucincuanta, tanti non bessint de is costas nostas!!!

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Un commento

  1. Per fortuna che a Teulada si moriva a causa dei poligoni….
    Bell’articolo.

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